Giusto un mese fa, la Giunta Comunale approvava gli indirizzi per l'indizione degli attesi bandi per l'assegnazione temporanea di alloggi del progetto C.A.S.E. e M.A.P., ai cittadini residenti a L'Aquila o nei comuni dell'ambito di mobilità da almeno 5 anni, con pagamento di un canone d’affitto calcolato in base agli accordi territoriali. Il provvedimento era atteso da mesi, da quando il sindaco Pierluigi Biondi, con una semplice lettera al dirigente competente, aveva, di fatto, congelato il bando così detto di 'housing sociale' istruito dalla precedente amministrazione, con oltre mille famiglie che avevano presentato domanda e una graduatoria già stilata.
Due le procedure, distinte: "Una è rivolta ai nuclei familiari già costituiti, composti da uno a quattro componenti, aventi un reddito ISEE compreso tra 12.001,00 euro e 30.000,00 euro", ha spiegato l’assessore alle politiche sociali, Francesco Cristiano Bignotti; "l'altra a nuclei familiari di nuova costituzione, composti da singoli o coppie, con o senza figli minori, fino ad un massimo di 4 membri aventi un reddito complessivo lordo compreso tra 13.000,00 euro e 35.000,00 euro. Quest'ultima darà l'opportunità anche ai giovani di ottenere una certa indipendenza, in particolare a quelli che, pur avendo un proprio reddito, hanno difficoltà a trovare un'autonomia abitativa diversa da quella della famiglia originaria non riuscendo ad attingere al mercato ordinario".
Rispetto al bando sospeso, la differenza sostanziale sta nell’aver indicato un valore minimo reddituale che, ha chiarito Bignotti, "permette di avere un margine di garanzia per l’ottemperanza al pagamento degli affitti, assicurando una gestione maggiormente sostenibile dei compendi immobiliari in menzione, garantendo infine anche una più puntuale applicazione delle disposizioni ordinamentali in materia", e nella richiesta residenzialità di almeno 5 anni.
Insomma, prima gli aquilani - o almeno, gli aquilani da almeno 5 anni - e possibilmente benestanti, con un reddito non inferiore a 12mila euro.
Il criterio della residenza - ha ribadito l'assessore - permette di "valorizzare i cittadini che hanno scelto di restare nel nostro territorio e vivere la loro vita familiare e lavorativa qui, nonostante le difficoltà legate al post sisma". In questo senso, ai fini della formulazione delle relative graduatorie "sono state previste ulteriori premialità che tengono conto dell’anzianità di residenza del richiedente nel Comune dell’Aquila o in un Comune dell’ambito di mobilità da almeno 10 anni".
Una scelta rivendicata dal sindaco del capoluogo, Pierluigi Biondi. “Il Comune dell’Aquila sancisce un principio: per l’accesso alle abitazioni realizzate nel post-sisma è indispensabile essere stabilmente dimoranti in città da almeno 5 anni e si prendono punteggi solo a partire dal decimo anno di anzianità di residenza”, le sue parole. “Non c’è nulla di razzista: solo quelli in malafede (o quelli che, in questi anni, hanno creato una voragine nel bilancio municipale) possono pensarlo. È, al contrario, una legge naturale, come una madre che si cura dei propri figli: se eri qui prima del terremoto e hai resistito a tutto, scegliendo di restare, io ti aiuto dandoti la priorità. Che tu sia o meno aquilano di nascita. Che tu sia o meno italiano. Non 'prima gli aquilani' ma 'prima chi ama L’Aquila'".
Sarà anche una legge naturale, ma parrebbe proprio incostituzionale.
Con la sentenza 166 del 20 luglio scorso, infatti, la Corte Costituzionale - esprimendosi sul fondo per il sostegno agli affitti - ha dichiarato l’illegittimità di una norma, l’articolo 11 comma 13 del decreto legge 112 del 2008, che fissava alcuni requisiti minimi, necessari solo per gli immigrati. Nello specifico, il provvedimento imponeva agli extracomunitari, per l’accesso agli aiuti, “il possesso del certificato storico di residenza da almeno 10 anni nel territorio nazionale, ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione”. La platea di beneficiari di qualsiasi misura - ha chiarito la Consulta – può, in teoria, essere circoscritta legittimamente purché sia rispettato il principio di ragionevolezza dell’articolo 3 della Costituzione, in base al quale ogni distinzione deve essere giustificata. In questo caso, “dieci anni di residenza sul territorio nazionale o cinque anni sul territorio regionale” costituiscono una durata “palesemente irragionevole e arbitraria” per i giudici.
