E' iniziata ufficialmente la Pride Week 2022, il terzo Pride abruzzese, che culminerà il 25 giugno, dopo una settimana di eventi nelle quattro province, con un corteo che attraverserà la città di Teramo.
Ad aprire il Pride, l’ormai consueto format “Diritti in vetta” che si è svolto stamane presso il piazzale antistante l’osservatorio astronomico a Campo Imperatore, in collaborazione con l’Ente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga; dalla cima più alta dell'Appennino è stato presentato il Documento politico dell’Abruzzo Pride 2022, mentre una delegazione portava un'enorme bandiera arcobaleno fino al Rifugio Duca Degli Abruzzi.
Qui, il programma della Pride Week.
Di seguito, il Documento politico dell'Abruzzo Pride.
L’Abruzzo è Forte, è Gentile, è orgoglioso. L’Abruzzo è virtuoso.
L’Abruzzo è virtuoso come ‘Le Virtù’, il piatto tipico teramano, che quest’anno abbiamo scelto come nostro simbolo, perché è un piatto di materie prime semplici, che insieme esplodono in un arcobaleno di sapori, proprio come noi. Siamo, come le virtù, una comunità di tante diverse soggettività che compongono insieme l’essenza della nostra lotta.
La nostra ricetta è variegata: rappresentiamo il privilegio di poter essere in piazza quando molt* della nostra comunità non possono, rappresentiamo la forza del vivere liber* in una società che intende decidere per i nostri abiti, le nostre vite e per i nostri corpi, rappresentiamo l’orgoglio della nostra lotta che non si ferma, dei nostri corpi non conforming, delle nostre relazioni eticamente monogame e non monogame e la forza del senso di collettività che viviamo con i nostri alleati e le nostre alleate.
Le nostre virtù sono il rispetto e l’amore per la libertà e l’autodeterminazione dei corpi e delle identità.
Siamo virtuos* nel momento in cui agiamo e ci esprimiamo liberamente, nel momento in cui sradichiamo e abbattiamo il sistema patriarcale, machista e maschilista che contamina tutti gli ambienti della società, nel momento in cui non ci lasciamo influenzare da ingerenze cattoliche, siamo virtuos* nel momento in cui siamo e viviamo noi stess*.
Nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969, allo Stonewall Inn di New York, Sylvia Rivera, Marsha P Johnson e altre donne e soggettività (in)visibili hanno dato inizio al movimento LGBTI+ moderno. Oggi, 53 anni dopo quella notte di rivoluzione, continuiamo a lottare.
Una Legge ora!
Continuiamo a lottare perché, nonostante i tanti progressi fatti in questo mezzo secolo di lotte, c’è ancora tanta strada da fare. Continuiamo a lottare con ancora più forza, con maggiore orgoglio, con la consapevolezza di vivere in uno Stato che non riconosce, e non vuole riconoscere, la condizione di discriminazione e violenza nella quale vive la nostra comunità.
Lo scorso novembre, nelle aule del Senato italiano, lo scrosciante rumore di irrispettosi applausi ha tacitato la voce di una comunità che chiedeva solamente di essere tutelata.
Abbiamo assistito a uno dei momenti più disgustosi della nostra Politica. Chi dovrebbe rappresentare i cittadini e le cittadine del nostro Paese non dovrebbe alimentare l’odio, eppure lo ha fatto. L’Italia stava per avere una Legge che tutelasse le persone LGBTI+, le donne e le persone con disabilità da azioni discriminatorie. Ma non l’ha ottenuta. Eppure, con le tantissime piazze gremite, con i tanti sondaggi, il popolo italiano ha dimostrato di sentire il bisogno del DDL ZAN, una Legge che proteggesse dall’odio omolesbobitransfobico, dalla misoginia e dall’abilismo, che distruggesse l’invisibilizzazione che caratterizza le nostre vite.
Continuiamo a essere rappresentat* da una classe politica che parla dell’orientamento sessuale come scelta di vita, che rifiuta le soggettività Trans*, che non ascolta il volere del popolo.
Il DDL ZAN era già un compromesso. Non ne sono tollerabili altri. Ora basta!
