Alle 2.50 del 5 settembre 1970, un terremoto politico investe l'America Latina. Lo spoglio delle schede è finito: Salvador Allende, medico, socialista, candidato di Unidad Popular, ha conquistato la maggioranza relativa alle elezioni presidenziali cilene. Per la prima volta un marxista può diventare capo di un governo nell'emisfero occidentale grazie ad una vittoria elettorale e non ad una insurrezione armata. Da Roma e da Parigi, capitali del marxismo europeo, arrivano a Santiago del Cile giornalisti, analisti politici, semplici militanti ansiosi di capire l'inedita formula cilena.
"Caro Allende, tu con altri mezzi cerchi di ottenere la stessa cosa", gli scrisse Che Guevara, dedicandogli una copia del suo libro "La guerra di guerriglia". E il Che aveva ragione: anche Allende vuole la rivoluzione, la sovversione degli equilibri economici esistenti, la socializzazione dei mezzi di produzione, ma promette di realizzare queste trasformazioni nel rispetto della costituzione e della legalità. Non è cosa da poco e lui ne è cosciente al punto di dire che "il nostro esperimento non sarà meno importante della rivoluzione russa".
Fantasie? Forse, ma ci credono in molti, anche a Washington.
Salvador Allende nasce a Valparaiso, in Cile, nel 1908 da una famiglia borghese e progressista. La sua formazione giovanile è influenzata dall’incontro con Juan de Marchi, italiano emigrato in Cile con forte propensione anarchica, con il quale il giovane Allende, allora quattordicenne, si intrattiene "per scambiare opinioni sulla situazione politica cilena e internazionale".
Allende si laurea in medicina e già durante gli anni dell’università si avvicina agli ambienti marxisti, diventando uno dei fondatori del Partito Socialista Cileno. La sua carriera politica inizia proprio negli anni ’30: negli anni, è ministro in vari governi e Presidente del Senato.
Inviso agli Stati Uniti, terrorizzati dalla possibilità che il comunismo contagiasse il Sudamerica, si candida due volte alla presidenza, senza però essere mai eletto. Diventa Presidente della Repubblica del Cile alla sua terza candidatura, nel settembre 1970. Non avendo ottenuto più del 50% dei voti viene scelto dal Congresso che lo preferisce al secondo candidato più votato, Jorge Alessandri Rodriguez.
“In America Latina la grande massa comprende la tappa storica nella quale vive, prende coscienza del dramma dei Paesi in via di sviluppo e conosce perfettamente bene che il grande nemico di ieri, oggi e sempre è l’Imperialismo!”, le sue prime parole da Presidente. Una volta eletto, Allende inizia subito a muoversi per realizzare la riforma socialista della società cilena, che prevede riforme rivoluzionarie in ambito agrario con la concessione di crediti bancari ai contadini per acquistare le loro terre, salariale e di nazionalizzazione di alcuni settori e industrie, come quella del rame. Molto spesso, il Presidente ripeteva: “il rame è il pan del Cile, perché dobbiamo lasciarcelo rubare?". Il rame, la riserva mineraria più importante del Paese, in quel periodo produceva il 20% del fabbisogno mondiale. Tutta la produzione era in mano, però, alle multinazionali straniere che tra il 1965 e 1970, avevano ottenuto profitti per quasi 600 milioni di dollari. Allende introdusse anche una sorta di tassa sulle plusvalenze e annunciò la sospensione del pagamento del debito estero.
La sua politica, sempre più sbilanciata a sinistra, e i suoi stretti rapporti con Cuba, Fidel Castro trascorse un mese a Santiago nel 1971, allarmarono non poco Washington. Dieci giorni dopo il voto cileno, il 15 settembre, alla Casa Bianca si tiene una riunione a cui partecipano il presidente Richard Nixon e il direttore della Cia, Richard Helms. "Una possibilità su dieci - avrebbe detto il presidente secondo gli appunti di Helms - ma liberiamo il Cile da quel figlio di puttana! Vale la pena di provarci. Noi non saremo impegnati direttamente, nessun contatto con l'ambasciata, dieci milioni di dollari a disposizione e anche di più se necessario, impiego a tempo pieno per i nostri agenti migliori e una strategia: strozzare l'economia"
Embargo, finanziamento degli oppositori politici nel Congresso Cileno e, nel 1972, l’inconsueto appoggio economico erogato al sindacato dei camionisti, che paralizzò il paese con continui scioperi e manifestazioni. Così gli Stati Uniti contribuirono a scatenare i malumori nel Paese che si fecero sempre più forti, tanto da portare nel giugno del 1973 il generale Roberto Souper a circondare con le proprie truppe il Palazzo presidenziale con l’intento di ottenere la deposizione di Allende. Il tentativo di colpo di Stato fallì, ma portò dietro di sé un periodo di crisi per il Cile e il governo, aggravato anche da una nascente crisi economica. La Corte Suprema accusò il governo di non essere in grado di applicare la legge e gli oppositori acquistarono sempre più consensi.