Una sentenza che sta nel solco già tracciato da altre pronunce simili.
Non molti mesi fa, la Corte Costituzionale ha bocciato una legge approvata da Regione Liguria, la numero 13 del 2007, che stabiliva come gli stranieri, per poter partecipare all’assegnazione di alloggi di edilizia pubblica, dovessero essere “regolarmente residenti da almeno dieci anni consecutivi nel territorio nazionale” e da “almeno cinque anni nel Comune che emana il bando”. Il provvedimento, hanno stabilito i giudici, è incostituzionale per "irragionevolezza e mancanza di proporzionalità".
'Con riguardo ad una legge della Regione Valle d’Aosta/Vallèe d’Aoste - hanno scritto i magistrati nella sentenza - questa Corte ha già avuto modo di affermare che la previsione dell’obbligo di residenza da almeno otto anni nel territorio regionale, quale presupposto necessario per la stessa ammissione al beneficio dell’accesso all’edilizia residenziale pubblica (e non, quindi, come mera regola di preferenza), determina un’irragionevole discriminazione sia nei confronti dei cittadini dell’Unione, ai quali deve essere garantita la parità di trattamento rispetto ai cittadini degli Stati membri (art. 24, par. 1, della direttiva 2004/38/CE), sia nei confronti dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, i quali, in virtù dell’art. 11, paragrafo 1, lettera f, della direttiva 2003/109/CE, godono dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda anche l’accesso alla procedura per l’ottenimento di un alloggio (sentenza n. 168 del 2014).
Una tale valutazione di irragionevolezza e di mancanza di proporzionalità (risolventesi in una forma dissimulata di discriminazione nei confronti degli extracomunitari) - hanno aggiunto i giudici - 'è tanto più riferibile alla disposizione in esame (quella della Regione Liguria, ndr) la quale, ai fini del diritto sociale all’abitazione che è diritto attinente alla dignità e alla vita di ogni persona e, quindi, anche dello straniero presente nel territorio dello Stato, richiede, per questi ultimi, un periodo di residenza ancor più elevato (dieci anni consecutivi). E ciò (diversamente dalla legge valdostana) senza neppure prevedere che tale decennale residenza sia trascorsa nel territorio della Regione Liguria, facendo non coerentemente riferimento alla residenza nell’intero territorio nazionale, ancorché sia poi la stessa legge impugnata, per quanto riguarda la prova del ‘radicamento’ con il bacino di utenza a cui appartiene il Comune che emana il bando, a fissare un requisito di residenza di almeno cinque anni'.
Dunque, è incostituzionale anche la legge approvata dal Consiglio regionale d’Abruzzo il 3 luglio scorso (ne avevamo già scritto qui), a modificare i criteri d’assegnazione delle case popolari; il provvedimento, infatti, prevede che tra i requisiti per la partecipazione al bando di concorso per l’assegnazione degli alloggi vi sia la cittadinanza italiana, ovvero, per i cittadini stranieri, regolare residenza da almeno dieci anni consecutivi nel territorio nazionale. Inoltre, è stato modificato anche il criterio della residenza anagrafica o attività lavorativa esclusiva o principale prevedendo che il richiedente sia residente da almeno cinque anni nel bacino di utenza cui appartiene il comune che emana il bando.
Esattamente la stessa legge approvata da Regione Liguria e dichiarata, appunto, incostituzionale; evidentemente, al primo firmatario Lorenzo Sospiri (capogruppo di Forza Italia) e ai consiglieri che l’hanno votata, tra loro anche gli esponenti del Pd - il capogruppo Sandro Mariani l’ha definita una “norma di civiltà” - era sfuggito il pronunciamento della Consulta di qualche settimana prima.
