Martedì, 09 Ottobre 2018 10:25

La solitudine, condizione esistenziale prodotto della modernità

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Giorni fa una giovane donna si è suicidata, a L'Aquila.

Ha deciso di non riprendere sua figlia all’uscita da scuola, come faceva tutti i giorni da anni, e si è tolta la vita. Le forze dell’ordine l’hanno trovata all’ingresso del suo appartamento, nel progetto Case di Sant'Antonio.

Il suicidio nella sua ideazione ed esecuzione ha interrogato dapprima filosofi e religiosi e nei giorni nostri psicologi, sociologi e psichiatri. Le certezze a riguardo sono scarse rimanendo il suicidio un atto profondamente soggettivo e legato ai più profondi moti dell’anima. Qualcosa però sappiamo. Innanzitutto il suicidio è la testimonianza ultima che il dolore nelle sue diverse declinazioni ha sopraffatto il desiderio di vivere, Thanatos ha sconfitto Eros direbbe Freud.

Le modalità di esecuzione del suicidio e il luogo nel quale si compie l’ultimo gesto testimoniano molto del vissuto di chi si toglie la vita. Alcuni suicidi hanno cura del corpo e lo preparano alla morte, Socrate ad esempio andò a lavarsi per rispetto di chi avrebbe trattato poi il corpo, a dimostrazione della grandezza d’animo del filosofo greco. Altri suicidi straziano il proprio corpo, si danno fuoco, si gettano sotto un treno, a testimoniare probabilmente un profondo desiderio di autodistruzione; le donne generalmente tendono a mettere in atto modalità meno cruente. Il luogo nel quale si sceglie di morire è estremamente significativo, un prato nel quale si andava da bambini, il letto coniugale, sotto la finestra dell’amato, un luogo particolarmente ricco di ricordi, fuori la fabbrica che ha licenziato e altro ancora. Il luogo ci dice dov’era l’animo del suicida, dov’era il suo sentimento o risentimento.

Nel caso tragico della giovane donna lo strazio se possibile è più forte quando si accompagna al pensiero della bambina che aspetta la madre che mai rivedrà. Quanto dolore e quanta rabbia inconscia accompagneranno questa bambina anche da adulta!

Il sentimento che sicuramente è presente in quasi tutti i suicidi è la solitudine. La solitudine è principalmente una condizione esistenziale, siamo irrimediabilmente racchiusi nella nostra solitudine per quanto ci sforziamo di comunicare con il mondo, ma a volte il sentirsi soli, condizione psicologica, e l’esser soli, condizione sociologica, prendono il sapore di qualcosa di terribilmente amaro dandoci una sensazione di inconsolabilità.

La solitudine è inestricabilmente connessa con un vissuto di perdita, così si potrà avere una sensazione di solitudine depressiva, nostalgica, angosciosa, ma anche liberatoria, creativa, ristoratrice.

Le ricerche sociologiche ci restituiscono un quadro sconfortante: 8,5 milioni di italiani vivono da soli, molti di più si sentono soli senza il conforto di un amante, di un amico, di un parente; il 13,5% degli italiani (dati Eurostat) dichiara di non avere nessuno a cui rivolgersi nei momenti di difficoltà; il 12% non sa indicare una persona con la quale si confida; Telefono Amico è un punto di riferimento per milioni di persone e la traccia più scelta all’esame di maturità di quest’anno è stata quella sui diversi volti della solitudine! Fuori dai confini italiani la situazione è anche più sconfortante, negli Stati Uniti ad esempio il 29% dei anziani passa giornate senza avere contatti con nessuno (Health and Reitirement Study).

Per quanto possa sembrare paradossale, la solitudine è un prodotto della modernità. Gunther Anders nell'"Uomo è antiquato" scriveva della condizione dell’uomo moderno ammassato in enormi città e divenuto contemporaneamente un "eremita di massa", isolato davanti ad uno schermo, incapace di relazioni profonde e autentiche.

Michele Ainis in un bell’articolo elenca le principali cause della solitudine planetaria contemporanea: 

- la tecnologia di cui l’uomo è ormai un ingranaggio, ribaltando il rapporto di servizio che l’ha sempre tenuta a disposizione dell’uomo, è tra le prime cause della chiusura relazionale. Le attuali forme di comunicazione esaltano il solipsismo e la mancanza di relazioni reali, favorendo un contatto superficiale, alterato, caratterizzato da atteggiamenti deresponsabilizzanti, rancorosi, “da marmaglia”, falsi, dove prevale un Falso Sé a discapito della propria identità. La partecipazione politica da sempre momento emotivamente forte e aggregante è ridotta ad un like o un tweet, le amicizie si contano su facebook nell’ordine di migliaia di amici sostanzialmente sconosciuti;

- l’eclissi di quelli che Simmel chiamava gli a-priori della società – famiglia, chiesa, partito, vicinato - che vengono investiti da un processo di dissoluzione e lasciano l’individuo solo, separato dalla collettività di appartenenza, privato della possibilità di ricevere mappe culturali per orientarsi nel mondo, un mondo sempre più caotico. Le fonti di informazione via web e televisive non fanno altro che aumentare il caos e il disorientamento;

- la perdita dei luoghi reali di incontro sostituiti da Non-Luoghi dove mescolarsi alla folla molto spesso al fine di favorire i consumi, periferie sterminate e informi, senza piazze o con piazze vuote, raccordi autostradali gremiti come formicai dove ognuno è solo con il suo mondo artificiale;