Fino all’11 settembre 1973, giorno del golpe militare: le forze armate guidate dal generale Augusto Pinochet occuparono La Moneda e instaurarono una feroce dittatura, che rimase al potere per diciassette anni.
L'azione degli Stati Uniti fu certamente una delle cause che portarono alla fine tragica dell'esperienza cilena dopo soli mille giorni di governo. Ma non è da trascurare che Allende tentò la rivoluzione in un paese drammaticamente diviso, sia dal punto di vista politico che sociale ed economico. Non disponeva della maggioranza assoluta dei voti, anzi il suo governo nasceva da una vittoria elettorale risicata. Unidad Popular non rappresentava la maggioranza nel paese.
Il Presidente avrebbe dovuto scendere a patti con il parlamento, controllato dai democristiani e dalla destra, cui spettava il potere di ricusare il capo dello stato e i ministri. Inoltre, non aveva il controllo della Contraleria General de la Republica, cui spettava la supervisione sugli atti amministrativi dell'esecutivo, e della magistratura. Anche il panorama economico non era dei più favorevoli. L'indipendenza restava un sogno, visto che il 60% dell'import era strettamente legato agli Stati Uniti.
In altre parole, Allende si ritrovò per mille giorni alla guida di un Paese che non era affatto pronto a seguirlo sulla via della rivoluzione socialista. Ci provò fino all'ultimo, comunque. Anche nei momenti dell'assedio a La Moneda, il palazzo presidenziale, non smise di parlare al suo popolo. Vi proponiamo le ultime parole del Presidente Salvador Allende, prima di togliersi la vita.
7:55. Radio Corporaciòn
"Viene segnalato da informazioni certe che un settore della marina avrebbe isolato Valparaiso e che la città sarebbe stata occupata. Ciò rappresenta una sollevazione contro il Governo, Governo legittimamente costituito, Governo sostenuto dalla legge e dalla volontà del cittadino. In queste circostanze, mi rivolgo a tutti i lavoratori. Occupate i vostri posti di lavoro, recatevi nelle vostre fabbriche, mantenete la calma e la serenità. Fino ad ora a Santiago non ha avuto luogo nessun movimento straordinario di truppe e, secondo quanto mi è stato comunicato dal capo della Guarnigione, la situazione nelle caserme di Santiago sarebbe normale. In ogni caso io sono qui, nel Palazzo del Governo, e ci resterò per difendere il Governo che rappresento per volontà del Popolo. Ciò che desidero, essenzialmente, è che i lavoratori stiano attenti, vigili, e che evitino provocazioni. Come prima tappa dobbiamo attendere la risposta, che spero sia positiva, dei soldati della Patria, che hanno giurato di difendere il regime costituito, espressione della volontà cittadina, e che terranno fede alla dottrina che diede prestigio al Cile, prestigio che continua a dargli la professionalità delle Forze Armate. In queste circostanze, nutro la certezza che i soldati sapranno tener fede ai loro obblighi." Comunque, il popolo e i lavoratori, fondamentalmente, devono rimanere pronti alla mobilitazione, ma nei loro posti di lavoro, ascoltando l’appello e le istruzioni che potrà lanciare loro il compagno Presidente della Repubblica.
8:15
Vi parla il Presidente della Repubblica. Le notizie che ci sono giunte fino ad ora ci rivelano l’esistenza di un’insurrezione della Marina nella Provincia di Valparaiso. Ho dato ordine alle truppe dell’Esercito di dirigersi a Valparaiso per soffocare il tentativo golpista. Devono aspettare le istruzioni emanate dalla Presidenza. State sicuri che il Presidente rimarrà nel Palazzo della Moneta per difendere il Governo dei Lavoratori. State certi che farò rispettare la volontà del popolo che mi ha affidato il comando della nazione fino al 4 novembre 1976. Dovete rimanere vigili nei vostri posti di lavoro in attesa di mie informazioni. Le forze leali rispettose del giuramento fatto alle autorità, insieme ai lavoratori organizzati, schiacceranno il golpe fascista che minaccia la Patria.
8:45
La situazione è critica, siamo in presenza di un colpo di Stato che vede coinvolta la maggioranza delle Forze Armate. In questo momento infausto voglio ricordarvi alcune delle mie parole pronunciate nell’anno 1971, ve lo dico con calma, con assoluta tranquillità, io non ho la stoffa dell’apostolo né del messia. Non mi sento un martire, sono un lottatore sociale che tiene fede al compito che il popolo gli ha dato. Ma stiano sicuri coloro che vogliono far regredire la storia e disconoscere la volontà maggioritaria del Cile; pur non essendo un martire, non retrocederò di un passo. Che lo sappiano, che lo sentano, che se lo mettano in testa: lascerò la Moneda nel momento in cui porterò a termine il mandato che il popolo mi ha dato, difenderò questa rivoluzione cilena e difenderò il Governo perchè è il mandato che il popolo mi ha affidato. Non ho alternative. Solo crivellandomi di colpi potranno fermare la volontà volta a portare a termine il programma del popolo. Se mi assassinano, il popolo seguirà la sua strada, seguirà il suo cammino, con la differenza forse che le cose saranno molto più dure, molto più violente, perché il fatto che questa gente non si fermi davanti a nulla sarà una lezione oggettiva molto chiara per le masse. Io avevo messo in conto questa possibilità, non la offro né la facilito. Il processo sociale non scomparirà se scompare un dirigente. Potrà ritardare, potrà prolungarsi, ma alla fine non potrà fermarsi. Compagni, rimanete attenti alle informazioni nei vostri posti di lavoro, il compagno Presidente non abbandonerà il suo popolo né il suo posto di lavoro. Rimarrò qui nella Moneda anche a costo della mia propria vita.