Così, potrebbero essere giudicati incostituzionali anche i bandi per l’assegnazione degli alloggi del progetto Case e Map, come definiti dalla Giunta comunale. Infatti, se vale il principio di ragionevolezza insito nell’articolo 3 della Costituzione, se ogni distinzione - pure legittima - deve essere giustificata, se “dieci anni di residenza sul territorio nazionale o cinque anni sul territorio regionale” costituiscono una durata “palesemente arbitraria” per ciò che attiene agli stranieri che debbono accedere al fondo per il sostegno agli affitti, lo è altrettanto la pretesa residenzialità nel comune dell’Aquila (e in quelli dell’ambito di mobilità) di 5 anni, per non dire della premialità riconosciuta a chi è residente stabilmente da 10 anni. E non parliamo soltanto di stranieri, sia chiaro: vale anche e soprattutto per i cittadini italiani, residenti a L'Aquila da meno di cinque anni anni, magari nati a L’Aquila e, per un certo periodo, trasferitisi altrove, finanche per un cittadino residente a Roma che, per motivi di lavoro o per scelta di vita, si troverebbe impossibilitato a partecipare al bando stando un termine, quello dei 5 anni, che pare proprio – a dirlo è una giurisprudenza consolidata – non rispondente alla richiesta ragionevolezza.
E si potrebbe, e dovrebbe, aprire anche il capitolo che attiene al limite imposto sul reddito, con un tetto di 12mila euro che tiene fuori una larga fascia di possibili richiedenti, e che imporrebbe anche una riflessione – ci torneremo in un prossimo articolo – sul senso impresso dall’amministrazione di centrodestra alle politiche sociali.
“Il primario diritto all’abitazione è stato ripristinato con la sentenza del 20 luglio 2018”, sottolinea il capogruppo del Passo Possibile, Paolo Romano; “una doccia fredda per il Comune dell’Aquila che viene direttamente dall’organo giurisprudenziale più importante: la Consulta. I diritti che ogni buono Stato dovrebbe garantire e ripristinare ogni qualvolta venissero violati si riflettono sui doveri di ogni livello amministrativo di far rispettare quei diritti e di tutelare tutti coloro che ne hanno bisogno. I diritti che la nostra Carta non finisce mai di precisare e il sacrosanto dovere di un’Amministrazione, come il Comune dell’Aquila, di sospendere un avviso, quello relativo al progetto Case, partito male e che probabilmente finirà pure peggio con una brutta figura targata ‘prima gli aquilani’. Come opposizione l’avevamo detto - aggiunge Romano - pregando non solo di un maggior approfondimento, ma anche di invertire la rotta ripristinando il vecchio bando. Adesso il vero rischio per il Comune, sempre denunciato, è quello di perdere altro tempo e economie dal mancato utilizzo degli alloggi del Progetto Case”.
Con la pubblicazione dei due bandi – aggiunge il capogruppo del Pd, Stefano Palumbo – “Biondi ha dichiarato di aver sancito un nuovo principio: ‘prima chi ama L’Aquila’. Peccato che, prima di ogni altro principio, il Sindaco sia tenuto a rispettare quelli fissati dalla nostra costituzione, un dovere a cui viene meno proprio con i bandi in questione, bandi che sono appunto, come ribadito dalla consulta, incostituzionali”. Esiste un'ampia e consolidata giurisprudenza - ribadisce Palumbo – “secondo cui fissare un limite di anzianità di residenza (5 anni in questo caso) come criterio di accesso ai servizi erogati dall'ente rappresenta una violazione del principio di uguaglianza fissato dall'articolo 3 della costituzione e del regolamento comunitario. Indipendentemente quindi dalle valutazioni ideologiche di ognuno, sono chiare le possibili conseguenze a cui l'ente sarebbe esposto in caso di possibili ricorsi. Ad ogni modo, la matrice ideologica che ha ispirato l'annullamento del bando precedente perché occorreva ‘marcare un’identità territoriale’ è la conferma di una politica di arroccamento dentro le nostre mura che va nella direzione opposta a quella che la nostra città dovrebbe seguire, ovvero aprirsi per attrarre nuove energie, nuove competenze, giovani coppie”.
Tra l'altro, su oltre 600 alloggi liberi solo 160 saranno assegnati attraverso i nuovi bandi e secondo criteri “che non consentiranno alle decine di inquilini entrati nel progetto C.A.S.E. grazie alle ordinanze sindacali - e cioé per decisione diretta del sindaco - di sanare la propria posizione. Quale sarà il loro destino? Riceveranno una lettera di sfratto o continueranno a godere del privilegio che i bandi negano a tutti gli altri? L'ennesima presa in giro mascherata dallo slogan ‘prima gli aquilani’, quelli ricchi o nelle grazie del Sindaco però”.