Lunedì, 17 Giugno 2013 12:58

L'austerity uccide. La Grecia è al collasso: una storia che parla di noi

di 

Le immagini hanno fatto il giro del mondo. C’è una violinista bionda che suona senza poter trattenere le lacrime. C’è una corista bruna che riesce a stento a cantare l'inno nazionale. Non indossano abiti da sera. Piangono per l'ultimo concerto dell'Orchestra sinfonica nazionale greca cancellata dopo 75 anni.

L'esibizione, seguita in piazza da decine di migliaia di persone, si è tenuta nella sede della tv di Stato Ert, chiusa anch'essa a causa per decisione del governo Samaras, ansioso di rispettare le politiche d’austerity imposta alla culla della cultura occidentale dai burocrati di Bruxelles. Le lacrime dei musicisti della sinfonica riportano alla mente un’altra immagine simbolo della crisi greca: la foto apparsa giovedì scorso sulle pagine del quotidiano spagnolo El Pais. Ritrae una donna, un tecnico video, che si asciuga il viso aggrappata ad un mixer.

Quanto sta accadendo in Grecia dovrebbe far riflettere tutti noi. L’austerity imposta dall’Europa per contenere il debito sovrano del paese ellenico fino a che punto può spingersi? Può davvero arrivare all’umiliazione di un popolo? Le ragioni della finanza possono polverizzare in poche ore le istituzioni culturali di uno stato sovrano? Quanto a lungo una popolazione impoverita economicamente e costretta a centellinare le proprie risorse per sopravvivere sopporterà anche lo smantellamento della propria identità?

Sono domande che parlano di noi, molto più di quanto si possa immaginare. Il 26 giugno prossimo, il sindaco dell’Aquila sarà a Bruxelles. Alla ricostruzione della città, di uno dei centri storici più importanti d’Europa e simbolo dell’identità di una intera comunità, viene negato persino un mutuo. Niente finanziamento con Cassa depositi e prestiti, significherebbe sforare il debito pubblico.

Non si può: l’Europa impone patti di stabilità e pareggi di bilancio. Tanto da spingere il governo greco, nel giro di qualche ora, a chiudere per decreto cinque stazioni televisive, 29 stazioni radio nazionali e locali, siti web, un settimanale, l’Orchestra sinfonica nazionale e l’Orchestra di musica contemporanea. 2600 dipendenti pubblici mandati a casa: in questi giorni, stanno occupando studi e uffici e continuano a trasmettere via internet e su di una piattaforma concessa dall'Eurovisione. I quartiere di Atene sono attraversati da un piccolo camioncino della Ert, che ne ritrasmette il segnale storico della radio, "o Tsopanàkos" (Il Pastorello), che in Grecia è ancora molto amato. La gente esce sui balconi, si affaccia alle finestre, per salutare e gridare la propria solidarietà ai lavoratori in lotta.

Non basta, evidentemente. Non sono bastati, al momento, uno sciopero generale, decine di migliaia di persone davanti alla sede centrale della televisione, appelli da parte di intellettuali, artisti, giornalisti di tutto il mondo, a far cambiare idea al governo di Atene. A far cambiare idea, in particolare, al principale partito dell’esecutivo - Nuova Democrazia - che ha elaborato ed attuato il piano di "chiusura coatta" dell' Ert, inaffidabile, costosa e lottizzata politicamente ha detto il primo ministro Andonis Samaras.

La chiusura, viene raccontato, è imposta dai tagli decisi dalla Troika. In effetti, la commissione Europea pur affermando il ruolo centrale del servizio pubblico, scrive che “la decisione delle autorità greche va vista nel contesto degli sforzi necessari di modernizzazione dell'economia greca che includono l'aumento dell'efficienza del settore pubblico”. La narrazione ruota intorno al concetto di insostenibilità economica di un'azienda dai costi elefantiaci, “paradiso degli sprechi”, “tipico caso di sprechi incredibili”, “rifugio di vacche sacre”. Un serbatoio clientelare per i partiti insomma, nulla di più.

Il giornalista e studioso di media Tiziano Bonini, sul sito internet Doppiozero, ha dimostrato come questa narrazione sia incompleta ed ideologica. “E' vero che la ERT costava 300 milioni di euro, ma non è vero che questi soldi venivano dallo Stato. Venivano dai cittadini greci, che pagano ogni anno 51 euro in più sulla propria bolletta elettrica per finanziare il servizio”, scrive. “Il canone pagato dai greci è uno dei più bassi d'Europa e da solo finanzia l'88% dei costi del servizio pubblico greco. La pubblicità, quasi assente, copre il 5% dei costi, mentre i finanziamenti pubblici l'1% (3 milioni di euro). In Italia, tanto per fare un esempio, il canone copre il 59% delle spese della RAI e la pubblicità il 30%. E soprattutto, stando ai dati dell'EBU, gli introiti della ERT relativi al 2011 (ultimo dato disponibile) ammontano a 341,9 milioni di euro, cioè 41,9 milioni di euro di utile. Ergo, ERT non era un'azienda in deficit, cioè insostenibile per le casse dello Stato greco. ERT era un'azienda che probabilmente sprecava molte risorse, dove la lottizzazione era una pratica diffusa ma che, nonostante questo, non pesava sulle spalle dello Stato e non aveva debiti”.

