Mercoledì, 03 Luglio 2013 08:11

L'Aquila, il cambiamento e la comunità secondo il fotografo Roberto Boccaccino

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Roberto Boccaccino, 29 anni originario di Benevento e residente a Palermo, è un fotografo talentuoso. Nonostante la giovane età, ha già collezionato diversi premi internazionali e un curriculum di tutto rispetto: vincitore del Danish Press Photo nel 2010, è stato anche finalista al Festival Internazionale della Fotografia di Roma lo scorso anno. Vanta inoltre collaborazioni con testate prestigiose come il New York Times Lens, La Repubblica e GQ. Nell'aprile 2012, l'approdo all'Aquila. Di qui passione per il lavoro e attrazione per “la città che cambia” hanno affezionato Boccaccino al capolugo di regione. Grazie al minuzioso lavoro di ricerca fotografica, è diventato un attento osservatore della città, tanto da riuscirne a cogliere alcune sfumature che sfuggono ai più.

Roberto, hai visto per la prima volta L'Aquila poco più di un anno fa, poi sei tornato altre quattro volte, tra qualche giorno ripartirai ma a giugno sei rimasto un mese. Come sei finito all'Aquila?
Mi sono sempre occupato di tematiche giovanili, un amico che ha vissuto all'Aquila mi disse che sarebbe stato interessante occuparsi delle interazioni sociali qui. So ovviamente di non essere né il primo, né l'ultimo. La maggioranza dei fotografi però sono venuti durante la fase emergenziale. Al momento non ho conoscenza di fotografi che stiano facendo un lavoro di ricerca a lungo termine come quello che sto facendo io.

Qual è la prima cosa che ti ha colpito una volta arrivato all'Aquila? Per quanto riguarda il lavoro, hai mantenuto l'idea iniziale con cui sei arrivato oppure, come spesso succede, l'idea stessa si è evoluta?
La prima impressione è quella di trovarsi appunto in una non-città, a causa di una serie di luoghi e riferimenti che sono scomparsi. Quello che con il tempo è cambiato – sia nella mia analisi che nel lavoro che sto svolgendo – è che ora sembra essere una città, per quanto riguarda soprattutto molte dinamiche umane e sociali. Si è ricostruito un certo tipo di vita, ma in maniera diversa. Una vita collettiva che implica una serie di codici differenti da altre realtà urbane, ma che in qualche modo funzionano.

roberto boccaccinoPer esempio?
Sono rimasto colpito dal fatto che tutto sia apparentemente periferia. Però sono evidenti dinamiche che non sono esclusivamente tipiche della periferia: movimenti di persone, necessità, bisogni che in qualche modo vengono soddisfatti a pieno anche in un contesto particolare come questo. Mi ha colpito molto l'estensione e la struttura urbana di questo luogo. Nonostante il contesto, esistono comunque relazioni sociali molto più genuine rispetto a quelle che si possono immaginare da un ambiente così artefatto e modificato.

Secondo te c'è un adattamento da parte della fascia giovane della popolazione aquilana in questo nuovo contesto?
Più si è avanti con l'età e meno ci si adatta al futuro, è un concetto semplice e anche molto vero qui. La città è cambiata, sicuramente c'è una resilienza maggiore all'Aquila. In un periodo come questo – segnato dall'incertezza, dalla crisi, dalle precarietà e dalle 'flessibilità' – la resilienza diventa fondamentale.

