Sabato, 07 Gennaio 2017 21:06

In Libia tra i dannati della terra: intervista al fotografo e videomaker Marco Salustro

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I Rory Peck Awards sono un prestigioso premio internazionale riservato ai freelance. Sponsorizzati dalla Sony, sono promossi dalla Rory Peck Trust, un’organizzazione caritativa fondata nel 1995 che prende il nome dal cameraman Rory Peck, cameraman nordirlandese ucciso a Mosca nel 1993.

I Rory Peck Awards sono dedicati al lavoro dei cameraman freelance nel settore delle news internazionali e dell'attualità e riconoscono l'impegno di giornalisti, videogiornalisti e filmmaker indipendenti che da soli offrono la copertura degli eventi e portano alla luce le storie di molte delle zone più difficili del pianeta.

Ogni anno, gli Award riuniscono la comunità internazionale dei freelance per celebrarne il lavoro e mostrare perché meritano riconoscimento, supporto e protezione.

Il premio è suddiviso in varie categorie. Nell’edizione 2016, il Rory Peck Award for News Features è stato vinto dal fotografo e videomaker italiano Marco Salustro.

Nato e cresciuto all’Aquila, città dove risiede tutt’ora, Salustro - freelance con, alle spalle, importanti lavori realizzati in giro per il mondo (ha collaborato, tra gli altri, con Vanity Fair Italia, Le Figaro, Paris Match, The Guardian, Daily Telegraph, Los Angeles Times, Le Monde, De Standaard, European Press Photo agency, Corbis, Ifad e Fao) - si è aggiudicato il premio con il lavoro Libya’s Migrant Trade: Europe or Die, commissionato e trasmesso da Vice News, piattaforma news statunitense con sedi sparse in vari paesi.

Girato nel giugno del 2015, il video reportage documenta le condizioni inumane, gli abusi e i maltrattamenti subiti dai migranti all’interno dei campi di detenzione non ufficiali gestiti dalle milizie locali libiche.

“Il film” si legge nella motivazione con cui la giuria ha premiato il documentario “trasmette il vero senso di paura, insicurezza e mancanza di speranza che questi migranti hanno. Non c'è nessuna agenzia delle Nazioni Unite che li salvi o li sostenga. Non c'è nessun governo che li aiuti veramente. Sono intrappolati in un limbo. Questo film colpisce lo spettatore e lascia un segno profondo ben oltre la visione”.

Marco Salustro ha ritirato il premio dal filmmaker Brian Woods di True Vision Productions (foto sotto), membro della giuria per la categoria News Features in una cerimonia svoltasi a Londra alla BFI Southbank lo scorso 7 dicembre (clicca qui per guardare il video della premiazione). 

Marco Salustro premiazione

Marco, cosa volevi raccontare con il tuo lavoro?

Volevo mostrare il ruolo assunto dalle milizie nella gestione del flusso dei migranti dopo che l’Unione Europea aveva minacciato di bombardare la Libia se il governo non avesse stoppato il traffico di esseri umani. Mi interessava far vedere le conseguenze e gli effetti delle decisioni dell’Europa sulla tratta dei migranti, decisioni improntate spesso a politiche miopi. Un capo dipartimento del ministero che intervisto nel documentario ammette che il governo libico non aveva i mezzi per far rispettare la legge e gli impegni presi con la comunità internazionale. Di qui la decisione di stringere un patto le milizie, del tipo: “O ci aiutate o ci bombardano”. Le milizie hanno subito capito che un loro coinvolgimento avrebbe potuto essere un’occasione per mostrare che avevano il controllo del territorio e quindi far leva sul governo. Il fatto è che, una volta raggiunto l’accordo, le milizie hanno cominciato ad arrestare persone, soprattutto migranti provenienti dalla fascia subsahariana, indiscriminatamente, sequestrandole, letteralmente, per strada con delle vere e proprie retate, al termine delle quali queste persone si sono ritrovate imprigionate senza nemmeno sapere il perché.

Il tuo reportage è stato realizzato nel giugno 2015. Dove sei andato per girarlo?