9:10 Radio Magallan
In questi momenti passano gli aerei. Potrebbero mitragliarci. Ma sappiate che noi siamo qui, almeno con il nostro esempio, che in questo paese ci sono uomini che sanno tener fede ai loro obblighi. Io lo farò su mandato del popolo e su mandato cosciente di un Presidente che ha dignità dell’incarico assegnatogli dal popolo in elezioni libere e democratiche.
In nome dei più sacri interessi del popolo, in nome della Patria, mi appello a voi per dirvi di avere fede. La storia non si ferma né con la repressione né con il crimine. Questa è una tappa che sarà superata.
Questo è un momento duro e difficile: è possibile che ci schiaccino. Ma il domani sarà del popolo, sarà dei lavoratori. L’umanità avanza verso la conquista di una vita migliore. Pagherò con la vita la difesa dei principi cari a questa Patria. Coloro i quali non hanno rispettato i loro impegni saranno coperti di vergogna per essere venuti meno alla parola data e ha rotto la dottrina delle Forze Armate. Il popolo deve stare in allerta e vigile. Non deve lasciarsi provocare, né deve lasciarsi massacrare, ma deve anche difendere le proprie conquiste. Deve difendere il diritto a costruire con il proprio sforzo una vita degna e migliore.
9:30
Sicuramente questa sarà l’ultima opportunità in cui posso rivolgermi a voi. La Forza Aerea ha bombardato le antenne di Radio Magallanes. Le mie parole non contengono amarezza bensì disinganno. Che siano esse un castigo morale per coloro che hanno tradito il giuramento: soldati del Cile, comandanti in capo titolari, l’ammiraglio Merino, che si è autodesignato comandante dell’Armata, oltre al signor Mendoza, vile generale che solo ieri manifestava fedeltà e lealtà al Governo, e che si è anche autonominato Direttore Generale dei carabinieri. Di fronte a questi fatti non mi resta che dire ai lavoratori: Non rinuncerò!
Trovandomi in questa tappa della storia, pagherò con la vita la lealtà al popolo.
E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di Cileni, non potrà essere estirpato completamente.
Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermano né con il crimine né con la forza. La storia è nostra e la fanno i popoli. Lavoratori della mia Patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che avete sempre avuto, per la fiducia che avete sempre riservato ad un uomo che fu solo interprete di un grande desiderio di giustizia, che giurò di rispettare la Costituzione e la Legge, e cosi fece. In questo momento conclusivo, l’ultimo in cui posso rivolgermi a voi, voglio che traiate insegnamento dalla lezione: il capitale straniero, l’imperialismo, uniti alla reazione, crearono il clima affinché le Forze Armate rompessero la tradizione, quella che gli insegnò il generale Schneider e riaffermò il comandante Ayala, vittime dello stesso settore sociale che oggi starà aspettando, con aiuto straniero, di riconquistare il potere per continuare a difendere i loro profitti e i loro privilegi. Mi rivolgo a voi, soprattutto alla modesta donna della nostra terra, alla contadina che credette in noi, alla madre che seppe della nostra preoccupazione per i bambini.
Mi rivolgo ai professionisti della Patria, ai professionisti patrioti che continuarono a lavorare contro la sedizione auspicata dalle associazioni di professionisti, dalle associazioni classiste che difesero anche i vantaggi di una società capitalista.
Mi rivolgo alla gioventù, a quelli che cantarono e si abbandonarono all’allegria e allo spirito di lotta.
Mi rivolgo all’uomo del Cile, all’operaio, al contadino, all’intellettuale, a quelli che saranno perseguitati, perché nel nostro paese il fascismo ha fatto la sua comparsa già da qualche tempo; negli attentati terroristi, facendo saltare i ponti, tagliando le linee ferroviarie, distruggendo gli oleodotti e i gasdotti, nel silenzio di coloro che avevano l’obbligo di procedere.
Erano d’accordo.
La storia li giudicherà.
Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più.
Non importa.
Continuerete a sentirla.
Starò sempre insieme a voi. Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la Patria.
Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi.
Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno umiliarsi.
Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi.
Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore.
Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!
Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento.