Di Marco Signori - Scissione: lo scindere, lo scindersi, l’essere scisso. Suggerisce il Garzanti. Nelle teorie psicodinamiche, poi, la scissione, viene definita un meccanismo di difesa che consiste nello scindere in modo netto le qualità contraddittorie ma conviventi.
Dunque chi si è scisso, e da cosa, nel Popolo delle libertà? Chi ha deciso di restare coerentemente nel governo delle larghe intese dando retta al vicepremier Angelino Alfano, senza spostarsi di un millimetro dalle proprie posizioni politiche, o chi ha scelto la linea dura, di lotta e di governo, di sostegno al governo ma non troppo, di opposizione a Enrico Letta ma anche no? Senza scindere, appunto, quelle qualità contraddittorie che continuavano a convivere?
“Sono un’aquila, di falchi non me ne intendo” ironizza Iva Zanicchi fuori al pala congressi dove si riuniscono i berlusconiani, stessa cosa ripetono - forse più adeguatamente, ma non meno opportunisticamente - molti aquilani che ancora non scelgono da che parte stare.
La furbizia di un’aquila, in effetti, forse ce l’hanno in molti, tra quelli che hanno deciso di seguire Silvio Berlusconi. Consci che l’ex premier è l’unico detentore di risorse e consenso tali da mantenerli tutti a galla. Per quanto ancora non si sa, ma l’importante è vivacchiare. Come ogni buon politicante sa bene.
Parlano di futuro, intestandosene il ruolo da protagonisti, anche due come Altero Matteoli (73 anni, in Parlamento da trenta) e Gianfranco Giuliante (61 anni, in politica da sempre), che hanno promosso una adunata domenicale piena di ex missini.
Quello che si percepisce osservando la platea trova conferma nelle parole dell’ex ministro: Silvio Berlusconi, manipolo di fanatici salottieri televisivi a parte, guida da oggi la nuova Alleanza nazionale, più che Forza Italia.
Con l’ex premier i figliastri politici, adottati dopo il predellino. Con Alfano i figliocci di Berlusconi, “quelli del ‘94”, forzisti della prima ora.
Dunque chi si è scisso?
In prima fila c’è sì Riccardo Chiavaroli, all‘incontro aquilano, ma non è in grande compagnia: al suo fianco tutti ex An. Una platea non molto distante da quella storaciana che viene definita “club di reduci” utile più a “ricordare ciò che siamo stati”. Come se quel Silvio Berlusconi che a vent’anni dal videomessaggio col quale annunciava la discesa in campo, parla ancora di “Paese che vogliamo”, fosse ancora capace di incarnare una speranza di cambiamento.
Probabilmente la storia darà ragione a Matteoli quando dice che il Nuovo centrodestra raccoglierà briciole alle urne. Di certo, però, da oggi per Berlusconi sarà più difficile pretendere di rappresentare il popolo dei moderati.
E lo lascia intendere pure Matteoli, seppur con sapiente abilità dialettica: “Senza i 149 dirigenti provenienti da An che hanno firmato il documento di Berlusconi, ieri il risultato non sarebbe stato così brillante”.
Berlusconi lo sa: Alfano e i suoi forse faranno anche la fine di Fini, ma anche lui - con la decadenza e il carcere dietro l’angolo - non ha più la forza di allora. E poi, se anche la sinistra - tanto miope da essere riuscita a costruire dal nulla una candidatura capace di insidiare la nuova leadership - grazie a primarie aperte avrà molto probabilmente una nuova guida, un centrodestra che dice di voler guardare al futuro non può proporsi con gli slogan del ‘94.