Tutto chiuso, anzi no.
A tre giorni dall’approvazione del Dpcm che ha imposto la serrata di molti settori produttivi, all’Aquila sono ancora molte le aziende che proseguono la propria attività. Il che vuol dire che ci sono ancora molte centinaia di persone che ogni giorno escono di casa e si spostano per recarsi sul posto di lavoro.
A rimanere aperti e operativi non sono solo gli stabilimenti del settore farmaceutico, i call center, le industrie del petrolchimico e le aziende del comparto della logistica – tutte rientranti tra le deroghe espressamente previste dal Governo - ma anche quelle attività che, pur non essendo classificate come essenziali, possono comunque continuare ad operare, “previa comunicazione al prefetto”, in quanto “funzionali ad assicurare la continuità delle filiere di cui all’allegato 1 (quelle che non devono chiudere, ndc)”.
Così recita infatti il famigerato comma D dell’articolo 1 del provvedimento, che in pratica concede potenzialmente a ogni azienda la facoltà di rimanere aperta, scaricando sulle spalle dei prefetti valutazioni e decisioni molto delicate. Una situazione che sta generando non poca confusione, tanto che ieri Fim/Cisl e Fiom/Cgil, i sindacati del settore metalmeccanico, hanno chiesto espressamente la chiusura di tutte le aziende che non operano in settori strategici per il superamento dell’emergenza.
Tra gli stabilimenti che, dall’inizio dell’emergenza, non si sono mai fermati, ci sono quelli del settore farmaceutico.
All’Aquila, com’è noto, sono presenti tre importanti aziende: Dompè, Menarini e Sanofi, ognuna delle quali dà lavoro a centinaia di persone (circa 200 Dompè, 150 Menarini e oltre 300 Sanofi, tra dipendenti e interinali). Per continuare a garantire la produzione rispettando le prescrizioni sulla sicurezza, tutte e tre hanno adottato, d’accordo con i sindacati, misure molto simili: smart working per buona parte del personale amministrativo (per ridurre il più possibile la presenza dei dipendenti all’interno degli stabilimenti); turni più corti di mezz’ora per chi lavora sulle linee produttive (dove comunque già si rispettavano regole molto rigide, per esempio sulle distanze di sicurezza e sull’uso di dispositivi di protezione individuale), per evitare il formarsi di affollamenti nei locali spogliatoi (che vengono comunque sanificati tra un turno e l’altro); ingressi contingentati nelle sale ristoro e nelle sale mensa.
Si continua a lavorare anche nello stabilimento di Bazzano della Vibac (gruppo attivo nel campo della produzione di materie plastiche), che conta circa 140 dipendenti. Nonostante l’emergenza, l’azienda sta continuando a pieno ritmo, non avendo subito cali o flessioni delle commesse, anche se sta scontando qualche problema nei rifornimenti e nella spedizione degli ordini, per via delle restrizioni imposte a livello nazionale ai trasporti. Solo il 5% dei lavoratori, fanno sapere le Rsu, ha deciso di usufruire di qualche forma di congedo.
Tra i settori ritenuti essenziali dal governo c’è sia quello dei call center sia quello della logistica e dei trasporti.
Categoria, quest’ultima, in cui rientrano tutti i corrieri espresso, che in questi giorni, con la maggior parte dei negozi chiusi, hanno un bel da fare nel consegnare i prodotti ordinati online da chi è confinato in casa. I sindacati stanno cercando di trattare affinché venga diminuito almeno il volume delle consegne, limitando queste ultime ai prodotti essenziali. Per quanto riguarda i call center, un settore che all’Aquila dà lavoro a quasi mille persone, nelle tre aziende presenti sul territorio (Comdata, Tecnocall e Distribuzione ITalia) sono state attivate, già da qualche giorno, forme di smart working che hanno ridotto di molto la presenza dei lavoratori, benché siano ancora molti quelli che continuano a recarsi in ufficio. A Comdata, per esempio, dove lavorano oltre 500 persone, meno di 200 hanno potuto dare ricorso, finora, al lavoro agile.
Ricorso massivo allo smart working anche per Thales Alenia e Leonardo, i due colossi attivi di settori strategici dell’aerospazio e della difesa che all’Aquila sono presenti con due sedi dove lavorano, complessivamente, quasi 500 persone. La presenza del personale negli stabilimenti è ridotta al minimo già da diversi giorni ma i sindacati stanno premendo affinché si arrivi a una chiusura totale.
Tra le aziende che invece, per continuare ad operare, hanno dovuto usufruire del comma D del decreto del governo, c’è la Optoplast, gruppo attivo nella vendita di cavi e connettori audio e video in rame e in fibra ottica con un fatturato annuo da oltre 30 milioni di euro.
All’Aquila Optoplast ha una sede nel nucleo industriale di Bazzano, dove lavorano oltre 50 persone, tra dipendenti diretti e cooperative.
“Gli ordini non mancano, continuiamo a lavorare nel rispetto di tutte le prescrizioni sulla sicurezza” spiega Pierpaolo Piccioni, il direttore dello stabilimento “Ci siamo fatti trovare abbastanza pronti anche perché le nostre linee produttive erano già organizzate affinché tra un lavoratore e l’altro ci fosse una certa distanza. Quello che ci sta dando problemi in questo momento è l’approvvigionamento delle materie prime ma soprattutto le consegne, sia quelle in Italia che quelle destinate al mercato estero”.