Domenica, 11 Marzo 2018 12:13

March For Our Lives: si infiamma il dibattito sulle armi negli USA

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Negli Stati Uniti, all’indomani della strage di Parkland, si torna a parlare di armi e di sicurezza nelle scuole.

Lo scorso 14 di febbraio, infatti, alla Stoneman Douglas High School in Florida c’è stata una sparatoria che ha causato diciassette vittime. Nikolas Cruz, ex studente dell’istituto, è entrato nell’edificio armato di un fucile semiautomatico AR-15 e ha sparato almeno quaranta colpi, secondo le testimonianze. Diciassette persone, tra studenti e insegnanti, sono rimaste uccise e numerosi sono stati i feriti, di cui tre ricoverati in ospedale in condizioni molto gravi. Il killer, dopo aver tentato la fuga, è stato preso dalla polizia a pochi chilometri dall’istituto. Diciannove anni, Cruz era stato espulso dalla scuola per motivi disciplinari: i suoi ex compagni e professori parlano di un ragazzo problematico, ossessionato in passato da una ragazza ai limiti dello stalking.

Si tratta dell’ennesima strage in una scuola americana.

L’Everytown for Gun Safety, associazione che si batte da anni per un maggior controllo sulla vendita delle armi da fuoco, riporta dei dati incredibili. Diciannove sono state le sparatorie all’interno delle scuole dall’inizio del 2018, otto delle quali hanno causato vittime. È evidente che il deficit di sicurezza degli istituti scolastici americani sia un problema importante e quest’ultima sparatoria ha contribuito a riaccendere il dibattito sull’uso e possesso delle armi negli Stati Uniti.

La polemica in questi giorni sta correndo veloce sia tra le piazze delle città Statunitensi, sia sul web: sembra farsi sempre più grande e coinvolgere l’intera popolazione statunitense che comincia a mobilitarsi. Il coinvolgimento, emotivo e sociale, di una grande fetta di popolazione è sicuramente dovuto anche alla mediatizzazione di questo genere di eventi drammatici. La sparatoria avvenuta in Florida è stata seguita in diretta TV da milioni di americani. Elicotteri dei più importanti canali televisivi hanno trasmesso le immagini in diretta di ciò che avveniva all’esterno della scuola e della fuga del killer, tenendo i telespettatori incollati agli schermi. Il viavai dei mezzi di soccorso, i feriti sulle barelle davanti all’istituto, l’evacuazione degli studenti: tutto è avvenuto in diretta nazionale. Nei giorni successivi alla tragedia, poi, i social network sono stati inondati da screenshot delle conversazioni tra gli studenti che si trovavano all’interno della scuola e i loro genitori o amici. La condivisione di momenti così drammatici ha fatto sì che tutti gli utenti del web, in ogni parte del mondo, si sentissero emotivamente coinvolti nella faccenda.

Coinvolgimento che ha ridato vita al dibattito su dimensione nazionale.

Il paese e la politica rimangono divisi tra chi vorrebbe lasciare intatta la legislazione attuale in materia e chi invece vorrebbe delle restrizioni alla libertà di possesso delle armi. Numerose sono state in questi giorni le manifestazioni che chiedono a gran voce di mettere fine a queste stragi e rendere le scuole americane finalmente sicure. Mentre sui social impazza l’hashtag #NeverAgain e davanti alla Casa Bianca studenti, genitori e insegnanti invocano provvedimenti seri.

Il 24 marzo prossimo a Washington si terrà “March for our lives”, una marcia organizzata dai ragazzi di Parkland che sta raccogliendo tantissime adesioni. L’appoggio ai manifestanti arriva anche da diverse personalità di spicco del mondo statunitense: George Clooney e Oprah Winfrey hanno voluto donare 500 mila dollari alla causa, mentre lo show di Ellen DeGeneres ha ospitato alcuni ragazzi sopravvissuti alla strage e la conduttrice ha mostrato la sua maglia di #MarchForOurLives. Questa volta, quindi, per Donald Trump sarà difficile sfuggire alle richieste dell’opinione pubblica e la necessità di mettere fine a queste tragedie è ormai chiara a tutti.

