Giovedì, 26 Settembre 2019 18:28

La frontiera calda tra Venezuela e Colombia, intervista all'aquilano Valerio Mancini: "Situazione umanitaria devastante"

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Non si sente più parlare di Venezuela.

La crisi politica che ha investito il Paese con lo scontro tra il presidente eletto Maduro e l’autoproclamato presidente Guaidò - vicenda che per mesi ha occupato le prime pagine dei giornali, europei e italiani - è scomparsa dai radar.

Un lungo silenzio, che lascerebbe pensare che la situazione sia tornata alla normalità. Ma è vero il contrario. Il Paese è ancora nel caos: l’inflazione è sempre alle stelle; alla popolazione, ormai stremata, mancano viveri e altri beni di prima necessità, in primis i medicinali; decine di migliaia di persone, ogni giorno, varcano i confini con la Colombia in cerca di un presente e un futuro migliori.

Eppure il Venezuela è legato a doppio filo all’Italia, essendo stato, per anni, terra d’emigrazione per molti nostri connazionali. Sono milioni i venezuelani di origini italiane tutt’ora residenti nel Paese e tra di essi ci sono decine di migliaia di abruzzesi.

L’aquilano Valerio Mancini (nella foto sotto), docente alla Rome Business School e direttore del Dipartimento di criminalità trans-nazionale dell’istituto Misap, si trova, in questi giorni, a Cucuta, città di frontiera situata proprio al confine tra Venezuela e Colombia.

Esperto di politica latino-americana, Mancini ha vissuto per diversi anni in Colombia e in Argentina ed è stato recentemente selezionato per lavorare in Colombia come consulente per il progetto “Voz por la Justicia”, la consulta popolare che porterà i cittadini colombiani a esprimere la propria opinione sulle principali tematiche da inserire nella prossima riforma della giustizia.

Valerio Mancini

Gli abbiamo rivolto qualche domanda.

Valerio, dove si trova esattamente e perché è lì?

In questi giorni mi trovo a Cucuta, città situata al Nord Est della Colombia, esattamente sul confine colombo-venezuelano, senza dubbio la frontiera più complessa della Colombia e una delle più delicate del mondo. La città, capitale della regione Nord di Santander, è un disordinato agglomerato urbano di circa 700.000 abitanti, che ha vissuto per molti anni un flusso costante di migranti, in passato soprattutto colombiani diretti in Venezuela. Da circa una decina d’anni e, soprattutto negli ultimi 2 anni, il flusso si è completamente invertito. Sono qui a Cucuta perché sto lavorando da una ventina di giorni in Colombia come consulente per il progetto della grande consulta cittadina denominata “Voz Por la Justicia”. L’obiettivo della Procura Generale della Nazione colombiana è di intervistare, attraverso un questionario ad hoc, il maggior numero di cittadini in previsione della prossima riforma del sistema giudiziario. Cucuta rappresenta la seconda tappa di un tour che comprenderà 8 città colombiane e abbiamo approfittato del supporto del Procuratore regionale per visitare una delle zone di frontiera più delicate e pericolose al mondo.

Cosa sta succedendo al confine tra Colombia e Venezuela?

