Di Marco Signori - "Lei è al Senato, voialtri no". Pare si sia sentito rispondere così Americo Di Benedetto dall'entourage di Matteo Renzi, al quale non chiedeva posti per sé, come ogni buon politico che si rispetti, ma proponeva uno scatto di coraggio: mandare a Roma la giovane consigliera comunale di Sulmona Maria Ciampaglione, e il segretario di Pizzoli Velia Giorgi.
Finisce così, nel peggiore dei modi, la spinta innovatrice del rottamatore fiorentino. Guida la lista a sostegno di Renzi in provincia dell'Aquila Stefania Pezzopane. Dopo di lei Peppe Di Pangrazio. Entrambi da soli due mesi passati col sindaco di Firenze.
Il disegno è ormai chiaro, il cerchio si chiude: servono parlamentari, se si vuol contare qualcosa nelle scelte del governo. E il sindaco di Firenze non sarà il segretario che si occupa di circoli e tesseramenti, vuole guidare il Paese. Finché non sarà lui a Palazzo Chigi dovrà farlo dal partito.
Scrivevamo tempo fa che Renzi assumeva sempre più le sembianze di un vestito nuovo su un corpo e una mente immutati. Con la presentazione delle liste per i componenti dell'assemblea nazionale che saranno votate l'8, abbiamo avuto la conferma.
Oltre ai sette buoni motivi per votare Matteo Renzi, di cui parla Fabio Avallone in un pezzo sul suo blog molto condiviso sul web, da oggi ce n'è uno ottimo per non votarlo, che da solo vale più di tutti gli altri.
È così ovunque: la geografia delle liste racconta di consiglieri regionali, parlamentari, dirigenti di vecchio corso che per tutto si caratterizzano tranne che per connotati di discontinuità, avversori di Renzi fino all'estate scorsa, che dal 9 dicembre comporranno il parlamentino democratico.
Saranno cioè la nuova classe dirigente. Anzi no, la vecchia. Cioè, la stessa di oggi. Non cambiano i volti, insomma, ma il peggio è che non cambiano neanche i metodi.
Anzi, alla fine sono Cuperlo e Civati, più sobriamemente, a incarnarlo davvero, il rinnovamento. Tanto da permettere ai loro rappresentanti di sbeffeggiare i renziani della prima ora rimasti esclusi da ogni scelta. Tutti giovanissimi, nessuna nomenclatura, alle teste di lista in Abruzzo a sostegno degli sfidanti di Renzi.
Il sindaco di Firenze era considerato, a ragione, un vincente. Perché anche quando perse contro Bersani si comportò come un vincente. Oggi invece ha perso prima ancora di competere. Ha perso contro l'apparato. Si è piegato ai Vincenzo De Luca e alle Stefania Pezzopane pur di portare a casa un risultato diventato del tutto personale.
Ha perso perché non pescherà più un voto tra l'elettorato del centrodestra. E non perché - come dice l'embedded Giovanni Toti - si è espresso per la decadenza di Silvio Berlusconi, ma piuttosto perché ha dimostrato che oltre ai proclami neanche lui è stato capace di combattere una battaglia senza, anzi contro, gli storici notabili.
Ha perso perché non comunica realmente, ma solo virtualmente.
Ha perso perché la bulimia da ambizione gli ha fatto perdere la bussola: i suoi obiettivi personali lo hanno reso cinico e spietato.
Alla fine, anche la sua corsa finirà. Sarà uno dei tanti leader a orologeria che si alternano alla guida del centrosinistra. E se riuscirà ad andare al governo, sarà solo per "decadenza" dell'avversario.