Martedì, 07 Maggio 2013 23:12

L'incontro degli storici e il Centro intero sotto tutela. Ciccozzi: "prima la sicurezza"

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Domenica scorsa, durante l'incontro degli storici dell'arte a L'Aquila nella chiesa di San Giuseppe artigiano, nel suo intervento, il direttore abruzzese dei Beni culturali, Fabrizio Magani, ha parlato di un nuovo accordo appena sottoscritto tra la sovrintendenza e il Comune dell'Aquila: "abbiamo dichiarato l'interesse paesaggistico del nucleo storico della città dell'Aquila - ha detto tra gli applausi della folta platea - l'intero tessuto architettonico del centro dell'Aquila, anche quegli edifici non dichiarati di interesse culturale, potranno rientrare in un processo di conservazione del tutto assimilabile al tema del restauro".

Finora gli interventi realizzati dalla sovrintendenza sono praticamente gli unici lavori partiti nei centri storici. Questi i numeri: 8 interventi completati, 9 cantieri in corso, 23 cantieri pronti a partire e 25 interventi in corso di progettazione. Ma sotto la tutela dei beni culturali la percentuale di antisismicità richiesta va in deroga rispetto le ricostruzione civili, abbassandosi fino al 40%.

L'accordo di cui parla Magani nasconde allora alcune criticità insite nel concetto stesso di "tutela", insieme a quello del "com'era dov'era" più volte ribadito nell'incontro. Temi su cui una città ormai quasi rassegnata all'immobilità del centro storico disastrato, e che ha seguito solo in parte un incontro così importante, dovrebbe invece trovare ancora la forza di porsi e far entrare necessariamente nel dibattito sulla ricostruzione.

Antonello Ciccozzi, ricercatore di Antropologia culturale presso l'Università dell'Aquila, da sempre attento al tema della vulnerabilità nella ricostruzione e alla tutela paesaggistica, interpellato da NewsTown non si lascia sfuggire alcune considerazioni: "il rischio è che a partire dal principio, genericamente sano, della tutela del patrimonio storico-artistico-architettonico, si arrivi alla pratica di restaurare il centro storico in base a un principio di conservazione a tappeto. Questo - fa notare Ciccozzi - se da un lato, in nome della tutela dell'architettura minore e dell'insieme, preclude la possibilità di rinnovare la città, dall'altro ci pone di fronte a dei tempi di risanamento lunghissimi, a dei costi lievitati, e, soprattutto, al rischio restituirci una città vulnerabile come prima ai futuri terremoti. Nell'incontro di domenica degli storici dell'arte si è parlato, al grido del "com'era dov'era", del destino di una città da ricostruire solo in termini di restauro: la questione della sicurezza è stata del tutto tralasciata. Già questo dato, la rimozione dal dibattito pubblico sul futuro della città di un tema prioritario, dovrebbe bastare a inquietare".

"La tutela del patrimonio - continua l'antropologo - non può diventare un pretesto per andare "senza se e senza ma", in deroga rispetto alla necessità di antisismicità delle abitazioni. Bisognerebbe adottare una procedura di microzonazione del patrimonio: valutare caso per caso il rapporto tra valore storico dell'immobile, entità del danno, livello di sicurezza sismica raggiungibile e destinazione d'uso. A mio parere - prosegue Ciccozzi - è assurdo ad esempio che si restauri la scuola De Amicis (un edificio del 1400 di valore storico non eccelso, che nei secoli ha subito varie modifiche) spendendo una cifra ingente e pretendendo di mantenere l'uso scolastico mentre si va in deroga alla sicurezza".

"In casi come questi - riflette amaramente il professore di Antropologia - bisogna decidere se valgono di più le pietre di un edificio o i corpi dei bambini che ci entreranno.
È in questo senso che dico che il discorso sulla tutela del patrimonio storico artistico architettonico parte da un sano principio, ma esteso a tappeto e in mani "sbagliate", può pervertirsi in uno strumento di profitto politico-imprenditoriale che ci restituirà una città pericolosa.
A chi dice che il centro storico va inteso come corpo unitario - continua Ciccozzi - rispondo che la storia non è conservazione del passato, e la storia dell'Aquila è un susseguirsi di ricostruzioni che ci hanno restituito un'antologia di stili. In centro storico - afferma con coraggio l'antropologo rompendo un tabù -vorrei vedere anche lo spazio per demolizioni e reinterpretazioni della città. Una città è un insieme di codici, di linguaggi. Non possiamo precluderci la possibilità di riscrivere il nuovo in nome di ideali pseudo-identitari e di conservazione che si rivelano costosi, lunghi e che potrebbero scoprirsi, ancora una volta nella storia, letali. Non possiamo farlo, specialmente oggi che, rispetto ai terremoti passati, per la prima volta nella storia potremmo ricostruire con tecnologie totalmente antisismiche".

Ultima modifica il Mercoledì, 08 Maggio 2013 00:10

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