Domenica, 04 Settembre 2022 09:06

Il jazz? Musica contro le discriminazioni

di  Roberto Ciuffini

La musica jazz non solo come linguaggio musicale ma prima di tutto come scuola di pensiero e di vita, laboratorio di integrazione e socialità, mezzo di lotta alle disuguaglianze e alla povertà educativa minorile, modello di società ideale.

Sono questi i concetti alla base del progetto L’Orchestra che vorrei, una delle novità più interessanti e significative dell’edizione 2022 del Jazz italiano per le terre del sisma.

Di cosa si tratta lo chiediamo a Ada Montellanico, una delle più celebri e celebrate cantanti jazz italiane, presidente dell’associazione Federazione nazionale il jazz italiano e già presidente dell’associazione Il jazz va a scuola, nata proprio per sensibilizzare e instradare i bambini verso l’ascolto e l’apprendimento della musica jazz.

“L’Orchestra che vorrei è un progetto figlio del Jazz italiano per le terre del sisma, che nasce grazie al percorso iniziato nel 2019 dal Jazz va a scuola. A partire da quell’anno, abbiamo voluto stringere un legame ancor più forte con il territorio sancendo una serie di collaborazioni con le scuole, per organizzare corsi e laboratori che non si svolgessero solo nei giorni del festival. Lo scorso anno abbiamo partecipato a un bando con il progetto dell’Orchestra che vorrei, e la nostra proposta è stata premiata. La rete di rapporti si è allargata fino ad abbracciare sei istituti comprensivi, un liceo musicale, il conservatorio Casella, e il Comune dell’Aquila, che ha dato un piccolo finanziamento. L’Orchestra sarà un ensemble jazz giovanile composto da bambini e ragazzi. La direzione è stata affidata a Pasquale Innarella, grande musicista ma soprattutto ideatore della Rustica X Band, orchestra jazz di cui fanno parte ragazzi del Quarticciolo e, appunto, della Rustica, borgate difficili della periferia romana.

Il progetto è stato presentato ufficialmente ieri mattina. Come è stata la risposta dei ragazzi?

E’ stata straordinaria. Giovedì, alle audizioni, si sono presentati più di settanta tra ragazzi e ragazze. Adesso inizierà un percorso durante il quale i ragazzi lavoreranno a un repertorio. Il progetto culminerà a dicembre in un concerto che faremo durante le vacanze di Natale ma il nostro intento è quello di rendere l’orchestra una realtà stabile.

Il progetto si basa sul metodo o sistema Abreu, dal nome di un direttore d’orchestra ex ministro della Cultura del Venezuela. Di cosa si tratta?

E’ un sistema basato su un modello educativo che utilizza la pratica orchestrale come mezzo per raggiungere obiettivi di integrazione, rispetto dell’altro, superamento delle diseguaglianze, spirito di collaborazione. L’orchestra non sarà composta solamente da eccellenze, dai “migliori”, ma da ragazzi con vari livelli di competenze e bravura. Alla base di tutto c’è una forte spinta all’inclusione, partendo dal principio che l’orchestra rappresenta un modello della perfetta società, un modello di società ideale, un luogo dove ognuno porta la propria specificità, la propria identità, le proprie abilità ma sempre relazionandosi agli altri. Stare in un’orchestra comporta armonizzare varie identità per creare musica insieme agli altri, sapere dialogare, saper ascoltare. E’ un qualcosa che va al di là della musica stessa, è un modello socio-culturale.

Il jazz non solo come linguaggio ma come scuola di pensiero e di vita.

Sì esatto. Basandosi sull’interpretazione, il jazz dà la possibilità a ciascuno di esprimere il suo mondo, di esprimere sé stesso, di sviluppare la propria parte creativa e ideativa. E questo è particolarmente vero nei bambini.

L’Italia non è un paese che investe molto sulla didattica e l’educazione musicale nelle scuole. Che bilancio si sente di fare del lavoro svolto dall’associazione Il jazz italiano va a scuola?

Sicuramente positivo. Nel momento in cui si approcciano a questa musica, i bambini rimangono affascinati proprio perché, come dicevo poco fa, permette loro di esprimere fino in fondo se stessi. Uno dei laboratori più affascinanti che abbiamo fatto prevedeva la composizione di una suite che raccontasse in qualche modo la storia dell’Aquila, dagli inizi fino al terremoto. I bambini hanno dovuto rappresentare, attraverso gli strumenti, il suono il terremoto, non secondo gli spartiti ma improvvisando. All’inizio erano scioccati e bloccati, poi invece hanno cominciato a liberarsi, a esprimere il suono che per loro rappresentava quel dramma. In generale, abbiamo visto crescere, in questi anni, l’interesse per il jazz italiano e questo è merito anche del Jazz italiano per le terre del sisma. Ormai il jazz non è visto più come musica di nicchia e di importazione. Non è più qualcosa di sconosciuto o di strano. Ma la strada è ancora molto lunga, ci sarebbe bisogno di una maggior diffusione del jazz, anche attraverso radio e tv. La quota del jazz che viene trasmessa è solo una piccolissima parte di quella esistente.

Oltre che educatrice e presidente della Federazione nazionale il jazz italiano, lei è prima di tutto una cantante e una musicista. La pandemia ha inferto un colpo durissimo al settore musicale, e al vostro in particolare. Qual è lo stato di salute del movimento nella terza estate dell’era Covid? La botta è stata assorbita, siete tornati ai livelli dell’era pre-pandemici?

Ci sono sicuramente segnali importanti di ripresa ma non siamo ancora tornati alla normalità. Quest’estate c’è stata un po’ una rinascita, i concerti sono aumentati, le persone e il pubblico si sono dimostrati più entusiasti di partecipare agli eventi. Ma rimane il fatto che gli ultimi due anni non ce li restituirà indietro nessuno. Viviamo ancora un forte disagio, dovuto anche al fatto che, come musicisti, qui in Italia non siamo tutelati, anzi, non siamo proprio riconosciuti come lavoratori. Veniamo visti ancora come dei giullari che in fondo si divertono a fare quello che fanno e dunque non hanno bisogno di essere pagati. Da questo punto di vista, rispetto agli altri Paesi europei, c’è ancora molta strada da fare.

Ultima modifica il Domenica, 04 Settembre 2022 09:17

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