La situazione vista da vicino ha superato di gran lunga l’idea che mi ero fatto di questa zona di frontiera. Paradossalmente nella città di Cucuta, almeno nelle zone dove siamo noi in questi giorni, si respira un’aria tranquilla e ci si sente relativamente al sicuro, con le solite necessarie precauzioni ovviamente che vanno adottate in qualsiasi città colombiana. La frontiera, situata sul ponte internazionale “Simon Bolivar” divide i paesini di Villa del Rosario (Colombia) e San Antonio del Táchira e dista una decina di chilometri dal centro di Cucuta. Una volta giunti nei pressi del confine le nostre auto (blindate e con vetri oscurati) sono state subito bloccate da orde di venezuelani che, passaporto in mano, chiedevano insistentemente a chiunque di caricare bagagli e borsoni pieni di viveri e medicinali. Abbiamo raggiunto, praticamente a passo d’uomo, la sede del Cnaf, il Centro Nacional de Antención en Frontera, situato poco distante dall’ormai tristemente celebre ponte “Simon Bolivar”. Il ponte, costruito sul fiume Tachira, separa di fatto i due paesi. Una volta sul ponte abbiamo assistito in diretta al quotidiano flusso di migranti provenienti dal Venezuela. Famiglie con bambini al seguito, studenti, ragazzini, anziani che ogni giorno scappano da un paese ormai ridotto allo stremo con una moneta, il Bolivar soberano, che non ha praticamente alcun valore (per comprare 1 euro sono necessari circa 22.000 Bolivar) e i prezzi dei beni di prima necessità saliti alle stelle. Il ponte, un tempo carrabile e attraversato principalmente da automezzi, è ormai da tempo chiuso al traffico per sicurezza e, più ci si avvicina alla zona di controllo delle autorità colombiane, più la situazione si fa caotica. Avrò contato non più di due addetti al controllo passaporti che, in sostanza, lasciano passare ogni giorno senza particolari controlli migliaia di cittadini venezuelani. Le autorità ci hanno parlato di circa 30.000 venezuelani che arrivano quotidianamente in Colombia. Numeri impressionanti se si pensa che per anni Caracas ha rappresentato per i colombiani vittime del conflitto armato un porto sicuro, economicamente florido e con migliori aspettative di vita. Dalla parte opposta del ponte, direzione Colombia-Venezuela, incontriamo un altro flusso costante di venezuelani, per lo più uomini, carichi fino all’inverosimile di viveri, medicine e valigie sacchi di juta stracolmi di qualsiasi cosa. L’odore sul ponte è insopportabile e molte persone difficilmente riescono a trattenere il vomito. Infatti, l’arrivo alla zona di confine dopo un lungo viaggio compiuto il più delle volte a piedi diventa anche un punto di sosta completamente disorganizzato, specialmente dalla parte venezuelana, dove non ci è permesso entrare. L’assenza di bagni, il cibo cucinato e venduto sul posto, i generatori di corrente diesel e le tonnellate di immondizia riversate sulle rive del fiume, diventato ormai da anni una discarica a cielo aperto,  rendono l’aria irrespirabile. A questo bisogna aggiungere il clima tropicale che, essendo in prossimità dell’equatore, porta la temperatura a 35°-40° tutto l’anno. La situazione umanitaria è devastante, specialmente per le famiglie con bambini piccoli, anziani e donne incinta. A dare una mano ci sono gli operatori dell’Oim, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, la Croce Rossa ed altre Ong, per lo più colombiane, presenti sul lato colombiano della frontiera. Gran parte dei venezuelani però sceglie di partire per altre città della Colombia per proseguire il viaggio con dei pulmini di fortuna, appositamente appostati subito dopo il confine, gestiti per lo più da privati che, ovviamente, aumentano il prezzo a loro piacimento. La Colombia, da questo punto di vista, rappresenta per lo più un paese di transito dove però, spessissimo, come accade anche in Italia, si rimane inghiottiti e risucchiati da una burocrazia lenta e da un sistema completamente impreparato e si rischia di cadere nelle maglie strettissime del crimine, organizzato e non, di un paese caratterizzato da oltre 50 anni di conflitto armato che, tra gruppi paramilitari e guerriglieri che da poco hanno deciso di tornare alle armi, presenta un quadro criminale poco confortevole.

Colombia 4

La crisi venezuelana è sparita dall’agenda dei media, almeno in Italia. Nessuno ne parla più. Qual è la situazione a livello politico? Maduro ha ancora il controllo del Paese? E che ne è stato di Guaidò?

Il Venezuela in questo momento non rappresenta una priorità per i media italiani, questo mi sembra abbastanza chiaro. Mi stupisce soprattutto per il fatto che negli ultimi due secoli il paese è stato meta di una fortissima migrazione italiana. La popolazione di origine italiana supera il milione di abitanti e, negli ultimi anni, il nostro Paese ha assistito a un silenzioso rimpatrio di cittadini con doppio passaporto. Una crisi anche questa se vogliamo, troppo spesso sottovalutata dal nostro Governo, ma soprattutto dai media. Poi ci sono gli “show mediatici” del presidente erede di Hugo Chavez, Nicolás Maduro, che, per distogliere l’attenzione dai problemi reali di un paese ormai al collasso, schiera senza troppa fermezza l’esercito al confine con la Colombia, accusando il Governo di Bogotà di appoggiare il neo-presidente autoeletto, Juan Guaidó, e di supportare le infiltrazioni dei gruppi paramilitari nel paese chavista. Fatto sta che e a livello politico la situazione è al momento un rebus difficile da risolvere e la stessa comunità internazionale si mostra piuttosto a disagio e indecisa sui possibili interventi nel paese. L’immagine perfetta di questo paradosso politico è stata l’arrivo di due presidenti della stessa nazione con due ministri degli Esteri alla recente conferenza delle Nazioni Unite. In pratica, abbiamo un Venezuela con due presidenti, uno confermato alle ultime elezioni politiche (il cui risultato è stato più volte messo in discussione) e un altro, il trentaseienne Guaidò, autonominatosi presidente con il sostegno dalle principali potenze mondiali, tra cui Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e, naturalmente, Colombia. Ricordiamo infatti che il 23 gennaio 2019 scorso, nel corso di una manifestazione in piazza contro l'esecutivo di Maduro, Guaidó ha giurato sulla Costituzione come presidente pro-tempore del Venezuela dopo essere stato eletto dall'Assemblea Nazionale, affermando la costituzione di un governo provvisorio.

E a livello sociale? In che condizioni è la popolazione?

