Martedì, 05 Aprile 2016 18:31

"Carta dei diritti universali del lavoro": dall'Aquila proposta di legge di iniziativa popolare

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Riceviamo e pubblichiamo una nota delle RSA FP CGIL L'Aquila sulla proposta di legge di iniziativa popolare finalizzata all'approvazione di un nuovo statuto dei lavoratori. A sostegno di questa iniziativa, tre quesiti referendari sono stati già pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n.69 del 23 marzo 2016.

Carta dei diritti universali del lavoro, proposta di Legge di iniziativa popolare. La difesa dei diritti dei lavoratori non ha colore, uniti si può

Anche il 2016 è iniziato con l'instancabile propaganda del Governo sui mirabolanti risultati delle riforme e sul fatto che la ripresa è in atto: il Paese, finalmente rimesso in carreggiata, non riesce a decollare solo per l'ottuso pessimismo dei soliti "gufi". Sarebbe quindi esclusivamente la mancanza di ottimismo a non farci apprezzare il calo della disoccupazione, l'aumento degli stipendi (ben € 960 annui), l'abbassamento delle tasse, ecc. Per non parlare, ad esempio, degli interventi sulla scuola che ha visto circa 100.000 assunzioni (meglio chiamarle stabilizzazioni!) e un'inversione di tendenza rispetto a nuove risorse per il settore.

E' vero, le assunzioni/stabilizzazioni sono aumentate (ma non poteva essere altrimenti, visto l'incentivo di € 24.000 in tre anni di sgravi fiscali per le aziende che assumevano persone senza un rapporto di lavoro a tempo indeterminato da almeno un anno). Ma queste agevolazioni scenderanno, già dal 2016, a € 6.000 in due anni: vedremo se le aziende saranno sempre in grado di stabilizzare i rapporti di lavoro e capiremo se ha funzionato l’abolizione dell'articolo 18 oppure lo sgravio di € 24.000! Certo, speriamo che l'economia riparta davvero e che i posti di lavoro nascano, perchè ce n'è bisogno: resta preoccupante l'esplosione dell'uso dei voucher per i lavori periodici, aumentato del 300%. Le aziende che assumono con i voucher per 7-8 mesi consecutivi ringraziano, eludendo le forme contrattuali ad esempio del contratto a tempo determinato o "a chiamata". Si assiste quindi a una "polarizzazione" del mercato del lavoro, con un aumento contemporaneo dei contratti stabili e della precarizzazione tramite i voucher: vedremo nel 2016 cosa questo comporterà. Per ora l'Italia sembra una "Repubblica Democratica fondata sui voucher".

La crescita dei contratti a tempo indeterminato sembrerebbe dovuta ad una trasformazione di rapporti a partita iva in rapporti di lavoro subordinato, derivanti dall'opportunità unica di sfruttare, entro il 31 dicembre 2015, gli incentivi all'assunzione e la sanatoria per tutti "gli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro... " (art. 54 D.lgs. 81/2015). Insomma, si è corsi a sfruttare l'ultima finestra utile per ottenere non solo un condono tombale, ma anche un consistente aiuto economico. Chi sarà assunto a tempo indeterminato in aziende con più di 15 dipendenti non avrà nemmeno la certezza della cosiddetta "tutela reale" in caso di licenziamento illegittimo. In aziende in cui i lavoratori svolgono le stesse identiche mansioni i rapporti normativi e retributivi vengono regolati addirittura da diversi Contratti Nazionali di Lavoro. Il licenziamento, il demansionamento ed il nuovo controllo a distanza sono atti che ledono la dignità del lavoratore, dignità codificata nella legge 300/1970 dopo anni di lotte che hanno portato, appunto, alla stesura dello "Statuto dei lavoratori". Quello stesso statuto calpestato in nome di una presunta ripresa economica a totale vantaggio delle sole aziende, una catena, un peso, un onere troppo gravoso che non permetterebbe al bel Paese di decollare.