Vogliamo una Legge che ci tuteli dalla violenza verbale, fisica e psicologica di cui ancora troppo spesso siamo bersaglio. Vogliamo una Legge che impegni lo Stato a educare alle differenze e all’affettività nella Scuola pubblica. Vogliamo uno Stato i cui servizi pubblici siano adeguati alle nostre identità e ai nostri corpi. Vogliamo una Legge contro l’omolesbobitransfobia che ci riconosca come identità, come cittadin* di serie A dello Stato italiano.
L’Italia è al primo posto in Europa per gli omicidi di persone transgender. Nell’ultimo anno sono stati più di 126 gli episodi di omolesbobitransfobia riportati dai mass media, e chissà quanti sono quelli non riportati. Quanto ancora dobbiamo attendere? Quante altre identità e corpi negati? Quanta altra paura di fare coming out? Quanta altra invisibilizzazione? Per quanto ancora dobbiamo vedere uno Stato che applaude a diritti negati a milioni di cittadin*?
Non solo il DDL ZAN, ma molto di più.
Per l’ennesima volta la Politica è scesa a compromessi sulle nostre relazioni, come ha fatto con le Unioni civili, che sono state solo un “contentino”.
Esigiamo e vogliamo il matrimonio egualitario, lo Stato deve riconoscerci e garantirci gli stessi. Diritti delle coppie eterosessuali, deve facilitare e semplificare il processo adottivo, a prescindere dall’orientamento sessuale e dal legame del genitore o dei genitori. Vogliamo una revisione totale delle norme per le adozioni affinché queste siano più umane, e vengano estese anche alle persone single e alle coppie omosessuali. Riteniamo, inoltre, che sia opportuno che lo Stato inizi a garantire il Diritto all’accesso alla PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) per tutte le coppie e per le donne single, ed è inoltre necessario un processo normativo con cui regolamentare la pratica della GPA (Gestazione Per Altr*) stabilendo e garantendo il libero consenso delle persone coinvolte.
La libertà sessuale e dei corpi coinvolge anche le persone con disabilità. Il DDL Zan avrebbe garantito Diritti e avrebbe tutelato anche le persone con disabilità da discriminazioni e violenze.
La sfera sessuale di queste ultime non è affatto tenuta in considerazione, in un continuo alternare pietismo ed eroicità. Rigettiamo una qualsiasi narrazione che elimini la sfera privata, sessuale ed identitaria delle persone con disabilità, e promuoviamo, invece, una società inclusiva e accessibile, che affianchi a iniziative di sostegno anche un’educazione alla lotta all’abilismo, alla validità dei corpi e delle soggettività con disabilità.
Essere persone Trans* è una nostra virtù!
Le nostre identità subiscono ancora oggi una forte oppressione dal privilegio cisgender, oppressione che non ci permette di avere una Legge che ci tuteli, che ci garantisca un vero libero accesso ai farmaci, che ci garantisca di non essere discriminat* nella ricerca di un lavoro, e ci dia un vero Diritto di autodeterminazione.
Vogliamo una Legge adeguata per la comunità Trans*!
È necessario un aggiornamento della Legge 164/82 che abbia come cardine il concetto di autodeterminazione sul proprio corpo, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Vogliamo una tutela alla nostra integrità fisica. Esigiamo di essere trattat* secondo la nostra autodeterminata identità. Vogliamo poter essere uomini con la vagina, donne con il pene, o non essere vincolat* a come i nostri genitali appaiano. Non vogliamo più dover scendere a patti tra la nostra identità e i vincoli legislativi o i sentimenti delle/dei Giudici. Vogliamo essere considerat*, riconosciut*, e rispettat* in tutte le nostre sfumature.
Le problematiche legate al green pass hanno portato molt* di noi a non frequentare spazi pubblici, luoghi di aggregazione e anche luoghi di cura. Questo perché il green pass non prevede né considera l’esistenza di noi persone Trans*; il nostro diritto alla privacy è stato leso, siamo stat* costrett* a coming out forzati nel momento in cui il nostro nome legale non corrispondeva alla nostra identità. L’iter legale in Italia per la rettifica dei documenti è un processo lungo e travagliato, che lascia di fatto molt* di noi sospes* con documenti non corrispondenti alla nostra identità. Vogliamo non dover perdere le nostre cartelle cliniche quando finalmente otteniamo la rettifica dei documenti.