“Chiudere un'azienda senza debiti e con 2600 dipendenti è una decisione che non può essere presa dal giorno alla notte, senza passare da un Parlamento”, conclude Bonini. “Se poi si allarga l'orizzonte al contesto europeo e si dividono i costi dei servizi pubblici per il numero di abitanti ci si accorge che i costi del servizio pubblico greco erano inferiori alla maggior parte dei paesi europei (sempre fonti EBU, 2012). La ERT costava 27 euro per ogni cittadino. La Rai 48 euro per ogni italiano. La BBC 85 euro per ogni britannico”.

In altre parole, come tutti i servizi pubblici europei, la Ert andava sicuramente riformata ma non si può decidere di chiuderla da un giorno all’altro. Non brillava certo per efficienza ma non si può cancellarla con un colpo di spugna, per quello che significa e ha significato per la Grecia in termini sociali e culturali. Un’informazione pubblica, libera da condizionamenti economici, è uno dei pilastri della libertà di un popolo. Così come lo è la cultura. Le lacrime dei musicisti dell’Orchestra sinfonica lo raccontano meglio di tante parole.

Nel paese che oltre duemila anni fa ha visto la nascita della democrazia, intesa come governo dei cittadini, la Troika ne ha imposto la fine oramai più di un anno fa. Era il febbraio 2012 quando il Parlamento ellenico, con 199 voti favorevoli e soli 74 contrari, approvava le atroci misure dettate da Fmi, Ue e Bce. Nel volgere dei pochi minuti necessari alla votazione, al popolo greco è stata sottratto quel briciolo di sovranità che ancora gli restava, assieme ad una manciata di diritti fondamentali. 3,3 miliardi di tagli alla spesa pubblica, salari minimi ridotti del 22 per cento, 15mila dipendenti pubblici da licenziare entro l'anno, 150mila impieghi statali da cancellare entro il 2015, il sistema sanitario falciato del 30%, servizi e beni pubblici svenduti per 50 miliardi di euro.

Una carneficina dettata dalla necessità di ottenere aiuti per 130 miliardi. Una ricetta sbagliata e dalle controindicazioni drammatiche. Lo ha ammesso lo stesso Fondo monetario internazionale in un documento riservato pubblicato in esclusiva dal Wall Street Journal. Nel memorandum si ammette che la ricetta “lacrime e sangue” imposta dalla Troika al governo greco per ricevere gli aiuti comunitari è stata tardiva e ha prodotto effetti devastanti sull’economia del paese, largamente sottostimati. L’istituto guidato da Christine Lagarde critica a posteriori i ritardi della ristrutturazione del debito del paese, arrivato solo nel maggio del 2012, con due anni di ritardo: una ristrutturazione immediata sarebbe costata meno ai contribuenti d’Europa e avrebbe risolto prima i problemi di trasmissione del contagio. Sul tavolo degli imputati, oltre alla compiacenza e inefficienza del governo ellenico, anche la titubanza della Germania, timorosa nell’aiutare un paese membro a rischio bancarotta. Ritrosia che doveva essere contrastata più efficacemente dallo stesso Fondo monetario internazionale.Nel documento si legge che “l’intera operazione è stata fatta per prendere tempo e consentire all’area euro di costruire le difese necessarie per salvare gli altri paesi che rischiavano di essere travolti dall’effetto contagio della crisi dei debiti sovrani”.

La Grecia, dunque, è stata sacrificata, per salvare il resto dell’Europa, senza neppure concedergli uno sconto sul prezzo da pagare. Il risultato è che l’area Euro resiste ancora, anche se a fatica, mentre la Grecia ha perso un quarto del suo Pil (calo che era stato largamente sottostimato dal Fmi, pari a circa un terzo di quello effettivo) , e sconta un tasso di disoccupazione drammatico (quasi il 27%). La soluzione più rapida e quasi indolore era semplice: lo stesso Fondo ammette che tagliando fin da subito il debito di Atene il salvataggio sarebbe stato molto più efficace e meno distruttivo.Troppo tardi.

La crisi, oramai, sta uccidendo la Grecia nella sua identità più profonda. Potrebbe succedere anche alla nostra città, ci avete mai pensato? Sacrificata sull’altare dell’austerity, della tutela del debito pubblico e del pareggio di bilancio che i governi delle larghe intese, quello di Monti prima e quello di Letta ora, inseguono come fosse l’unica possibilità per tirare fuori il paese dalle sabbie mobili della crisi. Il 26 giugno i nostri rappresentanti istituzionali saranno a Bruxelles: è lì che si combatte la battaglia vera per la sopravvivenza dell’Aquila, ha detto il sindaco Massimo Cialente. Non si può dargli torto.

Ultima modifica il Lunedì, 17 Giugno 2013 15:32

Articoli correlati (da tag)

Chiudi