E' il primo strappo in seno al Partito Democratico abruzzese, e potrebbero essercene altri.
L'assessore regionale Donato Di Matteo, campione di preferenze nel pescarese, ha lasciato il gruppo consiliare rompendo definitivamente con Luciano D'Alfonso, denunciando scelte verticistiche nella composizione delle liste in vista delle politiche.
In una lettera al capogruppo dem Sandro Mariani, Di Matteo ha spiegato di sentire da tempo "profondo disagio, personale e politico", in riferimento alla sua partecipazione all’interno del gruppo regionale del Pd e del partito stesso. "Per uno come me, che viene da una quarantennale convinta militanza e continuo impegno, a vario titolo, nelle amministrazioni pubbliche, sempre supportato dal consenso espresso dai cittadini, dover lasciare la propria casa, che ho contribuito ad edificare, è un momento di grande sofferenza", ha sottolineato.
"Ho segnalato più volte una sorta di mutazione genetica all’interno del partito e del gruppo, un’assenza di condivisione e di collegialità delle scelte politiche, una condizione per cui la discussione è considerata un inciampo e non un arricchimento. Tutto ciò ha tramutato, a vari livelli, il partito in un’organizzazione leaderistica personale in cui il potere di vita e di morte appartiene al capo ed è assoluto", l'affondo. "Ho spesso sollecitato una profonda riflessione su vari temi della nostra agenda, in primis sulla sanità, su una nuova politica delle aree interne e montane, sull’agricoltura. Per esempio, per quanto concerne la sanità, attraverso sollecitazioni, interventi, proposte ho chiesto una riaffermazione della fisionomia pubblica del sistema regionale, una decisa implementazione della prevenzione, una necessità di rilettura degli atti di programmazione adottati, con riferimento alle esigenze di riequilibrio tra territorio e ospedalità, alla necessità di garantire adeguati livelli di assistenza alle aree interne e montane della Regione, alla ineludibilità della scelta riguardante i Dea di II livello, al fine di salvaguardare le eccellenze regionali e, al contempo, ridurre le liste d’attesa e la mobilità passiva della nostra Regione. Più in generale ho segnalato il pericolo di un progressivo e profondo distacco tra le politiche regionali e la comunità dei cittadini abruzzesi che si è manifestato, peraltro, a più riprese nelle ultime tornate elettorali amministrative e nell’esito disastroso del referendum sulla riforma costituzionale. Non c’è stata alcuna riflessione autocritica su questi risultati, né sulla conseguente uscita dal gruppo e dal partito di consiglieri, amministratori e militanti verso nuove formazioni politiche (Liberi e uguali)".
A tutto ciò si è andata ad aggiungere la vicenda della formazione delle liste per le prossime elezioni politiche, che ha visto candidarsi la metà del gruppo regionale "senza una preventiva discussione in merito all’interno del gruppo stesso. Siamo stati chiamati una solo volta a discuterne in una riunione di partito, e in quell’occasione, com’è noto, ho manifestato il mio pensiero, le mie considerazioni, le mie perplessità liberamente, con la tranquillità e l’oggettività di chi aveva già deciso di non concorrere ad alcuna candidatura. Non ho avuto risposta, né in quella sede, né in altre, non essendoci più stati, ovviamente, altri momenti di confronto, per cui le decisioni sono state assunte in altri luoghi, in altre stanze, da un ristretto gruppo di persone: un 'cerchio magico' ossequioso e arrogante. Peraltro senza considerare che queste decisioni porteranno all’indomani del 4 marzo, inevitabilmente ad una accelerazione dei percorsi politico-amministrativi regionali di cui non si è tenuto doveroso conto".
Di Matteo ha aggiunto la sua personale delusione anche in merito alla progressiva perdita dei rapporti umani, "condizione indispensabile, nella mia visione delle cose nella condivisione di un progetto politico, nella partecipazione a una comune battaglia ideale. Le occasioni di confronto tra di noi sono andate via via diradandosi fino a scomparire del tutto. La militanza, la personale storia politica, le competenze, lo spirito d’iniziativa, le sensibilità, la passione sono, e lo sono sempre stati, elementi fondanti dell’ agire politico di un uomo libero, non ricattabile e condizionabile, animato solo da valori e ideali come io ho dimostrato di essere. Il segretario regionale, che legge per conoscenza, sa che non ho rinnovato l’iscrizione al partito. È con profonda tristezza, quindi, che lascio il gruppo del Pd. Per mantenere fede all’impegno assunto nella competizione elettorale e con il profondo rispetto che ho sempre avuto verso i miei elettori, ho deciso di aderire, per il momento, al gruppo di Regione facile, componente civica della coalizione di centrosinistra costituitasi nel 2014, in attesa e nella speranza di poter ricostruire un partito di centrosinistra degno di questo nome".
E così, Di Matteo ha sbattuto la porta. E' chiaro che il 5 marzo, il governo regionale - con D'Alfonso a Roma e Lolli al timone - potrebbe essere squassato, anche, da un rimpasto di Giunta per gli ultimi mesi di legislatura.