Vogliamo una Scuola trans*-inclusiva!
Vogliamo una società che educhi al rispetto dei corpi e delle identità, che inizi nelle Scuole sin da quando si è piccol*. Vogliamo far conoscere le differenze in modo educativo nei luoghi in cui la formazione non è solo culturale, ma anche sociale e civica. Vogliamo poter accedere a carriere alias così da ridurre il fenomeno dell’abbandono degli studi da parte di molt* di noi che soffrono nel non vedersi riconosciut* all’appello a Scuola o negli spazi accademici.
Vogliamo una sanità trans*-rispettosa!
La Costituzione Italiana all’art. 32 sancisce il Diritto alla Salute. Impegna chi legifera a promuovere un sistema di tutela della Salute adeguato alle esigenze di una società che cresce. La cittadinanza può vantare nei confronti dello Stato il Diritto inteso non solo come bene personale, ma di tutta la collettività.
Vogliamo essere prese in considerazione come persone Trans* nell’accesso al sistema sanitario e (se richiesto) ai farmaci. Vogliamo che la nostra volontà di accedere ai percorsi di affermazione di genere non venga ostacolata dalle nostre identità neurodiverse, con disabilità, sierologicamente positive ad HIV. Il nostro essere Trans* deve essere previsto e tutelato, il nostro stato di benessere legittimato alla pari di quello delle persone cisgender.
In Italia le persone Trans* si trovano ancora a dover superare test psico-diagnostici che prevedono ancora la patologizzazione delle proprie identità. Vogliamo la depatologizzazione delle soggettività Trans*. Il Diritto alla salute di noi persone Trans* è di fatto ostacolato per via dell’assenza di percorsi sanitari psicoterapeutici ed endocrinologici (qualora richiesti) sul territorio abruzzese. L’autodeterminazione per le persone Trans* abruzzesi è possibile solo andando in un’altra regione. Vogliamo anche nelle nostre strutture sanitarie pubbliche dei team multidisciplinari.
Le ultime determine dell’AIFA sono per noi inaccettabili.
Troviamo irricevibile essere costrett* a dover produrre una diagnosi di una patologia inesistente chiamata ‘disforia di genere’ per poter accedere alle terapie ormonali gratuite. Abbiamo bisogno di protocolli che seguano le più recenti linee guida dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) che ha disposto la totale depatologizzazione delle persone trans*, tramite l’utilizzo di un semplice modello di consenso informato.
Vogliamo una Regione che sia Trans*!
Vogliamo accedere a spazi di cura in cui il personale medico, infermieristico e OSS sia adeguatamente formato: non vogliamo e non possiamo avere disagio o paura nel fare screening o cure mediche. Vogliamo che la sanità regionale crei degli spazi in cui l’autoderminazione dell’identità possa avvenire in modo sicuro e protetto senza dover subire giudizi o discriminazioni. Vogliamo che la Regione si prenda la responsabilità della qualità dei servizi erogati e della loro effettiva attuazione sul territorio. Vogliamo una Regione che si preoccupi di noi, vogliamo una Regione che metta il nostro benessere tra i suoi obiettivi.
La nostra lotta è transfemminista, la nostra società è basata sulla cura.
Diciamoci la verità, «alcune delle idee che portiamo avanti non sono veramente nuove, ma devono essere continuamente e compiutamente affermate, ancora e ancora. Una di queste apparentemente semplice è che la donna è di per sé umana tanto quanto il maschio e che né le donne né gli uomini sono semplicemente lo sviluppo di una codificazione genetica, né biologicamente predeterminati. A formarci sono l'esperienza il caso le stelle il tempo i nostri compromessi e ribellioni e soprattutto l'ordine sociale attorno a noi».
Il dibattito pubblico in cui ci troviamo immers* è confuso, perché viviamo in un’epoca di grandi transizioni che hanno bisogno di rompere le scelte binarie che ci vengono continuamente imposte: dentro o fuori? Maschio o femmina? Centro o periferia? Razionalità o emozioni? Soldi o valori?
