di Anna Lucia Bonanni* - "Sabatino Ciuffini è uno dei maggiori poeti italiani viventi, anche se la sua ritrosia e la sua modestia non hanno contribuito a farlo conoscere al di fuori di una stretta cerchia di amici e ammiratori". Così scriveva nel 1992 Mario Alinei, glottologo di fama internazionale, nella prefazione alla raccolta Lettere romane di Sabatino Ciuffini, aquilano illustre ma sostanzialmente tuttora sconosciuto, che merita invece un posto di tutto rilievo nella letteratura italiana del Novecento.
Ciuffini si è spento da pochi anni, lasciandoci due raccolte di poesie pubblicate tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, che sono il distillato di una produzione poetica iniziata da giovanissimo, nel secondo dopoguerra. Di lui, si diceva, sappiamo molto poco, anche per la sua estrema discrezione e l'atteggiamento schivo.
A colmare questa lacuna, giunge provvidenziale l'occasione di una riscoperta di questa interessantissima figura di uomo e di poeta: la dobbiamo al convegno Nascere, Rinascere, Ricominciare, organizzato dalla Georgetown University di Washington (grazie all'infaticabile lavoro della professoressa Laura Benedetti, aquilana d'origine, direttrice del Dipartimento di Italiano di Georgetown) in collaborazione con l'Università degli Studi dell'Aquila.
Tra gli interventi di grande varietà e interesse che si sono succeduti nei due giorni di convegno, la chicca, appunto, della relazione "nascita" e "rinascita" negli Sfregazzi di Sabatino Ciuffini poeta aquilano del giovane Damiano Acciarino dell'Università Ca' Foscari di Venezia.
Diciamo "poeta" perché quella fu la sua vocazione, ma per guadagnarsi da vivere Ciuffini ha fatto altro nella vita: fu infatti collaboratore cinematografico e sceneggiatore assai prolifico di film di ogni genere. Amico di Lattuada, Fellini, Rossellini, fu da loro introdotto "per stima e per pietà " - date le condizioni di estrema indigenza in cui viveva - nel mondo del cinema, ottenendo, come lui stesso ricorda, la freedom from want, la libertà dal bisogno.
Tutto questo nella Roma degli anni Cinquanta in cui nacque la grande stagione del cinema neorealista e quella meno grandiosa, ma non meno importante dal punto di vista culturale, della poesia neorealista.
Sabatino Ciuffini era nato a L'Aquila, più precisamente nella frazione di Coppito, il 20 ottobre (anche se in alcuni documenti risulta il 21) 1920. Qui aveva conseguito la Maturità classica e aveva dato vita con un gruppo di amici, tra cui lo storico dell'arte Ferdinando Bologna e l'avvocato Attilio Cecchini, ad un piccolo cenacolo, in cui si discuteva di arte e letteratura.
A Roma si era trasferito per iscriversi a Lettere e lì aveva iniziato a comporre poesie, che parvero subito bellissime ai giovani poeti animatori della rivista La strada – che ospitò, tra gli altri, testi di Pavese, Pasolini, Fortini - e dove quei suoi primi versi vennero pubblicati, nel 1947, in due dei tre unici numeri della rivista che videro la luce.
Benché incoraggiato da Flaiano, Lattuada, Zavattini, abbandona presto la produzione poetica, perché "fare poesia diventa un lusso che non può permettersi". Nel dopoguerra molti sono poveri, ma Ciuffini fa letteralmente la fame. E persino "quando nel 1951 Alberto Lattuada e Federico Fellini gli propongono di pubblicare a loro spese Lettere romane, Ciuffini lascia cadere la generosa offerta".
Nel frattempo ha esordito nel cinema come autore di un documentario; lavora poi per vari anni come assistente alla regia (diresse lui stesso un film, Oro per i Cesari, nel 1962) e come sceneggiatore; nel 1967 collabora con l'amico Alberto Lattuada, cui è dedicata una delle sue poesie di Lettere romane, alla sceneggiatura del Don Giovanni in Sicilia di Brancati, e alla sceneggiatura si dedicherà quasi esclusivamente per il resto della sua carriera, iniziando nel 1969 un lungo sodalizio artistico con Sergio Corbucci, di cui firmerà quasi tutti i copioni fino al 1980.