Non sono ancora stato in Venezuela e non amo parlare di un paese senza averci vissuto ma, anche volendo, attualmente attraversare la frontiera in direzione opposta è fortemente sconsigliato. Per quanto visto, sentito da amici e conoscenti venezuelani, da colombiani che per anni hanno vissuto nel paese, la situazione è ormai al limite. Gran parte della popolazione è allo stremo. Ci riferiscono che un chilo di carne in macelleria costa il doppio di uno stipendio medio mensile. In questa situazione resiste, comunque a stento, solo una parte della popolazione che negli anni ha messo da parte qualche risparmio in euro o in dollari o che viene mantenuta da familiari all’estero che quotidianamente inviano dollari, euro o addirittura pesos colombiani, una moneta quest’ultima che un tempo non poteva competere con il più potente Bolivar sovrano, il cui valore era gonfiato ovviamente dal prezzo del petrolio. Mi riferiscono in molti però che adesso, nonostante la valuta straniera, il costo della vita è quadruplicato rispetto a un anno fa e che i beni di prima necessità scarseggiano ogni giorno di più. Questo porterà certamente a un nuovo ed inarrestabile flusso migratorio, soprattutto verso la vicina Colombia che, proprio in queste settimane, sta affrontando la rottura prevedibile di un processo di pace fragile con i guerriglieri delle Farc-Ep, a cui si aggiungono i problemi cronici legati al narcotraffico e a un’economia illegale che facilmente corteggia i giovani venezuelani già fin troppo abituati al contesto criminale di un paese allo sbando. Gli episodi di violenza sono all’ordine del giorno. La mattina in cui abbiamo attraversato la frontiera ascoltavamo dalla radio in diretta le notizie di vari omicidi nella zona e di corpi recuperati nella zona di Escobar, altro paesino situato a ridosso della frontiera colombo-venezuelana. Le vittime sono quasi tutte venezuelane e quando non si tratta di assassinati, si parla comunque di donne costrette a prostituirsi per mantenere i figli o i parenti rimasti in patria o di ragazzini abbandonati che, in pochi mesi, hanno incrementato fortemente i livelli di insicurezza delle principali città colombiane, invase ormai da venezuelani in cerca di un futuro migliore.

Ora che in Italia c’è un nuovo governo, che cambiamenti potrebbero esserci nei rapporti tra l’Italia e il Venezuela?

A mio modesto parere la posizione dell’Italia non cambierà. Il che non significa, come molti hanno insinuato nei mesi scorsi, schierarsi dalla parte del Governo di Nicolás Maduro, bensì temporeggiare. Il che, diplomaticamente parlando, al momento credo sia la soluzione più saggia. Provo però a mettermi nei panni degli oltre 160 mila italiani che hanno abbandonato nel giro di pochi anni la loro terra adottiva, dove per anni hanno vissuto e lavorato contribuendo alla crescita dell’economia, e, capisco le forti critiche alla posizione del Governo italiano. Al momento però ancora non è chiaro, probabilmente nemmeno agli stessi venezuelani, se Guaidó sia la persona adatta a trascinare il paese fuori da una crisi senza precedenti e, pertanto, ritengo giusta la scelta italiana di temporeggiare.

Non c’è solo il Venezuela. A fine agosto un dirigente delle Farc ha annunciato la fine della pace e la ripresa delle armi, anche se poi è stato sconfessato da altri ex guerriglieri. Qual è la situazione in Colombia?

La situazione colombiana meriterebbe un’intervista a parte. L’annuncio del ritorno alle armi di una parte delle Farc-Ep mette ufficialmente in discussione un processo di pace mai concluso che, per una serie di ragioni, più economiche a mio parere che politiche, si è definitivamente infranto lo scorso 29 agosto. In un video di 32 minuti caricato su YouTube, Iván Márquez, ex numero due dei guerriglieri e tra i capi che hanno portato avanti il negoziato con il governo dell’ex presidente Juan Manuel Santos, ha cancellato gli accordi storici del 2016 siglati a L’Avana. Marquez ha accusato pesantemente il presidente della Colombia Ivan Duque, annunciando al mondo la fine della tregua e l’inizio della “seconda Marquetalia”, il luogo emblematico dove nacquero le Farc nel 1964, “in nome del diritto universale dei popoli a prendere le armi contro l’oppressore”. Márquez ha registrato il filmato in un luogo sconosciuto, circondato da altri leader armati di tutto punto, un luogo a quanto pare molto vicino alle frontiere con Venezuela e Brasile. Ma sono in tanti, comprese alcune fonti dell’intelligence colombiana, ad affermare che invece i guerriglieri si trovano fuori dai confini colombiani e che sarebbero protetti dal Venezuela. Si tratta di accuse molto pesanti, che però ancora non sono state ufficialmente smentite da Nicolás Maduro. La “rinascita” delle Farc-Ep e l’accordo mai raggiunto con l’altro gruppo guerrigliero “Eln”, l’aumento vertiginoso delle coltivazioni di coca e, di conseguenza, il crescente potere dei narcotrafficanti, unito all’oscura presenza delle sanguinarie milizie paramilitari, fa ripiombare la Colombia in un panorama ben poco rassicurante. In tale contesto la crisi venezuelana e il flusso migratorio che questa comporta rappresentano una vera e propria bomba a orologeria in due paesi con un’economia in fortissima crisi e con una situazione politico-sociale altamente instabile.

Ultima modifica il Sabato, 28 Settembre 2019 23:18

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