Il transfemminismo intersezionale ci guida verso nuove strade, è fatto di attraversamenti, di azioni che ci portano nel guado del ragionamento, né da un lato né dall’altro, forse perché il nostro posto è quello che Hannah Arendt chiama l’in between. «Ogni nuovo territorio ha inizio come un passo nel vuoto» dice Walter Benjamin. O come dice Paul B. Preciado nel suo Sono un mostro che vi parla: «Preferisco la mia nuova condizione di mostro a quella di uomo o di donna, perché questa condizione somiglia a un piede che avanza nel vuoto indicando la via verso un altro mondo».
E quel vuoto siamo noi, quel vuoto è la nostra virtù.
Perché il vuoto non è necessariamente da considerarsi come abisso, perché noi lo vediamo piuttosto come un nuovo luogo da abitare. In questa nuova architettura, in queste città transfemministe, che per noi rappresentano il possibile, la cura è l’azione politica per eccellenza. E questa cura passa per i corpi e i volti di chi lotta per le dissidenze sessuali, le soggettività LGBTI+, per tutti quei movimenti e realtà che vogliono andare oltre il binarismo, per il Queer e le possibilità che con esso si creano di costruire sguardi altri, sovversivi e favolosi!
Per percorrere queste nuove strade, questi sguardi altri, qualsiasi passo avanti sia riguardo alle pratiche che ai Diritti, non potrà non avere la forma di alleanze sempre più aperte e trasversali, che vadano oltre il genere, per cambiare finalmente il mondo! E con esso anche e soprattutto noi stess*, senza infingimenti, senza che ci siano discrepanze, dolore fra ciò che è dentro di noi e ciò che è fuori.
Da un simile groviglio non si esce ritornando al binarismo del pensiero, perché è necessario tessere la complessità e l’intersezionalità delle lotte che, come dice Porpora Marcasciano, significa sentire proprio il percorso di altre categorie oppresse, per costruire nuove alleanze dei corpi nello spazio pubblico.
Il binarismo è l’essenza del patriarcato, è un costrutto culturale e come tale va trattato e affrontato: ecco perché l’esperienza Trans* disturba la struttura patriarcale, perché ne mette a repentaglio i simboli, è qualcosa di in-audito, nuovo e sfugge al controllo. Nell'ottica binaria un uomo trans* o una donna trans* decostruisce quei simboli e li mette in discussione.
Siamo, femminist* intersezionali e vogliamo insieme a* nostr* alleat* andare oltre la critica e la lotta per conquistare, una volta per tutte, il Diritto ad essere chi e quello che si è!
«Una conquista - come dice Márcia Tiburi nel suo Il contrario della solitudine. Manifesto per un femminismo in comune - festeggiata ogni giorno da chi si impegna, nella vita, con coloro che non-hanno-potuto-essere-quello-cheavrebbero-potuto-essere a causa di pregiudizi di genere e di sessualità, di razza e di classe. (…) Il femminismo significa molte cose nello svolgimento del suo complesso e teso processo storico, ma un fatto è certo: è stato grazie a esso che le donne si sono emancipate, che hanno smesso di essere cose - oggetti utili o carne da procreazione e da macello - e sono diventate persone con una cittadinanza politica. Perché queste persone chiamate donne non erano – e, in molti casi ancora non sono – trattate da esseri umani? In molti casi, esse non hanno diritto alla semplice cittadinanza, come si può intuire quando si affronta la questione della legalizzazione dell’aborto».
Pensiamo a quello che sta accadendo negli Stati Uniti alla storica sentenza Roe vs Wade: queste sono domande che dobbiamo porci, qui e ora, partendo da noi, dai nostri corpi e dalle nostre città transfemministe, dal nostro essere un enorme soggetto non previsto, eppure vivissimo e caleidoscopico. E partire da noi, dal gesto femminista per eccellenza, «interroga il diritto dai margini, con la voce differente di quelle soggettività ‘non paradigmatiche’ – le donne, in primo luogo, ma anche le soggettività LGBTI+ – che dal diritto non sono state sempre riconosciute», né previste, appunto.
