Venerdì, 09 Marzo 2018 16:56

Elezioni, l'analisi del voto: PD partito delle élite, voti di sinistra a M5S

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E’ passata poco meno di una settimana dalle elezioni del 4 marzo che, comunque vada il tentativo di formare un Governo, segneranno un prima e un dopo per la politica italiana. E dunque, è interessante provare a leggere oltre i numeri, per dare un senso al voto degli italiani.

Ci facciamo aiutare da Lorenzo De Sio, professore ordinario di Scienze Politiche alla Luiss di Roma che, all’indomani delle elezioni, aveva già sottolineato come alcuni elementi di studio suggerissero che uno dei motivi del fragoroso risultato elettorale fosse da individuare nella scarsa capacità dei partiti tradizionali di rispondere in modo efficace alle inquietudini generate dalle profonde trasformazioni socio-economiche che stanno investendo il nostro paese. A parità di varie condizioni socio economiche, si può asserire che le province con livelli più alti di disoccupazione hanno raccontato della crescita esponenziale del M5S, mentre le province con maggior aumento della presenza di immigrati hanno visto imporsi la Lega di Matteo Salvini.

Un primo risultato interessante e significativo, in linea con una teoria ormai consolidata - proposta per la prima volta dal gruppo di ricerca di Hanspeter Kriesi nel 2006 - per cui nei paesi dell’Europa Occidentale i cambiamenti nei comportamenti di voto e il successo di nuovi partiti sarebbero legati agli effetti di processi di trasformazione come la globalizzazione (sia in senso economico che in senso culturale) che, nel loro produrre vincenti e perdenti, generano conflitti che possono essere cavalcati e politicizzati con successo dai partiti.

Nell’approfondire l’analisi, il gruppo di studi del prof. De Sio si è imbattuto in un altro risultato, assai meno atteso, e cioè che una variabile ritenuta ormai irrilevante nella realtà politica italiana, la classe sociale, ha in realtà avuto un effetto significativo sul voto, e in una direzione inaspettata. In sintesi, il PD è l’unico partito per cui si registrano effetti significativi della classe sociale sul voto, nella direzione di un suo confinamento nelle classi sociali più alte e con un reddito più alto. In sostanza il PD del 2018 sarebbe diventato il partito delle élite.

Il che aiuterebbe a spiegare perché la parte d’Italia preoccupata dalla precarietà economica e agitata da paure identitarie si sia indirizzata – dando loro oltre il 50% dei voti – verso partiti come Movimento 5 Stelle e Lega.

In termini grezzi (ovvero le semplici percentuali di voto al PD nelle varie classi, ma col rischio dell’effetto di altre variabili, ad esempio a causa del maggior livello di istruzione delle classi più alte), il voto al PD – rispetto al 18.4% dell’intero campione – è del 13.1% nella classe operaia, del 19.4% in quella medio-bassa, del 18.3% in quella media, mentre sale al 31.2% in quella medio-alta. Tuttavia, per stimare l’effetto della classe al netto di quello di altre variabili, l’equipe di studio ha stimato un modello statistico di regressione lineare che comprende molte variabili di controllo. Ebbene, la propensione a votare il PD (su una scala da 0 a 10) al variare della classe sociale verso l’alto è piuttosto evidente: tra le prime tre classi sociali riportate (operaia, medio-bassa, media) la propensione rimane complessivamente abbastanza bassa, senza differenze significative. E invece nella classe più alta sale ai livelli tipici di una buona probabilità di voto PD.

Questo risultato è ulteriormente rinforzato dall’ulteriore analisi sul livello di standard di vita (ovvero considerare il proprio standard di vita più vicino a quello di una famiglia povera oppure a quello di una famiglia ricca). Anche qui emerge un effetto analogo per il PD che, quindi, vede la propria propensione di voto salire in modo sensibile tra le persone con uno standard di vita più agiato. In questo caso si tratta un effetto condiviso con altri partiti (in particolare con Forza Italia), anche se non con la stessa forza e nettezza.

Un dato rilevante poiché il tracollo elettorale del PD costituisce una parte significativa del successo del Movimento 5 Stelle (e in misura minore anche della Lega).

Lo conferma l’analisi di flusso elaborata dall’Istituto Cattaneo che spiega, appunto, come i pentastellati abbiano acquisito voti, e tanti, dal PD; nelle città del Nord e del Centro, tuttavia, hanno subito perdite significative: a beneficiarne principalmente la Lega. È un processo congruente con dinamiche che negli anni scorsi si sono osservate in occasione di elezioni comunali e che potrebbero far parlare del M5s come di un “traghettatore” di voti dal centrosinistra al centrodestra.

