Lunedì, 18 Agosto 2014 01:37

36 anni fa la morte di Silone, scrittore dalla parte dei "cafoni"

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Il 22 agosto di 36 anni fa moriva a Zurigo lo scrittore abruzzese Ignazio Silone.

Nato a Pescina (L'Aquila) il primo maggio del 1900, Silone fu segnato per tutta la vita dal terremoto che colpì la Marsica nel 1915 e in cui morirono i genitori e cinque fratelli.

Il suo romanzo più conosciuto, amato in tutto il mondo, è Fontamara. Il libro narra la storia di un Comune immaginario, collocato a settentrione del Fucino tra la collina e la montagna, in cui i contadini, "i cafoni", subiscono le ingiustizie e gli inganni dei loro rappresentanti politici borghesi e del potere istituzionale.

Nel romanzo, che può essere visto come una vicenda corale degli emarginati, Silone mescola il crudo materiale autobiografico della sua dura esistenza dopo il sisma con gli strumenti della conoscenza legati alla lotta contro le ingiustizie e gli abusi del potere.

Quello di Silone è infatti il caso di una coscienza politica che si forma a partire dalla catastrofe del terremoto e dalle sue conseguenze sociali. Qualcosa di non totalmente sconosciuto per chi ha vissuto nell'aquilano il terremoto del 2009 e le conseguenti politiche "calate" dal Governo sulla cittadinanza col consenso del potere politico locale.

Ma la storia è, più in generale, l'emblema universale degli sfruttati e degli emarginati di tutto il mondo.

Tuttavia, far conoscere Silone - la sua vita e le sue opere, testimonianza della libertà umana - alle giovani generazioni che vivono ora l'Abruzzo interno del dopo terremoto, costituisce operazione dall'importanza specifica non trascurabile.

Nel 1917, l'allora ancora diciassettenne Silone inizia già ad inviare articoli al giornale l'Avanti riguardo appropriazioni indebite dei fondi destinati al terremoto. È nello stesso periodo che comincia a frequentare anche la Lega dei contadini: lì ha inizio il percorso politico che lo accompagnerà per gran parte della vita.

In quel contesto di ingiustizie, per Silone non vi era altra scelta che schierarsi dalla parte dei poveri contro soprusi e ipocrisie.

Le pagine di Fontamara parlano chiaro. Da una parte ci sono i 'cafoni', i contadini amati da Silone, dall'altra la società degli integrati del momento, cioè quella fascista.

In questa lotta Silone pone l'auspicio per la formazione di una coscienza sociale capace di emergere dalla rassegnazione a cui gli abitanti del posto sembrano abituati da sempre. A incarnare questo principio di coscienza nel romanzo è Bernardo Viola, la cui morte sarà il sacrificio necessario per la propagazione della fede nella giustizia tra i fontamaresi.

L'episodio del raggiro sul bene comune numero uno dell'acqua per irrigare i campi è davvero emblematico: nell'assoluta 'legalità', una commissione confisca tutta l'acqua che i fontamaresi avevano sempre utilizzato, per dirottarla nelle mani private di un 'impresario', con la complicità dei rappresentanti politici locali.

Fontamara fu pubblicato per la prima volta in tedesco nel 1933 a Zurigo ma fu preso in considerazione in Italia solo vent'anni dopo, quando ormai era divenuto un caso letterario in tutto il mondo. Per capire la causa di questa scarsa considerazione, bisogna tener conto proprio dei pregiudizi politici verso Silone presenti al tempo in Italia. Lo scrittore marsicano, infatti, era mal visto sia a destra che a sinistra.

Silone militò nel partito comunista, opponendosi al fascismo e occupandosi di varie testate organiche al partito, compresa L'Unità al fianco di Antonio Gramsci.

Nel 1926, dopo l'approvazione delle leggi di difesa del regime, gli venne affidata la segreteria del partito interno, mentre Togliatti assunse la direzione del centro estero del Pci.

Nel 1927 partecipò, proprio insieme a Togliatti, all'Internazionale, ma da qui ebbe inizio una sempre più marcata divergenza dal gruppo dirigente sovietico a cui quello italiano sembrava essere asservito. L'elemento principale della rottura, per Silone, stava "nell'incapacità dei comunisti russi di discutere lealmente opinioni diverse dalle proprie".

Da allora lo scrittore uscirà definitivamente dal Pci e diventerà un socialista cristiano. Nelle memorie politiche pubblicate nel 1965 con il titolo Uscita di sicurezza (una sorta di testamento di un intellettuale che non ha mai voluto rinunciare alla "dignità dell'intelligenza") scriverà: "Ci si libera dal comunismo come si guarisce da una nevrosi". La scelta comunista, che era parsa a Silone come una grande esaltazione della razionalità umana, gli si mostrò, al contrario, come un fideismo acritico.

L'ultima opera di Silone sarà, nel 1968, L'avventura di un povero cristiano, una reinterpretazione attualizzata della burrascosa vicenda di Papa Celestino V, il Papa del "Gran rifiuto" che, dopo un certo periodo di pontificato, rinunciò alla carica per tornare a condurre una vita normale.

Il tema fondamentale dell’opera è il rapporto fra il singolo individuo e la Chiesa, incarnato proprio dalla figura di Papa Celestino V, che rifiutò un modello di vita giudicato empio anche se, al tempo, comunemente accettato. Una storia tramite la quale l’autore volle indicare una filosofia di vita da seguire; un libro rientrante perfettamente nel più ampio contesto dell'attività politica dello scrittore.

A termine della sua carriera, Silone si definì "un socialista senza partito e un cristiano senza Chiesa".

Ora è sepolto a Pescina, "ai piedi del vecchio campanile di San Bernardo e con la vista sul Fucino", come aveva chiesto. Sempre per sua richiesta, sulla sua tomba, costruita con blocchi di rocce delle montagne circostanti, non c'è nessuna epigrafe.

 

Ultima modifica il Sabato, 22 Agosto 2015 17:04

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