Oggi è il 28 ottobre del 2022.
Oggi sono 100 anni dal 28 ottobre 1922, giorno della marcia su Roma.
La storia di questo evento, che ha stravolto l’Italia, il '900 e il corso delle nostre vite, è stata più volte raccontata. Dapprima è stata “pompata” e sovrastimata, poi ci si è resi conto delle assurdità storiche legate a quella giornata.
Ma non è tanto di storia studiata che vorrei parlare. Quella l’abbiamo letta nei libri e dobbiamo continuare a farlo. Vorrei parlare più che altro di storia vissuta, anzi di storia camminata.
Quella marcia che è stata camminata 100 anni fa, quelle orme, quei passi che hanno macchiato il corso della storia, ha segnato un sentiero abominevole di ingiustizie e prevaricazioni aprendo a un mondo che era lì palese dinanzi alle donne e agli uomini di quel tempo ma che nessuno avrebbe mai realmente immaginato possibile.
Il verbo giusto per rievocare e ricordare quell’evento non è marciare, bensì marcire.
Sì, perché 100 anni fa, quell’esplosione testosteronica di prevaricazione e appropriazione indebita di potere ha mostrato tutto il marcio che era insito nelle squadracce, oltre il tessuto di quelle oscure camicie nere.
Quell’evento mediatico, esportato dalla propaganda fascista come eroica impresa, ha aperto al venire a galla di tutto quel marcio che è ben rappresentato dalle leggi fascistissime, dalle leggi razziali, dall’omicidio Matteotti, dalle indegne azioni compiute in Etiopia, dalla brutalità e dai massacri messi in atto dal regime, dall’affiliamento con il nazismo, dai campi di concentramento eccetera, eccetera, eccetera.
Questo articolo non vuole assolutamente essere uno spauracchio da agitare per intimare che i fascisti stiano tornando o che sia in preparazione un altro regime. Tutt’altro. Questo articolo ha l’unico obiettivo di ricordare.
È infatti necessario non solo ricordare i morti, ricordare le vittorie e ricordare quei celebri momenti che ci redimono dinanzi al tribunale della storia. Ma è anche necessario ricordare le gesta immonde di cui l’uomo è capace, le derive che può assumere la politica, le deviazioni a cui possono portare momenti di crisi e di complessità.
Sì, credo che quella marcia la dobbiamo ricordare, come monito, come specchio di ciò che siamo stati, come mea culpa, battendo il pugno sul petto con il desiderio di una redenzione giornaliera da dimostrare con i fatti e le azioni da compiere dinanzi alle ingiustizie di oggi.
Ma oltre a ricordare quella marcia c’è molto altro da ricordare.
C’è da ricordare tutto ciò che ci ha portato al nostro presente, tutti quei fatti, quegli eventi e quelle persone che hanno fatto si che ci fosse un cambio di passo, un cambio di senso, un’interruzione di quella marcia inesorabile e brutale.
Per ricordare tutto questo invito oggi ogni aquilana e ogni aquilano a compiere una propria contro marcia, recandosi nel luogo che nella nostra città rappresenta la possibilità di cambiamento, l’apertura verso la giustizia che libera dalla condanna.
Questo luogo è piazza Nove Martiri, che un tempo si chiamava proprio piazza 28 Ottobre in “onore” della marcia.
Oggi contro tutto quel marcio possiamo innalzare questa meraviglia della toponomastica, questo aggiustamento della rotta.
Oggi a 100 anni da quella tragica giornata guardiamo a quei nove aquilani che 21 anni dopo quella marcia hanno dato la loro vita per consegnarci la libertà.
Oggi rechiamoci dinanzi a quella nostra perla preziosa che ci ha liberato da quell’ondata di fango da cui rischiavamo di rimanere sommersi