- l’invecchiamento della popolazione, con milioni di individui ammalati cronici, soli o al massimo con la badante straniera di fronte al proprio male, allungamento dell’età media della vita che spesso diviene solo un fatto quantitativo ma non qualitativo che porta con sé lo svilimento del ruolo dell’anziano che da guida di una comunità, incaricato del trapasso di nozioni, conoscenze ed esperienze, diviene un peso da depositare in qualche luogo non avendo i familiari, stritolati dai ritmi della modernità, la possibilità di aiutarlo;

- in ultimo la precarietà dell’esistenza, gli individui, soprattutto i più giovani, sfiancati da una eterna competizione con tutto e tutti, totem della modernità, finiscono per dubitare di tutto e tutti e frequentemente si ritirano dal mondo. L’incertezza del domani ti sollecita a vivere un eterno presente nel quale non costruisci niente, niente famiglia, niente relazioni durature, nessun lavoro attraverso il quale realizzarti. In Italia, si stimano tra i più giovani 100.000 casi della sindrome Hikikomori, dal nome dello psichiatra giapponese che per primo la osservò negli anni ’80 dello scorso secolo (oltre 500.000 casi in Giappone), un progressivo ritrarsi in disparte a causa del sentimento di impotenza e fallimento che sempre più spesso ragazze e ragazzi sperimentano rispetto alle aspettative dei loro genitori, degli insegnanti, della società, oppure per noia e mancanza di slancio vitale.

In questa realtà si strutturano dei legami che vicendevolmente si amplificano, come quello tra solitudine e paura. Non sapere dov’è e qual è la verità delle informazioni che i media trasmettono, non capire chi è realmente il buono e il cattivo, osservare come i valori umani vengono calpestati da chi li sbandiera retoricamente (ad esempio, la sinistra difende il capitale e la destra si fa sociale, lasciar morire i migranti in mare è per il nostro bene), creare continui allarmi che mettono a repentaglio la nostra vita, il nostro benessere, il nostro Paese, invitare ad armarsi per difendersi e tanto altro ancora, genera negli individui soli, senza mappe culturali di riferimento, un sentimento di profondo smarrimento e angoscia che diviene paura.

La solitudine amplifica la paura che rende l’uomo assolutamente manipolabile dal Potere costituito.

Un altro legame è quello tra solitudine e narcisismo. L’idea onnipotente tipicamente moderna che ognuno di noi per realizzarsi deve vincere, apparire, possedere e per fare questo dovrà competere e sconfiggere gli altri, rendendo la cooperazione e la collaborazione dei disvalori, aumentando l’ipertrofia dell’Io e la convinzione di essere migliori degli altri e predestinati. L’unicità dell’altro con i suoi bisogni viene vissuta come una minaccia e l’unica modalità relazionale sarà quella gerarchica. Sappiamo però che il lato oscuro del narcisismo è la paura delle proprie emozioni che ci condannerà alla solitudine affettiva e sentimentale, un eremita di massa, tecnoautistico, innamorato di sé stesso.

Ultimo legame, quello tra solitudine e consumo. La sparizione dei Luoghi rimpiazzati dai Non_luoghi lascia l’uomo moderno solo, privo di tempo per relazioni profonde e affannato in continui spostamenti che rendono tutto il territorio uguale: se vivi in una grande città passerai gran parte della giornate nel traffico, se vivi in un piccolo paese montano passerai gran parte della giornate in auto per raggiungere i servizi di cui hai bisogno e che il piccolo centro non ha più. Il trionfo della globalizzazione, aver omologato stili di vita in luoghi totalmente diversi. E il trionfo della velocità - della tecnologia, dei consumi, dello sconfinamento dei limiti della natura - un fenomeno sfuggito a qualsiasi controllo politico, ed ecco che allora l’incidente, anzi la catastrofe, come afferma Paul Virilio, diventa inevitabile.

L’individuo sempre di corsa vivrà, diceva Ivan Illich, ad alto consumo energetico e a bassa intensità di relazioni e, parafrasando Galimberti, non è stato il comunismo, come si pensava, ad uccidere la famiglia, ma il capitalismo che con i suoi ritmi frenetici e competitivi ha privato gli uomini e le donne della possibilità di crescere ed educare i figli dedicando loro il tempo necessario. Con la conseguenza (ancora Galimberti) che già nei primissimi anni di vita di un essere umano, quando avviene lo sviluppo delle sue mappe cognitive, generiamo confusione tra il bene e il male, quando noi genitori con sempre meno tempo a disposizione da dedicare alla relazione con i nostri bambini interponiamo tra loro e l’esperienza diretta del mondo la realtà virtuale dei dispositivi elettronici con cui il bambino “gioca” alle armi e alla morte.

La modernità consumistica e tecnologica, però, offre soluzioni ai guasti che produce, rialimentandosi continuamente: gli psicofarmaci a dosi massicce e somministrati ormai anche ai bambini (i tassi di profitto delle case farmaceutiche sono più alti di quelli di qualunque altro settore), i centri commerciali mettono a tacere il grido della solitudine, l’arma di comunicazione di massa è diventata strategicamente più efficace dell’arma di distruzione di massa (ancora Virilio). L’individuo separato o è bestia o è Dio, diceva Aristotele, o è un consumatore/elettore alla mercé di un Dio, si potrebbe aggiungere.

Sperimentare l’umanità è diventato un difficile esercizio nel nostro mondo, nelle nostre città sempre più caratterizzate da chiusura ed esclusione. Perché l’umanità è relazione e comunione. Troppo difficile per sempre più persone, che quindi scelgono di non scegliere più, come la madre suicida. Suprema affermazione di libertà che si fa perdita della libertà stessa. Appena un attimo di silenzio, poi riprendiamo, la corsa senza meta.

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