A Tagiura, nel distretto di Tripoli. Sono stato lì tre settimane. Ero stato in Libia già altre volte e avevo già fatto un altro film sui migranti, nel 2014, ragion per cui avevo già parecchi contatti. Quello che era cambiato dal 2014 era, appunto, che, in seguito al naufragio in cui morirono 900 migranti, l’Ue aveva minacciato di bombardare il paese. Il governo libico di allora, composto da un gruppo di milizie riunitesi sotto la sigla Libiadone, fece una dichiarazione dicendo che si sarebbe preso carico della situazione bloccando il traffico. Mi hanno chiamato, insieme ad altri giornalisti, perché volevano far vedere quanto erano bravi a fermare i migranti. Ma mentre gli altri colleghi, finito il pezzo, sono andati via, io sono tornato. La milizia che gestiva il campo, originaria di Bengasi, voleva utilizzare i migranti per mettere il governo davanti al fatto compiuto in merito al suo controllo del territorio. Un’esposizione mediatica, dal punto di vista dei miliziani, poteva essere utile per fare pressione. Dopo qualche giorno, però, hanno cambiato idea e non mi hanno fatto più entrare.

Questo desiderio delle milizie di accreditarsi agli occhi del governo spiega anche perché, nel video, le scene più forti e le immagini più crude siano state girate non con una telecamera nascosta ma con l'obiettivo bene in vista. Le milizie non si rendevano conto della disumanità dei trattamenti riservati ai migranti?

Quello che si vede nel video - gli abusi, i maltrattamenti - per loro, i miliziani, non era un problema, una cosa da nascondere. Naturalmente ci sono cose che non mi hanno fatto filmare e che mi sono state raccontate dalle persone che ho intervistato, come uccisioni e torture. Ma, ad esempio, il fatto di frustare delle persone per spostarle da una parte all'altra non è una cosa che loro consideravano un abuso. Rientra un po’ nello stile libico, una lunga tradizione di violenze che c’era, ad esempio, già ai tempi di Gheddafi e degli accordi con Berlusconi. La cosa triste è che le milizie si rendono perfettamente conto che all’Europa tutto ciò non interessa e che anzi loro fanno un lavoro sporco proprio per conto dell’Europa. Ci tenevano a far vedere che erano bravi a fermare i migranti e non si facevano problemi a usare mezzi illegali per raggiungere l'obiettivo.

Cosa è cambiato da allora? Sei più tornato il Libia?

No, non sono più tornato. Adesso, con il Migration compact, il flusso dei migranti è stato bloccato al di sotto della Libia, ad esempio in Niger, dove però rischiano di esserci conseguenze sociali ed economiche disastrose, perché il trasporto di uomini per il deserto, per molti abitanti del paese, uno dei più poveri al mondo, era anche l’unica fonte di sostentamento. In Libia, da quello che so, adesso le milizie sono completamente fuori controllo, non c’è nemmeno più una parvenza di controllo statale. Il Paese si è frazionato ancora di più, le città, dove ci sono i check point e si spara, sono in mano alle tribù. La Libia, ora, è un paese di signori della guerra. E il traffico di migranti non ha più ostacoli.

Anche Sarraj, malgrado i governi europei, tra cui l’Italia, non facciano altro che ripetere di volerlo sostenere, sembra una figura molto debole.

Sarraj controlla solo una parte di Tripoli, dove è potuto andare solo perché era sostenuto dalle milizie più potenti. Ma non c’è un controllo statale, il territorio è tutto in mano alle milizie. Alcune sono composte da islamisti, altre da semplici criminali, altre ancora sono comitati locali. Ogni 10 km c’è un signore della guerra. L’avvento di Sarraj ha spaccato il fronte comune delle milizie, che si era costituito sotto Haftar. Lui stesso dice che non ha i mezzi per fare nulla. L’Europa continua a fare pressioni perché fermi l’Isis e i migranti ma la Libia ha enormi problemi di sicurezza e di mancanza di beni più essenziali. È una politica miope sostenere Sarraj solo nella speranza che risolva il problema dei migranti e dei terroristi islamici. Non so se potrà unificare il paese, ma credo di no.

E l’Isis? E’ davvero scomparso con la caduta di Sirte?

Sirte è caduta ma l’Isis in Libia è tutt’altro che sconfitto. Molti militanti che si erano dispersi prima della caduta della città sono ancora in giro sotto forma di cellule dormienti, altri combattenti continuano ad arrivare, soprattutto dalla Tunisia, il paese che esporta più foreign fighters al mondo. E’ molto probabile che ci saranno attentati, in futuro. E' bene chiarire che quando diciamo tutto questo parliamo solo del nord. C'è anche tutto il sud, che è allo stato selvaggio. Lì ci sono le tribù nomadi che si spartiscono il territorio senza poterlo controllare del tutto, visto che il deserto è troppo vasto.

Ultima modifica il Lunedì, 09 Gennaio 2017 19:37

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