Al Sud, il M5s riesce a “rubare” voti anche a destra (ossia nel bacino elettorale del fu Pdl): qui, il partito fondato da Beppe Grillo si rivela più che mai un partito “pigliatutti”, capace di attrarre voti da tutte le direzioni. Succede lo stesso alla Lega nel Centro - Nord dove è risultata attrattiva a 360 gradi riuscendo a “rubare” voti non solo ai suoi alleati (l’ex-Pdl) ma anche ai cinquestelle, come detto, avversari nel campo genericamente definito populista, e talvolta anche al Pd.

Si spiega anche così la mappa di una Italia divisa in due, al Sud colorata di giallo (‘terra’ dei cinquestelle), al Nord d’azzurro, ‘feudo’ del centrodestra con l’eclatante risultato della Lega di Matteo Salvini.

A confermare la tendenza di una fuga dell’elettorato di sinistra verso i grillini anche l’indagine condotta da Swg, che ha mostrato come gli elettori che nel 1987 votarono Partito Comunista alle politiche di domenica 4 marzo abbiano scelto per lo più il Movimento 5 Stelle, il 35%; soltanto il 32% è rimasto fedele al Partito Democratico. A votare Liberi e Uguali è stato un più piccolo 10%, la Lega è stata scelta dal 9 per cento, Potere al Popolo dal 5% e il restante 9% si è sparpagliato fra altri partiti. Altro partito storico, la Democrazia cristiana: stando a Swg, chi nel 1987 votava scudo crociato il 4 marzo ha messo la croce su Forza Italia per il 29%, ha votato Lega per il 20%, Pd per il 18%, sempre per il 18% Movimento Cinque Stelle. Il restante 15% ha preferito altre forze politiche.

Elementi di riflessione che trovano conferma nelle rilevazioni di Tecnè per Tgcom24: dall’analisi dell’Istituto, si evince come il 17% dei votanti del Movimento 5 Stelle – sul campione selezionato - avesse votato PD cinque anni fa; il Movimento ha strappato voti anche al fu Pdl, il 12% dell’attuale elettorato. Con la Lega, invece, il conto è in negativo: se i grillini sono stati votati per il 6% da elettori che cinque anni fa avevano votato Lega, il partito di Matteo Salvini è stato votato per l’11% da ex elettori a Cinque Stelle. Tra l’altro, è altrettanto evidente la fuga di simpatizzanti dalle forze che componevano il Popolo delle Libertà alla Lega, il 21% del corpo elettorale salviniano così come emerge dal campione di studio votò PdL nel 2013. Forza Italia e Pd, invece, non hanno saputo attrarre elettorato di altre forze politiche. Fallito anche il tentativo di LeU di conquistare il consenso degli scontenti dem: soltanto il 6% degli elettori del partito di Grasso aveva votato PD nel 2013.

Ma le rilevazioni Tecné dicono anche altro, e torniamo così al principio, alla conferma, cioè, che il PD è diventato in un qualche modo il partito delle élite. Il 29% di coloro che hanno dichiarato di aver votato i dem si dice ottimista sul futuro economico del paese, l’8% è pessimista. Soltanto l’8% dei votanti Pd – e sempre sul campione testato - è disoccupato, il 14% precario: per lo più i simpatizzanti sono dipendenti pubblici o privati (43%) e pensionati (27%); e in effetti, il 27% del campione che ha detto di aver votato il partito del Nazareno ha più di 64 anni, con la media che scende sensibilmente nella fascia d’età 18-30 anni (15%) e 31-44 anni (15%). Di verso opposto la fotografia degli elettori del Movimento 5 Stelle: il 42% del campione che ha dichiarato di aver votato M5S si dice pessimista sul futuro economico del paese, il 33% è rassegnato, il 22% ottimista. M5S fa incetta del voto dei disoccupati (50% del campione) e dei precari (39%) sebbene le percentuali siano alte anche per ciò che attiene dipendenti pubblici e privati. Dunque, i votanti pentastellati - oltre i 64 anni - si riducono al 19%; tra i 18 e 30 anni, la composizione si attesta invece al 44%. La Lega in questo senso ha un trend più uniforme.

Il partito di Matteo Salvini spicca per comportamento di voto orientato dal tema della sicurezza e della migrazione (41% dei votanti testati), un dato altissimo e che connota molto l’elettorato, oltre alla provenienza geografica del Centro – Nord. A ribadire i dati già evidenziati, M5S spopola tra chi percepisce maggiormente la mancanza di lavoro come principale problema (35%) e, di nuovo, la considerazione fa il palio con la provenienza geografica dell’elettorato, prevalentemente dal Centro Sud. Ma non si pensi che il livello d’istruzione dei votanti a 5 Stelle sia basso: infatti, il 30% del campione pentastellato testato è laureato (PD 22%, Lega 13%, Forza Italia 10%), il 37% diplomato (PD 17%, Lega 18%, Forza Italia 13%).

Si tratta di dati sui riflettere attentamente.

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