A parere di chi scrive, una buona politica industriale in termini di produzione, produttività, fatturato, profitto e con esso i livelli occupazionali associati, non può basarsi sull'eliminazione anche dei minimi contrattuali stabiliti dai CCNL. Nel tempo del Job Act sta prendendo forma il cosiddetto "modello Marchionne", si gioca ancora al ribasso con i diritti dei lavoratori. Già l'ultima tornata dei rinnovi contrattuali si è retta sulla revisione e l'attacco al salario e all'orario di lavoro, sulla limitazione del diritto di sciopero e sull’introduzione del cosiddetto welfare aziendale. Approfittando di questo momento di estrema debolezza dei lavoratori dovuto alla forte disoccupazione, le imprese hanno messo le basi per un maggior sfruttamento, da utilizzare nel caso di una ripresa economica dovuta a fattori esterni. Il nuovo presidente di Confindustria ha sottoscritto il Manifesto delle Relazioni industriali di Federmeccanica (orfana di Fiat): piattaforma oggi sul tavolo del rinnovo dei metalmeccanici, dove si afferma sostanzialmente che il contratto nazionale è un arnese vecchio e superato, un freno con i suoi aumenti distribuiti a pioggia, e che dovrà essere una “cornice light” rispetto alla centralità del contratto aziendale.

Sul salario la tendenza egemone è quella di eliminare quote fisse (premi fissi, premi presenza, scatti anzianità, salari minimi) in cambio di premi variabili incerti, non erogabili a tutti e collegati ad aumenti di produttività. Il problema è che il legame tra salario e produttività del singolo o dell'impresa è un grosso inganno: innanzitutto, dal punto di vista analitico, la retribuzione non si può basare sulla produttività aziendale perchè quest'ultima dipende anche dalla produttività di altri settori e imprese (pensiamo, per esempio, quanto un'impresa ad alta intensità tecnologica si giovi di una scoperta scientifica conseguita da gruppi di ricerca o da un'altra società). E infatti alle aziende non interessa realmente ancorare il salario alla produttività, bensì avere un'arma per tenere il livello delle retribuzioni al di sotto della produttività, il costo del lavoro deve essere diminuito assolutamente e con qualsiasi mezzo, chi si fa carico di tutto questo è però solo il lavoratore.

In merito al tempo di lavoro, in molti contratti possono essere previsti aumenti di orario e abolizione dei festivi e dello straordinario; in pratica si sta sempre più precarizzando il lavoro anche all’interno della cornice dei CCNL, creando un sistema a chiamata con il quale l’azienda scarica sul lavoratore tutti i rischi della fluttuazione della domanda produttiva. Pensiamo ai giorni festivi equiparati a quelli feriali nel settore del commercio, con l’obiettivo di obbligare al lavoro anche nelle festività e di non pagare gli straordinari; stesso fine, non pagare gli straordinari, si otterrà nei trasporti, grazie al calcolo allungato dell’orario medio, e nel metalmeccanico, con l’incentivo al part time e l’aumento dei turni oltre i 18.

Inoltre, varie saranno le norme di limitazione al diritto di sciopero, denominate "clausole di raffreddamento dei conflitti", nel solco già tracciato dal Testo Unico sulla Rappresentanza (Sindacale) del 10 gennaio 2014 e che anticipa una legge pronta a breve per limitare il diritto di sciopero in maniera ancora più profonda di quanto già non accada nel settore pubblico. Vengono infatti "tutelati" non solo i servizi essenziali, ma anche i grandi eventi, i beni culturali, il Commercio e ora pure il Chimico e il Metalmeccanico; sembra proprio che il vero "servizio essenziale" da tutelare sia il profitto delle imprese, dando alla proprietà un potere quasi assoluto: decide se promuovere, licenziare o demansionare; stabilisce quanto salario erogare al singolo lavoratore e per quale orario di lavoro; impone quando si lavora e quando si riposa.

Altro disegno di legge di un governo non eletto è il n. 2233, in cui si tenta di nomare il lavoro autonomo ed il "lavoro agile", una specie di Job Act degli autonomi non impenditori. Lavoro agile vuol sinteticamente significare: maggior autonomia nello svolgimento del lavoro. Il "lavoro agile" come futuro auspicabile, quindi, come evoluzione, "gloriosa e progressiva" del lavoro in cui le organizzazioni mettono al centro le persone? Forse, a patto di tenere a mente che la complessità è molta ed è dunque necessario tenere conto delle molteplici implicazioni.