Ma è la sua attività di poeta quella per la quale voleva essere apprezzato, attività testimoniata, come si è detto, da due raccolte. La prima per data di pubblicazione è il prosimetro Sfregazzi – Dispositivo poetico d'emergenza, che contiene 66 poesie e 60 prose composte tra il il 1960 e il 1980, pubblicato a Roma nel 1988 dall'editore Guidotti. L'elegante volume, uscito in edizione limitata a 910 copie numerate, è corredato da immagini di dipinti realizzati appositamente per l'opera da suoi amici artisti, noti e importanti pittori contemporanei.
Nel 1992 compaiono, in un'antologia poetica, alcune sue liriche degli anni Quaranta. L'interesse suscitato dalla sua prima produzione porta alla pubblicazione, sempre per i tipi dell'editore Guidotti, di Lettere Romane, la seconda e ultima raccolta, che comprende composizioni datate dal 1946 al 1949 e che riporta in appendice un corpus di liriche ancora precedenti e un'antologia degli Sfregazzi. La prefazione è a firma di Mario Alinei, amico di Ciuffini dai tempi della rivista La strada e suo ammiratore, a cui il libro è dedicato.
L'anno successivo, il 1993, nell'ambito di una serie di presentazioni di libri organizzate dalla Biblioteca provinciale dell'Aquila (direttore allora Walter Capezzali) il professor Carlo De Matteis curò la presentazione dell'opera poetica di Ciuffini, che venne affidata al critico letterario Walter Siti, il quale, pur noto per non essere propriamente "di manica larga" nei suoi giudizi, ebbe per il Nostro parole lusinghiere e una valutazione più che positiva.
Dopo queste pubblicazioni, l'oblìo. In seguito alla sua morte, avvenuta nel 2003, era nata l'idea di ripubblicare la sua opera, ma il progetto non andò in porto. Attualmente, si stanno studiando le carte rimaste agli eredi per trarne una biografia che potrebbe uscire in autunno e che si spera sia l'inizio di un percorso di studi e pubblicazioni su questo importante autore, di cui non esiste bibliografia.
C'è dunque un terreno tutto da dissodare. E speriamo che la presentazione degli "Sfregazzi" di Sabatino Ciuffini in chiave di "nascita e rinascita" da parte di Damiano Acciarino sia di buon auspicio per il lavoro da compiere.
Sfregazzi. Dispositivo poetico d'emergenza
Sfregazzi è parola davvero curiosa per un titolo. Il suo primo significato fa riferimento a una tecnica pittorica, relativa alla pittura ad olio: lo sfregazzo è l'applicazione di una piccola quantità di colore opaco su un'area precedentemente dipinta e asciutta. E' affine alla velatura e appare chiara – ha rilevato nella sua presentazione Damiano Acciarino - l'allusione al "velame" poetico, sotto il quale si possono celare altri significati; ma è probabilmente anche il velo di cui la poesia, con la sua bellezza, sa rivestire – e in parte riscattare - una realtà amara, una visione del mondo che in Ciuffini, secondo la definizione dell'amico Alinei, è addirittura "atroce".
"Sfregazzi" sarà poi il titolo di una rivista curata da Ciuffini e pubblicata ancora da Guidotti nel 1990, "periodico (a "periodicità non determinata") dell'Accademia mondiale degli affamati: una sorta di antologia estrosa in cui apparivano note polemiche e satiriche sugli aspetti più sgradevoli della società contemporanea o sugli autori preferiti dal poeta, da Ovidio, a Leopardi, al Belli assai presente.
Sfregazzi, però, è soprattutto il nome del pappagallo "tecnopolitano" con cui si identifica il poeta nella "Parabola" che apre il libro, insieme alla massima posta ad epigrafe: "In principio fu la fame".