Come hai impostato il tuo lavoro fotografico?
L'Aquila per me è stata e continua ad essere un esperimento, in termini di approccio, linguaggio e mezzi utilizzati. Il progetto e i soggetti si discostano di molto da quello che ho fatto in precedenza. L'impronta iniziale era basata sul rapporto tra tessuto urbano e tessuto sociale, ma evolvendosi il mio rapporto con la città mi sono accorto che volevo fare un lavoro molto meno documentale di quello che avevo in mente all'inizio e che avevo voglia di decontestualizzare L'Aquila dagli eventi che hanno prodotto l'immaginario comune. In Italia più che all'estero L'Aquila è diventata un'icona, un simbolo; quando parli dell'Aquila ci sono tutta una serie di cose che ti vengono in mente: dai palazzi crollati a Berlusconi, al progetto C.a.s.e., è insomma ridotta a una serie di simboli. Il tentativo è stato quello di tirare un po' fuori L'Aquila da questo simbolismo e considerarla non tanto come conseguenza di qualcosa ma come causa di qualcos'altro.

Quali sono i soggetti delle tue fotografie?
Nella prima parte di quest'anno mi sono concentrato sugli spazi e sugli interni. Con il passar del tempo ho creato un corpo di lavoro di cui ero tendenzialmente soddisfatto, ma avevo bisogno di esseri umani, di metterci in mezzo una figura umana che non fosse meramente strumentale a fotografare lo spazio. Ultimamente, ho fotografato molto di più persone e interazioni umane, che andranno combinate con tutti gli scatti sugli spazi e gli interni. E' un lavoro di ricerca fotografica, cerco di utilizzare simboli o segni piuttosto che immagini già utilizzate come, per esempio, può essere Piazza Duomo. Certo, il terremoto è inevitabilmente sempre sullo sfondo: il tentativo è rendere implicito tutto ciò e cercare di esplicitare altre significazioni.

boccaccino1E il tuo rapporto con i soggetti che fotografi?
Chiedo spesso alla persone come pensano che “finirà questa storia”, la ricostruzione, la città. La visione di chi ho conosciuto è per lo più pessimistica. Però è innegabile che sia percepita da tutti la 'città di transizione", che è diversa da quella di prima e che sta creando comunque le basi per la città del futuro. Credo che difficilmente il centro storico verrà recuperato così come era prima, nel frattempo però si sta ricostruendo un nuovo luogo urbano, ci sono le basi per una 'città futura'. Insomma, L'Aquila è indubbiamente un posto particolare, che da' la percezione di essere congelato e immobile, ma in realtà muta molto più velocemente di tante altre province italiane. Il terremoto è stata una tragedia e continua ad essere il problema principale degli aquilani, ma in qualche modo ha creato anche un dinamismo molto forte, che dura ancora oggi e produce segni nella comunità.

Stai per ripartire, ma dici che tornerai per una sesta volta. Con uno sguardo inevitabilmente 'esterno', noti delle differenze a ogni tuo ritorno in città?
Le evoluzioni più evidenti, a mio avviso, sono sicuramente quelle del contesto urbano, dei luoghi che cambiano: cantieri, palazzi che c'erano e non ci sono più, palazzi che non c'erano e ora ci sono. I lavori sono più lenti di quello che ci si potrebbe auspicare, ma qualcosa c'è. Non mi sembra tutto congelato, succedono tante cose insomma. La città poi, dal punto di vista studentesco e giovanile, è molto più viva di quanto si possa immaginare. Mi incuriosisce il fatto che sia codificato il giovedì sera - quello comunemente detto “giovedì universitario” - in maniera così metodica, che sia diventata l'esplosione settimanale. Mi interessa tutta questa vita che esplode come se dovesse riempire ogni giovedì degli spazi vuoti.

Quando potremo vedere qualche foto?
Adesso ho raccolto il materiale e ora dovrò lavorare sull'editing, che farà prendere forma al lavoro. Spesso mi succede di voler 'far lievitare' il mio progetto fotografico. A volte poi ne sono effettivamente soddisfatto solo dopo parecchio tempo la conclusione del progetto stesso. Spero di pubblicare qualcosa nel prossimo autunno. Una data simbolica in cui mi piacerebbe presentare qualcosa all'Aquila potrebbe essere il quinto anniversario del terremoto.

 

 

Ultima modifica il Mercoledì, 03 Luglio 2013 10:15

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