“In una prima fase si era pensato che l’emergenza che stiamo vivendo, dal punto di vista economico, potesse essere avvicinabile alla grande crisi finanziaria del 2007/2008; oggi, possiamo affermare con un certo grado di certezza che è di gran lunga peggiore e, dunque, ci troviamo dinanzi ad una situazione particolarmente complicata che necessiterà di risorse ingentissime, di gran lunga superiori a quelle messe in campo all’epoca”.
E’ un quadro a tinte fosche quello dipinto dall’economista abruzzese Giuseppe Mauro che parla, esplicitamente, di “economia di guerra: la fine dell’epidemia - avverte - ci indurrà ad un dopoguerra piuttosto difficile”.
Mauro sottolinea come le azioni messe in campo dal Governo siano “necessarie, rispettabilissime: vanno incontro alla fase iniziale dell’emergenza - riconosce - ma insisto nel dire che ci troviamo dinanzi ad una catastrofe economica, devastante, che necessiterà di risorse assai superiori a quelle stanziante sino ad ora. Nei primi 5 o 6 mesi del prossimo anno, stando alle indicazioni di Confindustria, dovremmo avere una flessione del prodotto interno lordo pari al 10%, per recuperare qualcosa nei mesi a seguire e chiudere con un calo del 7%; se trasferiamo queste proiezioni all’economia abruzzese, significa una perdita secca di 3 miliardi nel corso dell’anno che, con la dovuta attenzione, e se si dovesse confermare una lieve ripresa nella seconda parte dell’anno, porterebbe a fine anno ad una perdita che potrebbe attestarsi sui 2 miliardi, 2 miliardi e mezzo. Sono cifre decisamente negative, evidentemente”.
Giuseppe Mauro ribadisce come la crisi economica incombente, per la prima volta, abbracci tutti i comparti produttivi, dall’economia al turismo, dai trasporti all’edilizia che è strettamente connessa al ciclo economico: non solo, “influenzerà negativamente anche il commercio con l’estero, e così il settore agro-alimentare che, in Abruzzo, stava registrando un trend di crescita interessantissimo”.
E’ per questo che i mesi a venire saranno particolarmente duri, e l’economista non nasconde la sua preoccupazione per la tenuta dell’economia regionale, più esposta di altre allo tsunami economico che seguirà la crisi sanitaria: “l’Abruzzo ha una struttura produttiva particolare; ci sono poche grandi imprese che stanno sui mercati internazionali, e danno un contributo importante alla formazione del pil regionale, ed un tessuto di piccole imprese, una moltitudine, che già negli anni passati, soprattutto sotto il profilo occupazionale, soffriva enormemente rispetto allo scenario economico che andava configurandosi in termini di competitività internazionale. Un solo riferimento: rispetto alla crisi finanziaria del 2007/2008, l’Abruzzo deve ancora recuperare 11mila posti di lavoro. Ecco il motivo per cui la leggera ripresa che si stava configurando potrebbe essere completamente azzerata”.
Rispetto a questi scenari, la risposta dell’Europa è ancora insufficiente: “ritengo che la strada vincente sia quella indicata inizialmente, e cioè l’intervento che va sotto il nome di ‘Eurobond’, prestiti garantiti dai paesi membri con immissione di liquidità senza vincoli per affrontare una serie di interventi, in particolare pubblici. L’Europa deve mostrarsi aperta, partecipata e integrata tra i diversi paesi”.