E' la fame che muove il mondo: "La fame è importantissima perché tutto genera, anche l'amore. Credo che quello che ha detto Aristotele sia vero, e cioè che l'uomo è dedito all'allelofagia, al mangiarsi l'un l'altro, nel senso che, comunque, ci cibiamo di altri Dna". Così Ciuffini in un'intervista, in occasione della presentazione di "Sfregazzi". Ecco allora che le sezioni del libro prendono il nome dai quattro componenti dell'acido desossiribonucleico: Adenina, Guanina, Timina e Citosina, e in più da Zucchero e Fosfato, necessari alla sua sintesi.
"Oggi non si crede più a elementi di forza spirituale che ci sostengano, quindi ho ritenuto più giusto utilizzare le cose a cui crediamo, le forze materiali che ci sostengono, in ultima analisi al Dna, la nostra memoria genetica, base della vita". "Tutta la nostra civiltà è fondata su quel verme nudo e crudo che siamo. Un verme che a furia di mangiare si sta autodistruggendo; il consumismo sfrenato ha creato macchine distruttrici, la vita infame della città e la solitudine. Perché una comitiva spende molto meno di una persona sola ed è per questo che la società moderna tende a isolarci".
Cosa può dunque la poesia in questo quadro desolante? "Nata – come disse Fellini – dalla polvere della città", la poesia di Sabatino Ciuffini è un "dispositivo di emergenza", costruito "come una macchina che non consuma ma produce energia". Nasce dall'insonne acido della vita e deve farsi strada a fatica per trovare "un buco" dove "possa libera abitare".
Col suo tono ironico e salace e un linguaggio d'impronta neo-realistica, non esente da vertigini ermetiche e arditi neologismi, la poesia di Ciuffini è perciò graffio, denuncia, acido corrosivo delle illusioni e delle ipocrisie di una società "i cui capisaldi malamente occultati, sono la frode e la violenza", e di un'umanità che si vorrebbe superiore alle crudeli leggi di natura.
Ma è anche il sorriso inaspettato tra desolati panorami metropolitani, Il "morso della primavera" (la vita della natura ha sempre qualcosa di selvaggio, quasi di ferino), l'ardua ed effimera possibilità della speranza di un futuro "rosso e dolce, da succhiare / come un'anguria matura", prima che il buio ripiombi.
Due poesie tratte da Sfregazzi
I morsi della primavera
(A Felicina che compie gli anni)
Lungo la Conca Aquilana, con morsi
dolci la primavera addenta
le radici dei monti. Tra le pietre
già si sporge prepotente un fiore;
già i rami degli alberi giostrano
al vento, nudi con le gemme nuove;
e tràpana il picchio con forza,
da qualche parte, vicino lontano,
per farsi il nido, un mandorlo vivo.
tu come un grido nell'aria scendi,
Felicina. Sui campi anche il sonno
dell'erba morta si rompe, anche i sassi
aprono gli occhi. Il cane,
dalla scorza che mastica, solleva
la bocca, impazzito di gioia, e si avventa
al volo della tua gonna.
La lima
Lima, mi lima il pensiero
che la vita è ventura e nessuno,
se non per burla, mai potrebbe dirmi
ciò che domani, alla fine
della sua nuova capriola, riporta
la terra. Non ch'io sia della schiera
di quelli, fiacchi di testa, in attesa
sempre del peggio mai morto;
se fin da bambino il futuro
mi appariva – e davvero tuttora
così mi appare – un sole
rosso e dolce, un sole da succhiare
come un'anguria matura.
Mi fa paura quel furore deluso
che mi dilania ogni volta
che mi butto avanti sicuro
verso l'ignoto raggiante e di colpo,
con tanta luce, mi ritrovo nel buio.
*aquilana, docente di lettere
**[nota dell'autrice] Ringrazio per le notizie che mi hanno fornito per la stesura di questo articolo il signor Mario Lorenzetti, nipote ed erede diretto del poeta e il professor Carlo De Matteis. Le citazioni sono tratte dai libri di Sabatino Ciuffini(Sfregazzi, Guido Guidotti editore, Roma 1988 e Lettere romane, stesso editore, Roma 1992, non più in commercio, ma reperibili nelle principali biblioteche), e da un bell'articolo di Stefania Scateni apparso su L'Unità il 15 dicembre 1988 in occasione della presentazione degli "Sfregazzi" nella libreria Croce di Roma.