"Habitat - note personali" di Emiliano Dante è un film riuscito. Dal Torino Film Festaval, dove ha seriamente rischiato di vincere la sezione documentario, è arrivato questa settimana a L'Aquila film festiaval dove martedì sera ha ricevuto una buonissima accoglienza: "E' stato bello proiettarlo qui - rivela Dante a NewsTown nell'intervista sopra - perché un conto è raccontare il film a chi non sa cos'è successo a L'Aquila e un altro è farlo a chi lo sa benissimo. La risposta è stata molto calorosa, va bene che è un pubblico amico ma non credo sia stato solo una questione di amicizia ma di comunicazione".
Habitat è il racconto tetro e disincantato della vita quotidiana di alcuni terremotati all'Aquila: "Ho cercato di esprimere una dimensione personale dell'essere terremotati" ci ha detto il regista, protagonista a sua volta del suo film girato quasi interamente in bianco e nero.
E su questa scala di grigi che Dante racconta l'abitare nel post sisma. Proprio la sua storia nel Progetto case di Cese di Preturo, risulta una delle critiche più sentite mai fatte da un'abitante a queste costruzioni: "La domanda fondamentale del film - spiega il regista - è quanto l'idea che c'è dietro un luogo determina come tu vivrai quel luogo. Nel momento in cui il Progetto case cerca di farti sembrare non un terremotato ma un cittadino della Brianza e cerca di portarti i più lontano possibile dalle tue abitudini, evidentemente cerca di negare l'importanza dell'esperienza che hai vissuto e questa rimozione non è positiva perché non permette nessuna elaborazione ed è sua volta traumatizzante".
Il lavoro di Dante si inserisce in una fase in cui finalmente a L'Aquila sembra esserci uno sblocco intellettuale da parte di creativi indigeni su quanto vissuto negli ultimi cinque anni e mezzo. Un'autocoscienza amara ed oscura che restituisce finalmente al Paese le scorie di una condizione difficile su cui tanti e in vari modi, hanno peraltro tentato di speculare: "Una vita difficile che facciamo finta che non lo sia perché abbiamo nuovi locali e nuove abitudini ma non è molto esaltante. Allo stesso tempo però è unica perché veniamo da una nostra storia particolarmente forte rispetto agli altri posti, quindi rinunciarci è pure difficile e non so dove porta questo combattimento interiore".
Lo stesso Dante che ha realizzato anche questo lavoro a zero budget, aveva realizzato nel 2011 "in to the blue" sempre sulla condizione personale di vita nel dopo terremoto: "Nel 2011 la situazione era un po' meno pronta: c'era una certa stanchezza a parlare di terremoto e c'era un rapporto molto strano tra persona e città. Probabilmente oggi possiamo iniziare a guardarla da una certa distanza anche rispetto al nostro vissuto personale quindi questa prospettiva ha permesso al film di avere una sua compiutezza".