Il nostro Pride è liberazione dei corpi!
I nostri corpi hanno veicolato per decenni quello che le istituzioni, la società civile e i luoghi di condivisione sociale hanno sempre voluto e dovuto pensare della nostra comunità.
I nostri corpi sono stati il luogo sul quale le derisioni, le denigrazioni e le discriminazioni hanno avuto inizio e sfogo. La percezione dei nostri corpi ha in tutto e per tutto sviluppato il senso di rivalsa e di rivoluzione che oggi sono il succo del nostro Pride: siamo autodeterminat* e autonom*.
Siamo cresciut* in una società che ci insegna che il nostro corpo è un mezzo e può essere utilizzato, non solo da noi, nel bene e nel male, che ci include o ci esclude, in un casellario che non abbiamo facoltà di decidere autonomamente, dandoci, di fatto, una dipendenza da quelle stesse convenzioni sociali che vogliono escluderci da ogni decisione politica e socio-culturale che riguarda le nostre vite e, quindi, i nostri stessi corpi.
Noi crediamo in un mondo che veda il corpo di tutt* e lo accetti per quello che è, che accetti le nostre decisioni a riguardo, smettendo così di dare un senso morale non solo al proprio corpo ma anche a quello di tutte le altre soggettività.
Vogliamo un mondo che capisca della realizzazione e della felicità di ogni individuo attraverso la piena capacità di autodeterminazione del proprio corpo e delle scelte che ne derivano.
Nessuna morale sui nostri corpi!
La moralizzazione dei nostri corpi ha tenuto sotto scacco per troppo tempo i corpi delle donne, delle persone Trans*, delle persone con disabilità e delle persone di etnie diverse tanto da rendere la parola “normalità” una violenza quotidiana.
Vogliamo una rivoluzione etica del corpo, vogliamo che finalmente ci venga riconosciuto il pieno potere di quello che è, garantendo alle donne il Diritto al consenso riconosciuto in ogni contesto, vogliamo l’aborto garantito per Legge in tutte le strutture ospedaliere e l’accesso alla gestione completa e autonoma del proprio apparato riproduttivo in ogni momento della vita stessa delle donne.
Vogliamo che i corpi abbiano le stesse possibilità di realizzazione, garantendo alle persone con disabilità l’accesso non solo alle cure, ma anche alla determinazione della propria affettività e intimità individuale, garantendo l’accesso alle operatrici e agli operatori all’assistenza all’emotività, all’affettività e alla sessualità.
Vogliamo che i nostri corpi non conformi non vengano utilizzati per giustificare violenza e moralizzazione da parte di organizzazioni ultra religiose e omofobe.
Vogliamo che la sessualità sia finalmente liberata da vincoli legati a questioni morali che nulla hanno a che fare con il consenso, unico vincolo che dovrebbe di fatto avere.
L’ossessione per una perfezione che non ha canoni raggiungibili o condivisibili per tutt* è ormai inaccettabile: i nostri corpi grassi e magri, pelosi e glabri, con disabilità e diversi, sono belli così come sono, unici.
La Pace è la nostra virtù.
Continuiamo a spenderci, impegnandoci come movimento e soggettività, nel promuovere la diffusione di una cultura basata sull'ascolto, sul confronto, sul rispetto, sull'inclusione, secondo quel principio di uguaglianza che è alla base di un'autentica giustizia sociale.
Riteniamo, infatti, che riconoscere pari dignità alle singole soggettività, nelle loro unicità, significhi garantire quel principio di autodeterminazione che, per estensione, equivale a rispettare il fondamentale principio di autodeterminazione dei popoli. Un principio, oggi, brutalmente calpestato in troppi paesi del mondo e a poche centinaia di km da noi, nella nuova Europa di tutt* che fa, del superamento stesso dei confini tra Stati, un segno di prossimità. È necessario contribuire ad una sempre maggiore promozione della cultura del rispetto reciproco e dell'inclusione, che sono culture di pace e di accoglienza dell'alterità.
La nostra rivoluzione è virtuosa. Attraversa l’Abruzzo con noi, con la tua voglia virtuosa di libertà e di autodeterminazione.