Martedì, 10 Dicembre 2013 00:48

Pd, il day after. Voti tanti, aspettative troppe. Renzi alla prova dei fatti

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Di Marco Signori - Renzi vince. Vedremo se convince. Intanto all’Aquila esclude e non include. Le scelte sulla composizione della lista a suo sostegno gli costano il 10% dei consensi (68% in Italia, 58% in città) e un folto gruppo di simpatizzanti.

A meno di ventiquattrore dalla chiusura dei seggi presenta a Roma la nuova segreteria: una squadra preconfezionata che non tiene conto del risultato, dei territori, delle anime. Che tradisce una certa presunzione sull’esito del voto.

L’elettorato del Pd si dimostra tuttavia ancora una volta più maturo della sua classe dirigente, ma anche degli stessi iscritti. Da un lato c’è il dato sull’affluenza - una valanga di voti che smentisce ogni ondata di qualunquismo (vota il quadruplo degli iscritti!) -, dall’altro quello squisitamente politico: il voto delle primarie aperto a tutti consegna a Matteo Renzi un risultato solido, persino difficile da gestire da domani; quello riservato agli iscritti, nella precedente fase del voto nei circoli, aveva attribuito il 46% al neo segretario e il 43% a Gianni Cuperlo.
Un risultato difficile da gestire per almeno due ragioni.

C’è da ricostruire un partito disorientato e lacerato. Che arriva alla scelta di Renzi con un anno di ritardo, scontando tutte le difficoltà legate al governo “di necessità”. Disorientato perché il ruolo di lotta e di governo è da sempre un duro banco di prova. E il Pd non appare ancora convinto fino in fondo di restare nel governo delle (ex?) larghe intese. Un partito nel quale è ancora forte l’anima ex Ds, poco comprensiva delle aspettative di un elettorato che è almeno potenzialmente molto più vasto del proprio. Che senza primarie aperte avrebbe fatto correre il rischio di far perdere nuovamente Renzi. E quindi di soccombere di nuovo alle elezioni.

Un partito ancora troppo diffidente nei confronti di un giovane rampante la cui esuberanza sembra essere sfuggita di mano a quelli che gli diedero l’investitura portandolo alla presidenza della Provincia di Firenze a 29 anni.

La seconda grana per il neo segretario è rappresentata dal timore che non resteranno a guardare tutti quelli che all’ultima ora hanno sposato la causa del sindaco. Spesso in modo prorompente, addirittura con lo stesso fanatismo col quale un anno fa si spendevano per Bersani. A loro, senz’altro andranno date delle risposte. Votare le liste di Renzi era come votare quelle di Bersani nel 2012. Il sindaco ha vinto: ora deve convincere, abbandonando i vecchi metodi che anche lui ha utilizzato nelle ultime settimane, soprattutto mantenendo gli impegni che ha assunto in campagna elettorale. Dando seguito alle aspettative che è stato in grado di costruire negli ultimi anni. Cambiando innanzitutto quel Pd che si è trasferito armi e bagagli sotto la sua ala protettrice convinto di poter continuare a vivacchiare come fino ad un anno fa faceva con Bersani.

Gli sono arrivati i voti - una valanga - di una generazione disillusa che nutre in lui una abnorme aspettativa. Un elettorato spesso ignaro del fatto che troppi Matusalemme della politica lo sostenevano, visto che sulle schede non erano neppure stampati i nomi dei candidati delle liste collegate.

Per L’Aquila e la sua ricostruzione, infine, poche illusioni: 140 parlamentari del Pd in trasferta a bordo di tre pullman guidati da Pierluigi Bersani sbarcarono in città nel 2010 senza alcun seguito concreto, gli ultimi segretari dem tutti “amici” della città non hanno inciso su alcuna scelta a favore del capoluogo. Figuriamoci se un giovane amministratore portato repentinamente alla ribalta della politica nazionale che nel suo unico tour abruzzese - un anno fa - ha schivato L’Aquila, possa incidere alcunché sulle scelte del Ministero dell’Economia - perché sono quelle che contano - in favore della ricostruzione.

Ultima modifica il Martedì, 10 Dicembre 2013 09:04

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