“L’Italia sta vivendo un momento molto difficile, e nessuno può dire ‘io non c’entro’. Si pensi agli ultimi fatti di cronaca, a Macerata: chi può dare un contributo, chi ha qualcosa da dire credo debba farlo. Ecco spiegata la scelta di candidarmi”.
Parole di Mimmo Srour, già sindaco di Sant’Eusanio Forconese per due mandati e poi assessore regionale alle Opere pubbliche che, negli ultimi 5 anni, era rimasto lontano dalla politica attiva, “impegnato a tenere conferenze sui temi dell’immigrazione e sui problemi del Mediterraneo”. Ha deciso di tornare alla politica attiva e, alle elezioni del 4 marzo, sarà capolista sul collegio proporzionale L’Aquila/Teramo per la Camera di ‘Insieme’, il progetto ulivista nato dalla convergenza di socialisti, verdi e prodiani, e ‘battezzato’ dal professore domenica scorsa. “Sento la responsabilità di dover offrire il mio contributo”, ha sottolineato nell’intervista a news-town. “Si sta dando poco spazio mediatico al nostro progetto politico, sebbene sia germogliato da forze che hanno una straordinaria storia politica, e di sinistra; eppure, è un seme gettato affinché il centrosinistra possa tornare insieme, appunto”.
Srour non manca di sottolineare come il Pd, in questi anni, abbia “sbagliato tutto, anche le candidature alle politiche: sembra che la segreteria stia perseguendo un progetto diverso per il centrosinistra”, l’affondo. Il senso della presenza di ‘Insieme’ nella coalizione con +Europa e Civica Popolare è proprio quello di tenere aperte le porte alle forze che correranno fuori dal centrosinistra così definito: “Noi dobbiamo parlare a tutti gli elettori di centrosinistra, senza esclusioni”, ha ribadito Srour. Che ha sottolineato come l'attuale classe dirigente, da destra a sinistra, “non sia affatto adeguata a governare un Paese come il nostro nel momento che stiamo vivendo”; è il risultato di leggi elettorali che, da tempo, “non hanno nulla di democratico. In Abruzzo, già sappiamo chi saranno i deputati e i senatori della prossima legislatura”.
Tra i temi cari a Srour la ricostruzione che sta interessando l’aquilano e il teramano: “in questi nostri territori, però, è tempo di incominciare a fare prevenzione. Stiamo riparando i danni col miglioramento sismico degli edifici, e non con l’adeguamento, addirittura per le abitazioni classificate A non è neanche previsto. Si pensi alle scuole: allorquando sedevo in Giunta regionale su 1300 plessi scolastici d’Abruzzo, più di 950 non erano adeguati sismicamente. A quel tempo, l’allora governo Prodi metteva sul piatto la stessa cifra che le Regioni decidevano di impegnare per l'edilizia scolastica. In Abruzzo avevamo 2 milioni e mezzo, e 2 milioni e mezzo mise il Governo; in Lombardia, misero 50 milioni e se ne ritrovarono 100. A volte, si ha la sensazione che i poveri debbano rimanere sempre più poveri, che lo Stato venga meno ai suoi doveri”.
Altro argomento sull’agenda politica del capolista di ‘Insieme’ è l’acqua, “e di nuovo si tratta di un argomento che unisce le province di L’Aquila e Teramo. Abbiamo investito diversi milioni nel ciclo idrico integrato: col tempo, hanno modificato leggi e norme e, oramai, se è vero che l’acqua viene gestita da aziende pubbliche è altrettanto vero che è come se fosse privatizzata. Si bada soltanto al guadagno e la depurazione è assolutamente insufficiente. Pensate che avevamo 13 bandiere blu lungo la costa adriatica, e conosciamo l’importanza che potrebbe assumere il turismo per lo sviluppo del territorio. L’ambiente è il nostro patrimonio. Ebbene, da due anni siamo tra le ultime Regioni d’Italia, le bandiere si sono ridotte a 7. E dell’inquinamento, non parla nessuno”.
E poi, c’è il tema del lavoro: “abbiamo il problema dei giovani, e così dei cinquantenni espulsi dal mondo del lavoro. Mi sono interessato dei call center: sul nostro territorio, ci sono 1500 occupati in questo settore, una realtà che mi pare non interessi a nessuno. Non ci interessano le vocazioni ambientali del territorio, ci siamo illusi del possibile sviluppo del polo elettronico, non ci occupiamo neppure dei lavoratori del settore più sviluppato: non possiamo girare le spalle a questi lavoratori”.
L’ultima parte dell’intervista l’abbiamo dedicata alla politica estera, all’immigrazione. “Le politiche sbagliate di Sarkozy, Cameron, prima di Bush e poi di Obama, hanno destabilizzato il Mediterraneo; l’hanno chiamata primavera ma primavera non era, era un baratto con l’Islam politico che ha distrutto Paesi con la scusa di esportare la democrazia, come fosse una merce. Penso alla Libia, alla Tunisia, all’Egitto, al Sinai – non voglio dire che è occupato, ma c’è una presenza fortissima di estremismo islamico – allo Yemen, alla Siria, l’unico paese laico, multiculturale del medio Oriente. Hanno distrutto l’Iraq. E sapete chi sono i nostri partner? Quei campioni di democrazia di Arabia Saudita e Qatar. Oscurantisti. In Siria, la donna vota dal 1949: il re dell’Arabia Saudita vorrebbe davvero insegnare la democrazia ai siriani? E’ chiaro che in questo quadro chi può fugge verso l’Europa”. Srour è assolutamente d’accordo con le politiche di “controllo dei flussi migratori – altrimenti consegniamo il tema a Salvini – non possiamo subire il fenomeno, ha fatto bene Minniti: dobbiamo sapere chi sbarca in Italia, da dove arriva e perché sta fuggendo. La vocazione della sinistra è integrare, aiutare: ma come possiamo aiutare i migranti, garantendo dignità a chi arriva in Italia, se non riesciamo a gestire e controllare i flussi? Stiamo rischiando un conflitto sociale tra poveri, tra i nostri poveri e i nuovi arrivati, facendo il gioco delle destre. Serve una politica seria, ragionata”.
Fino a qualche tempo fa, c’erano tre rotte delle migrazioni; la prima, ad est, passava dalla Turchia e la Grecia proseguendo fino in Germania. Il governo di Angela Merkel, dopo aver selezionato gli arrivi scegliendo i siriani con un livello di studi medio alto, ha chiuso all’improvviso la rotta, e tutti noi, cittadini europei, abbiamo pagato il sultano Erdogan affinché stroncasse quel corridoio. La seconda rotta passava dal Marocco e, attraverso Gibilterra, attraversava la Spagna: di nuovo, anche qui sono riusciti a stoppare i flussi. E’ rimasta la terza rotta, quella che passa per l’Italia attraverso la Libia, e tutti si dirigono lì, persino dall’Afghanistan e dal cuore dell’Africa per tentare la traversata verso l’Europa. Ci danno dei soldi, è vero, ma per metterli in mano a gente che ha trasformato l’accoglienza in un business. Dobbiamo iniziare a dire la nostra: abbiamo dato lezioni a tutti, in questi mesi, ma non abbiamo potuto evitare che il Mediterraneo si trasformasse in un cimitero”.