Lunedì, 28 Settembre 2015 00:08

Migranti: il fotoreporter Danilo Balducci racconta il viaggio verso la Croazia

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Immagini di barconi stracolmi di persone, ammucchiate come insetti. Bambini in lacrime con zaini in spalla. Treni, filo spinato, violenza. Negli ultimi mesi i nostri occhi sono stati abituati a qualunque tipo di atrocità. L'emergenza che riguarda i migranti non accenna a fermarsi e, mentre l'Europa divide la sua torta, di migrazione si soffre e si muore.

Di fronte a questa normalità, il rischio è di perdere la nostra umanità, "abituarci al dolore". Ne abbiamo parlato con Danilo Balducci*, fotoreporter aquilano che sta osservando con i propri occhi le tristi realtà di frontiera. Dal confine greco-macedone, il fotografo si è spostato lungo i valichi di frontieria che separano la Croazia con la Slovenia, l'Ungheria e, infine, la Serbia. Balducci si trova, in questi giorni, tra la città serba di Šid e quella croata di Bapska. "Rimarrò ancora un paio di giorni - ha detto - ci sono migliaia di rifugiati in questo momento che aspettano di passare in Croazia, accampati nei campi e lungo la strada".

Nei giorni scorsi la Croazia aveva deciso di chiudere i suoi confini con la Serbia causando, tra le altre cose, lunghissime code ai passaggi di frontiera ufficiali tra i due paesi. Nelle ultime ore la situazione sembra essersi sbloccata: sotto pressione della Commissione europea, il varco sarebbe ora aperto anche se "restano molte incertezze e tutto cambia di ora in ora". Molti migranti sono diretti a Opatovac, un grande campo che si trova in Croazia, a una ventina di chilometri di cammino da Bapska. Intendono raggiungere l'ovest del Paese, passare per Zagabria, andare in Slovenia e da lì proseguire per l'Austria, per raggiungere Germania o Svezia.

C'è una corrispondenza tra quanto sta accadendo e quanto viene diffuso dai media?
Guardando la cosa direttamente e stando a contatto con la realtà dei migranti, credo che quello che passi attraverso i media sia di gran lunga inferiore rispetto alla realtà. La situazione è drammatica: i migranti sono decine di migliaia.

Qual è la realtà che vivono queste persone nei campi di accoglienza?
Purtroppo finora non ho avuto accesso ai campi di accoglienza ma, solitamente e per quanto sono riuscito a capire, c'è un buon trattamento sia sanitario che assistenziale quantomeno nel campo croato di Opatovic, vicino Vucovar.

Qual è il suo rapporto con i migranti? 
Naturalmente il mio rapporto con loro è di contatto e di "amicizia". Non fotografo chi non vuole essere fotografato e quasi sempre sono disponibili: si rendono conto che non può che essere utile per loro mostrare la situazione drammatica in cui si trovano.

Come vedono gli abitanti nelle zone di frontiera la situazione che si è venuta a creare? In che modo si relazionano con loro?
Solitamente non ci sono situazioni abitative vicinissime ai borders dove si trovano a passare. Ho visto però persone che si rendono disponibili aiutandoli con viveri e passaggi in macchina, nonostante le leggi di alcuni paesi vietino di portare in macchine rifugiati. Soprattutto nella zona croata e slovena, ho visto persone scendere in strada dalle abitazioni e distribuire generi di prima necessità

La foto di Aylan Kurdi, il bambino sulla spiaggia turca, ha riaperto il dibattito sui limiti del fotogiornalismo. Un sito ha persino messo a punto un sistema per mettere a fuoco un'immagine cliccandoci sopra, che altrimenti resta sfocata e non visibile. Un modo per non ledere la sensibilità dei lettori. Cosa pensa a riguardo? Perché a scandalizzare è ancora l'immagine in sé e non ciò che rappresenta?
Questa è una questione molto complessa. La foto va fatta, è quello che succede e va mostrato: non vedo nessun motivo per il quale non scattare quella foto se può servire a mostrare la cruda realtà. Quindi direi che il vero problema dell'immagine del bimbo morto sia da prendere in considerazione non dal punto di vista fotogiornalistico ma dal punto di vista del ricevente, di chi guarderà quell’immagine. Quanto si può innalzare la soglia del dolore? Fino a che punto possiamo spingere il nostro cervello a resistere al dolore? Il rischio è questo, che ci si abitui, che si crei una corazza. E' facile abituarsi al dolore ma ognuno di noi dovrebbe sottrarsi a questo. Indurire il cuore per non soffrire sarebbe un errore gravissimo, come evitare di pensarci e di guardare.

Stare a stretto contatto con la sofferenza e le speranze di queste persone ha cambiato il suo modo di vedere la questione dei migranti in Europa?
No, sono sempre stato dell'opinione che vanno accolti nel migliore modo possibile. Le migrazioni ci sono sempre state. Chi ha paura di accogliere persone in difficoltà non merita neanche considerazione, è solo un caso che siano loro a fuggire e cercare una vita migliore, potremmo essere noi al loro posto, ci penso sempre.

Cosa riporta a casa a livello umano?
Porto con me decine di storie che mi hanno arricchito, alcune sono pugni nello stomaco, altre mi hanno fatto venire gli occhi lucidi. Vedere un poliziotto croato che piange perché nel 1991 era un rifugiato durante la guerra, mi ha fatto capire molte cose. Sicuramente uscendo da esperienze del genere il metro di misura cambia: ti rendi conto che ciò che spesso ci fa soffrire è una piccola cosa rispetto a ciò che vivono queste persone. Per giorni di cammino sotto la pioggia e nel fango o sotto il sole cocente, con anziani e bambini al seguito: disperazione, rabbia e volontà sono visibili negli loro occhi. Credo sia una cosa che non si può capire neanche standoci a contatto. Qualche giorno fa, mi trovavo al confine sloveno e c'era, tra gli altri, un ragazzo dentro la recinzione della polizia. Quando io gli ho detto che capivo la sua disperazione mi ha risposto: "No, non la puoi capire perché io sto da questo lato e tu sei fuori la recinzione, non la puoi capire perché sono io il rifugiato sotto la pioggia, tu no, tu tornerai a casa". Questa cosa mi ha fatto pensare e stare male. Ricordo i suoi occhi. Non dimentico le sue parole. Non le dimenticherò mai.

*Danilo Balducci, aquilano classe 1971, è stato docente di fotografia e reportage presso l’Accademia di Belle Arti dell'Aquila. Il suo lavoro da fotoreporter ha ottenuto diversi riconoscimenti a livello internazionale. Ultimo il successo al FIIPA (Fiof Italy International Photography Awards), dove è risultato Absolute Winner nella categoria "People" e ha ricevuto altre cinque Honorable Mention nelle categorie "Reportage", “Portraits” e “People". Le sue immagini e le sue storie sono state pubblicate su giornali e riviste nazionali ed internazionali: Time, Life, Denver Post, Internazionale, Der Spiegel, Daily News, L'Espresso, Repubblica, Panorama.

Ultima modifica il Martedì, 29 Settembre 2015 08:27

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