La tassazione immobiliare resta un pasticciaccio tutto italiano, ulteriormente confermato dalle incognite contenute nella manovra finanziaria da 11,6 miliardi con gli interventi previsti dalla legge di stabilità 2014. Dopo il mantra delle ultime settimane sulla definitiva abrogazione dell’IMU sulle prime case “non di lusso”, di fatto, la tassazione immobiliare non solo non scompare, ma a dir poco viene “duplicata” con la new entry “TRISE” in sostituzione di TARES e IMU.
La TRISE, in vigore dal 2014, sarà infatti composta da due distinte imposizioni:
- la TARI: “tariffa” a copertura dei costi relativi alla gestione del servizio di igiene urbana. Sarà commisurata alla superficie calpestabile ai fini TARSU, TIA 1 e TIA2 e dal al 2014 sarà sostituita dalla TARIP sulla base di un prelievo tariffario commisurato alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti.
- la TASI, “tributo” a copertura dei costi relativi ai servizi cosiddetti “indivisibili” (illuminazione pubblica, manutenzione stradale ecc.) che sarà invece calcolata sulla stessa base imponibile dell’IMU, con una aliquota compresa tra l’1‰ e il 2,5‰, a scelta delle singole amministrazioni locali e sarà versata anche dagli “affittuari” in quota parte (10-30%) ma senza poter usufruire delle detrazioni per l’IMU (vedi detrazione base di € 200,00 oltre a € 50 per ogni figlio convivente fino a 26 anni).
Qualora le disposizioni relative all’introduzione della TASI restassero quelle previste dalla bozza del disegno di legge di stabilità, il tributo coinvolgerà oltre 5 milioni di abitazioni principali: una “base imponibile“ che, invece nel 2013, per effetto delle “detrazioni IMU”, non ha versato imposta (dati del Dipartimento delle Finanze e Agenzia del territorio).
Dai risultati forniti dal dipartimento delle Finanze , saranno proprio i contribuenti con i “redditi più bassi” ad essere sottoposti al maggior rischio di aumento d’imposizione sul “possesso della prima casa” rispetto alla modalità d’imposizione prevista dalla famigerata IMU.
Perché il paradosso è e resta tutto italiano, con un sistema di determinazione delle rendite catastali basato su criteri definiti nel lontano 1939.
A voler approfondire risulta, infatti, che le “abitazioni A/1 di tipo signorile” sono quelle inferiori a 240 mq con almeno 3 bagni con rifiniture signorili (vai a saper dopo 84 anni come considerare le “finiture signorili”: rubinetteria d’oro o d’ottone? Oppure?) oltre all’ascensore e alla portineria; in realtà nel nostro paese, molte delle “nuove” abitazioni di lusso sono accatastate con l’escamotage di non superare i 240 mq di superficie calpestabile e comunque facendo in modo che su tre bagni, solo due abbiano finiture signorili, che tradotto sul mercato immobiliare significa prezzi di vendita di di c. 10.000 € al mq.
Ma non basta: la categoria catastale A/8 censisce all’incirca 35.000 abitazioni signorili inferiori a 230 mq e con meno di tre bagni - o quanto meno solo 2 di tipo signorile - ma con un giardino non superiore a 1.000 mq. Per cui, per il catasto italiano, può non essere considerata “villa” una unità immobiliare inferiore a 230 mq, anche con tre bagni (o quantomeno due di tipo signorile, senza alcune specifica rispetto alla classificazione in essere) e magari con un giardino 950 mq.
Dopo anni di immensi sacrifici ripetutamente chiesti agli italiani, continuiamo ad essere l’unico paese europeo a non aver introdotto un’imposta “patrimoniale” e a continuare a farci del male con interventi e manovre ingiuste e inefficaci.
Se il testo resterà invariato, saremo di fronte all’ennesima manovra volta a colpire iniquamente, declinando la revisione di un sistema fiscale basato, preliminarmente, sulla “qualità dell’imposizione” stessa, per rinunciare ancora una volta all’introduzione di una ”imposta patrimoniale” o quantomeno ad una revisione delle rendite catastali e all’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, per perseguire in alternativa solo banali, inutili e indifendibili politiche di “austerity”.
Irene Barbi, commercialista L’Aquila