Nel quinto anniversario del terremoto, commemorato qualche giorno fa, le arti visive - e in particolare la fotografia - hanno avuto un ruolo primario. Dai muri di cantiere del centro ai palazzetti storici ristrutturati, L'Aquila è stata raccontata anche e soprattutto attraverso le immagini.
Già nel luglio scorso, NewsTown aveva incontrato il giovane talentuoso fotografo Roberto Boccaccino (foto a sinistra), che da due anni, per motivi di ricerca e di lavoro, frequenta il capoluogo abruzzese. In quella occasione Boccaccino ci aveva raccontato il suo lavoro – allora in corso di realizzazione – sugli spazi e sui luoghi della città. Su come essi si fossero ricreati e risignificati dopo il terremoto. A qualche mese da quella intervista, è uscito Habitat.
25 scatti, pubblicati sul sito ufficiale di Roberto Boccaccino – "ma è una selezione di massima, il lavoro è più ampio" assicura il fotografo campano – che provano a guardare L'Aquila, uscendo dall'immaginario comune costituito negli ultimi cinque anni.
Boccaccino, ci eravamo lasciati l'estate scorsa con l'augurio di veder pubblicato il tuo lavoro nei giorni del quinto anniversario del terremoto: così è stato. Come si è evoluto negli ultimi mesi, fino a diventare Habitat?
Da due anni lavoro su L'Aquila. Sono venuto sempre per brevi periodi, di sette-dieci giorni. Queste brevi visite mi sono servite per trovare una misura con cui interfacciarmi sul territorio e poter trovare una distanza con cui lavorare. Nel mio ultimo viaggio (giugno-luglio 2013, ndr), invece, sono rimasto per più di un mese. In quel periodo mi sono accorto di essermi appropriato di quella distanza, dal punto di vista visivo e del linguaggio, e l'ho voluta utilizzare. E' stato un mese fondamentale. Molte delle foto che hanno composto il lavoro finale, infatti, sono state scattate in quel periodo. Poi, sono andato via, ho lavorato sull'editing e mi sono confrontato con persone di cui mi fido, cercando il dialogo tra gli scatti.
Cosa vuoi comunicare con Habitat?
Durante la mia permanenza in città, mi sono reso conto che non volevo raccontare L'Aquila dal punto di vista didascalico o documentaristico. In Habitat non documento ciò che sta accadendo all'Aquila. Ho stabilito nel corso del tempo un rapporto con la città, ho tentato di studiare i rapporti tra le varie parti che compongono il territorio aquilano. Cerco di raccontare storie non molto visibili, e alcune addirittura immaginate. Ho fotografato, per certi versi, una città che non esiste. L'Aquila, oggi, vive dinamiche molto peculiari, diverse da un qualsiasi posto che comunemente chiamiamo città.
Vai e vieni periodicamente. Per quel che hai visto, L'Aquila è cambiata negli ultimi due anni?
Dal punto di vista pratico, ho visto in questi due anni un aumento esponenziale del numero dei cantieri in centro storico, anche se a macchia di leopardo. E' cambiato poi il mio rapporto con la città: all'inizio ero un osservatore distaccato, ora la vivo con molta empatia. La città, nella mia testa, è cambiata molto. Ma credo che questo ragionamento sia viziato dal rapporto che ho instaurato con il luogo e le persone che lo abitano.
Il tuo è un lavoro nato da esigenze di ricerca. Nella fruizione, c'è differenza tra aquilani e non aquilani?
Alcuni aquilani che hanno visto Habitat non hanno riconosciuto tutti i luoghi delle fotografie. Per me è positivo, perché cerco di astrarre L'Aquila da tutto l'immaginario costituito di cui è stata protagonista in questi anni. La differenza sostanziale è che, mentre la popolazione che vive in quel territorio tenta di riconoscere la propria identità nelle fotografie, coloro che non vivono all'Aquila e che non l'hanno mai vista, hanno un approccio diverso. Forse meno empatico e più distaccato. Uno dei propositi che mi sono posto nella realizzazione di Habitat è la destrutturazione dell'immaginario precostituito.
Presenterai Habitat all'Aquila?
Spero di sì, ne sarei molto felice. Magari non subito, perché non voglio rischiare che diventi autoreferenziale. Sarebbe sbagliato pensare che sia un lavoro che nasce all'Aquila come causa, e finisce all'Aquila come conseguenza. Sarebbe bello mostrarlo anche fuori dalla città. Non solo dal punto di vista etico e politico – L'Aquila è una questione nazionale – ma anche dal punto di vista del lavoro di ricerca: mostrare i luoghi in maniera diversa, sfruttando strumenti, linguaggi e codici diversi da quelli che, a mio avviso, da anni guidano la narrazione della città.
Alcuni scatti di Habitat (robertoboccaccino.it / luzphoto.com)