I dati che vengono ribattuti in questi giorni dalle varie testate americane sono impressionanti e mettono in luce il bisogno impellente di prendere dei provvedimenti in merito al problema delle armi. Secondo alcune statistiche, gli USA possiedono quasi la metà delle armi per uso personale di tutto il mondo, ospitando il 4,4% della popolazione mondiale, ma ben il 42% dei civili armati. Sul territorio Statunitense si verifica, in media, più di una sparatoria di massa al giorno. Ma è davvero così facile entrare in possesso di un’arma? Nella maggior parte degli Stati USA sì. Basta avere 21 anni per acquistare una pistola, mentre ne bastano 18 per entrare in possesso di un fucile o un fucile a canna liscia. A parte poche restrizioni introdotte nel 1968 per alcune persone, in generale basta presentare un documento d’identità al venditore che dovrà solamente registrare i dati, associando il compratore all’arma. Per cui, per i ragazzi trovarsi in casa un’arma da fuoco non è una cosa così rara né difficile.

Fino ad ora, nessun presidente è riuscito a dare una vera svolta alla legislazione in materia. In parte perché l’opinione pubblica non è affatto compatta sull’argomento: parte degli americani vuole mantenere la legislazione così com’è, senza introdurre nuove restrizioni. Inoltre, gli interessi economici dietro al possesso di armi sono enormi e le lobbies dei produttori di armi da fuoco, grazie ad appoggi in Senato, non permettono alcun tipo di progresso in materia. Prendere dei provvedimenti seri in materia non è affatto facile, a prescindere da quale sia la volontà del presidente. Donald Trump, che negli anni 2000 si diceva favorevole a qualche restrizione sulla libera circolazione delle armi, nel 2015 ha cambiato completamente la sua linea. Candidatosi alle primarie repubblicane per la corsa alla Casa Biana, Trump si è fatto strenuo sostenitore del diritto al possesso di armi garantito dal Secondo emendamento della Costituzione Statunitense. Ha cominciato quindi a spostarsi su posizioni favorevoli alla NRA (National Rifle Association), la più potente lobby delle armi, il cui appoggio gli è valso notevoli aiuti economici per la sua campagna elettorale.

Dopo la strage in Florida, però, il presidente USA ha cominciato ad aprire in parte la sua posizione, proponendo alcuni provvedimenti che andrebbero contro l’interesse della lobby. Trump ha parlato di aumentare l’età minima per l’acquisto delle armi e di introdurre controlli più serrati sul background degli acquirenti, soprattutto per quanto riguarda precedenti penali e salute mentale. Restrizioni che non piacciono alla NRA. Davanti all’insistenza dei manifestanti che chiedono più sicurezza nelle scuole, quindi, Donald Trump sta cominciando a tirare fuori delle proposte di riforma. Il presidente ha affermato che “nessuno dovrebbe sentirsi insicuro nelle scuole americane” e di voler prendere “misure di difesa ma anche di attacco”. Ha infatti proposto di armare il 20% dei docenti per renderli in grado di rispondere ad eventuali attacchi a mano armata e si è detto pronto a stanziare dei fondi federali per addestrare gli insegnanti ad usare le armi.

La proposta ha subito scatenato le critiche del mondo politico e civile americano. È nato un nuovo movimento, creato dagli stessi insegnanti che sui social hanno lanciato l’hashtag #ArmMeWith. I docenti chiedono di essere armati non con armi da fuoco, ma con matite, penne e libri per aiutare i ragazzi a non arrivare al punto in cui è arrivato Nikolas Cruz. Prevenzione ed educazione sembrerebbero dunque essere le parole d’ordine che però non piacciono molto al presidente.

Link Everytown for gun safety: https://everytown.org/

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