Alcune indagini confermano, per esempio, la sensazione diffusa che la tecnologia, e il poter essere sempre e ovunque connessi, renda difficile il buon bilanciamento fra vita e lavoro. Mentre le tecnologie che connettono al lavoro permettono una più ampia gamma di opzioni riguardo a quando e dove svolgere il lavoro, la stessa connettività porta con sé la disponibilità costante a lavorare. Una vita multitasking e/o multiscreening. Gli schermi si moltiplicano quindi, non solo più pc aziendale e in qualche caso smartphone ma anche tablet notebook e palmari di ogni marca e foggia entrano a far parte degli strumenti per svolgere l'attività quotidiana. Tuttavia, molte di queste tecnologie non sono state costruite tenendo presenti i requisiti aziendali e così in alcuni casi viene demandata alla persona la manutenzione, l'aggiornamento software, la gestione della sicurezza della privacy, e la scelta delle applicazioni per la sincronizzazione e l'aggiornamento dei dati aziendali. Ciò aggiunge la richiesta di altre competenze a quelle già previste, come per esempio di saper utilizzare con dimestichezza le tecnologie e le pratiche "social" per il lavoro collaborativo a distanza, per la condivisione di informazione ecc...

Un altro aspetto critico riguarda il fatto che spesso la flessibilità di tempo e di luogo di lavoro altera le aspettative, portando con sé l'idea che occorra fare di più e facendo aumentare così la probabilità di ore di lavoro più lunghe e, sorprendentemente, producendo un senso di diminuita flessibilità. Il rischio è che la troppa flessibilità potrebbe portare al troppo lavoro, al non staccare mai. Il rischio è, appunto, che il "lavoro agile" si trasformi in una "trappola flessibile". Se guardiamo agli esempi di Virgin e Netflix, in cui sta ai dipendenti decidere quando hanno voglia di prendersi qualche ora, un giorno, una settimana o un mese di ferie, con la sola consapevolezza che lo faranno quando si sentono al cento per cento fiduciosi che la loro assenza non danneggerà il lavoro, e naturalmente nemmeno la loro carriera, si potrebbe obiettare che, con una regola simile, nessuno potrebbe mai andare in ferie neanche per un momento, altrimenti sarebbe lecito sostenere che l'azienda può andare avanti benissimo senza quel dipendente e dunque tanto varrebbe farne a meno sostituendolo con un altro anche in caso di diversificazione del progetto. Balza all'attenzione, appunto per la sua ambiguità,  l'articolo 14 del citato disegno di legge, dove si stabilisce esplicitamente che dal rapporto di lavoro agile si possa recedere dando un preavviso non inferiore a trenta giorni. Andrebbe quanto meno chiarito in maniera più esplicita che il recesso riguarda solo la modalità di lavoro agile, e non il rapporto lavorativo in sé. Altrimenti al danno delle pretese “tutele crescenti” introdotte dal Jobs Act si aggiunge ora la velenosa beffa di un licenziamento ancora più "agile", senza una pur minima garanzia per il lavoratore.

In questo terribile contesto socio-culturale per cui anche "poco, pochissimo è meglio di niente", è estremamente necessario ricomporre il mondo del lavoro, rafforzare la contrattazione collettiva, costruire un nucleo di diritti universali estesi a tutte/i le lavoratrici e lavoratori. Diritti, Democrazia, Contrattazione sono principi di rango costituzionale perché è nella Costituzione che c'è il fondamento democratico del lavoro e della libertà sindacale.

Attuare l'articolo 39 della Costituzione, dando alla Contrattazione collettiva regole che ne determino l’efficacia generale ripristinando il giusto rapporto tra legislazione e contrattazione; aumentare le forme di partecipazione, consultazione e voto certificato dei lavoratori al fine di garantire sempre di più che le tutele seguano i cambiamenti organizzativi delle imprese affidando alla contrattazione a tutti i livelli la funzione regolatrice tra diritti dei lavoratori ed esigenze tecnico organizzative delle aziende; riscrivere la disciplina delle tipologie contrattuali rimettendo al centro il contratto di lavoro a tempo indeterminato e stabile, superando la precarietà attraverso la ridefinizione dei diritti collegati a quelle tipologie di lavoro riconducendole alla loro funzione di rispondere ad esigenze meramente temporanee dell’ impresa o di autonoma scelta del lavoratore. L’idea di base è che il lavoro prestato in queste forme, ove autenticamente autonomo, non sia di per sé avversato, ma non possa “costare” di meno, sia in termini di remunerazione che di diritti (anche previdenziali): è da troppo tempo, infatti, che assistiamo ad una regolazione del diritto del lavoro tendente ad offrire continue vie di fuga in termini di abbattimento dei costi del lavoro e di conseguente precarizzazione del tessuto sociale.

La Carta dei diritti universali del lavoro (o Nuovo Statuto dei Lavoratori) ha lo scopo di estendere diritti e tutele senza più distinzione tra lavoratori subordinati, precari, autonomi. L’importanza di una simile iniziativa risiede, a parere di scrive, proprio nel suo carattere innovativo e propositivo, che vede finalmente le organizzazioni dei lavoratori non limitarsi a cercare di arginare l’attacco ai diritti che ha caratterizzato la legislazione del lavoro di questo secolo, ma assumere un ruolo progressista e riformatore. Un crocevia importante, una svolta epocale che può eliminare definitivamente tutte le storture dal “Pacchetto Treu”, passando per il referendum abrogativo dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori sotto il governo Amato sino ad oggi.

Se si intende però rinforzare i diritti e individuarne di nuovi, è necessario fornire agli stessi gambe su cui camminare e fare quindi i conti con gli ostacoli che leggi e sentenze frappongono all’effettività delle tutele; non è sufficiente avere dei diritti, ma è anche necessario avere la possibilità di farli concretamente valere nel processo senza subire ingiuste penalizzazioni. A questo proposito la Carta per prima cosa ribadisce la gratuità dell’accesso alla giustizia, messa in dubbio da una tassa sugli atti giudiziari (denominata “contributo unificato”), proporzionata al valore della causa, introdotta da oltre dieci anni, dalla quale il lavoratore non è, normalmente, esentato. Prevede poi la deducibilità ai fini fiscali degli oneri affrontati per la tutela dei diritti: in altri termini si potrà finalmente scaricare la parcella degli avvocati, i quali saranno sollecitati dai clienti alla massima trasparenza nella fatturazione.

Stabilisce la competenza territoriale del Tribunale ove ha avuto luogo la prestazione di lavoro e quella del domicilio del lavoratore (o collaboratore) se viene chiamato in giudizio dal datore di lavoro. Sempre in tema di competenza, il giudice del lavoro decide anche nelle cause in materia di rappresentanza sindacale e di contrattazione collettiva ed in quelle che riguardano i rapporti di lavoro dei soci di cooperativa (comprese le questioni che riguardano il rapporto associativo), oggi paradossalmente assegnate al giudice ordinario, con grave penalizzazione processuale, in questi ultimi casi, proprio delle fasce più deboli e spesso più sfruttate. Viene stabilito il diritto del lavoratore a ottenere un provvedimento, quantomeno provvisorio, entro tre mesi dalla proposizione della domanda; il giudice potrà disporre che il datore tenuto al pagamento di compensi o condannato ad un obbligo di fare (reintegrazione, assegnazione di mansioni non dequalificanti) versi una somma di denaro per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento.

Viene abolito il “Rito Fornero”, che ha provocato solo duplicazione di cause (con duplicazione di costi) e enormi complicanze e incertezze interpretative.
Per salvaguardare, però, l’esigenza di un processo celere in caso di licenziamenti con domanda di reintegrazione, si stabilisce che per questa materia siano riservati particolari giorni nel calendario delle udienze, e che il lavoratore possa comunque promuovere un procedimento d’urgenza senza dover dimostrare l’esistenza di un danno grave e irreparabile. Stessa regola per le impugnazioni di trasferimento e per le richieste di trasformazione di contratti precari in contratti di lavoro subordinato.

La Carta prevede inoltre che il giudice possa compensare le spese in relazione alle condizioni delle parti, alla differente posizione economica e sociale, alle scarse informazioni a disposizione per valutare l’esistenza di circostanze che devono essere provate dal datore di lavoro, o per altre giuste ragioni.

Inizierà il 9 aprile 2016 la raccolta firme a sostegno della Legge di iniziativa popolare e dei quesiti referendari. In tutta Italia si terrà una campagna di iniziative nei luoghi di lavoro e nelle piazze. È possibile firmare anche online inviando una mail all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

L’obiettivo principale sarà quello di vedere approvato il nuovo Statuto dei Lavoratori. A sostegno di questa memorabile iniziativa vi sono i tre quesiti referendari già pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 69 del 23 marzo 2016, finalizzati al sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare, avranno come oggetto i seguenti temi: la cancellazione del lavoro accessorio (voucher), la reintroduzione della piena responsabilità solidale in tema di appalti e nuova tutela reintegratoria nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo per tutte le aziende con più di cinque dipendenti.

La difesa dei diritti dei lavoratori non ha colore, uniti si può.

RSA FP CGIL L'Aquila Roberto Mattioli Di Francesco

 

Ultima modifica il Giovedì, 07 Aprile 2016 14:59

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