Domenica, 12 Maggio 2019 21:39

Chiusura traforo Gran Sasso, è arrivato il tempo di dire basta: la posizione di Strada dei Parchi è inaccettabile. Ora la politica si assuma le sue responsabilità

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E’ arrivato il tempo di dire basta.

Basta di stare alle condizioni dettate da Strada dei Parchi, la società concessionaria delle autostrade A24 e A25 che ha avviato un braccio di ferro col Ministero delle Infrastrutture e con Regione Abruzzo minacciando la chiusura del traforo del Gran Sasso, allo scoccare della mezzanotte del 19 maggio.

Le aree interne d’Abruzzo, già gravate dal terremoto del 2009 e dagli eventi sismici che si sono susseguiti tra l’agosto del 2016 e il 2017, non possono più sottostare al giogo di una società che, sulle autostrade abruzzesi, ha imposto tariffe tra le più alte d’Italia per un'infrastruttura che non offre piene garanzie di sicurezza, paventando, ora, d’interrompere il pubblico servizio, spaccando a metà la Regione, e annunciando, tra l’altro, la chiusura delle rampe di entrata in autostrada dello svincolo Bussi-Popoli [dal 20 maggio al 30 giugno sia in direzione Pescara-interconnesione A14 che in direzione Roma-L’Aquila-Teramo] e dello svincolo di Tornimparte [in entrata in autostrada, limitatamente al traffico proveniente dalla viabilità ordinaria e diretto verso A25/Roma; in uscita dall’autostrada, limitatamente al traffico proveniente da AQ/TE], “per urgenti e improcrastinabili lavori di manutenzione”.

La politica stavolta, ai diversi livelli, è chiamata ad alzare la testa, assumendo, d’altra parte, le sue responsabilità per la gestione di una vicenda, quella del ‘sistema Gran Sasso’, che è stata colpevolmente sottovalutata se non dolosamente ignorata per troppi anni.

Inutile sottolineare cosa potrebbe significare la chiusura del traforo.

L’autostrada A24 è un’infrastruttura strategica per il paese, arteria di collegamento tra la costa tirrenica e quella adriatica. Interdire l’accesso al traforo isolerebbe i territori sui due versanti del Gran Sasso. E’ una questione di sicurezza, prima di tutto: sia chiaro, non stiamo parlando solo di eventuali emergenze legate a calamità naturali. Gli ospedali di L’Aquila e Teramo sono in convenzione per la gestione di alcune specifiche emergenze sanitarie: in particolare, i pazienti del San Salvatore che hanno bisogno di interventi d’urgenza in cardiochirurgia e chirurgia toracica vengono trasferiti al Mazzini di Teramo e, viceversa, per la radiologia interventistica e la Tin (terapia intensiva neonatale) il punto di riferimento per la Asl teramana è il San Salvatore. Ebbene, con le ambulanze impossibilitate a trasferire velocemente i pazienti da un ospedale all’altro si metterebbe a repentaglio la vita dei malati.

Per tacere delle ripercussioni drammatiche che la decisione avrebbe sull’economia delle aree interne: si tornerebbe indietro di trent’anni. La rinascita stessa dei territori colpiti dai terremoti dell’ultimo decennio verrebbe messa in discussione. Si pensi all’Aquila, per non andar lontano: la città sta immaginando la sua vocazione futura, basata su ricerca e alta formazione, sul turismo e sullo sviluppo della montagna. In un territorio isolato, verrebbe messo in ginocchio l’Ateneo: è dei giorni scorsi l’appello della Rettrice Paola Inverardi che ha chiarito l’enorme disagio che la chiusura del traforo comporterebbe per le migliaia di studenti provenienti dal teramano, dalle zone costiere abruzzesi e marchigiane, oltre che per il personale docente e per gli studenti che operano nelle strutture convenzionate della Asl di Teramo. Che dire poi del crollo delle iscrizioni che si registrerebbe per il prossimo anno accademico? Vale lo stesso per il GSSI, evidentemente, nato sulla stretta relazione con i Laboratori Nazionali del Gran Sasso che, stante la situazione, verrebbero messi in condizione di non poter operare. E stiamo parlando di una eccellenza del territorio, di un gioiello della ricerca nel nostro paese. Sui danni al turismo e allo sviluppo della montagna non è il caso di aggiungere ulteriori riflessioni.

Ecco il motivo per cui la presa di posizione di Strada dei Parchi è assolutamente inaccettabile, la minaccia di chiudere il traforo da respingere con forza.

Stiamo ai fatti.

La società concessionaria di A24 e A25 ha spiegato di aver assunto la decisione di interdire il traffico in entrambe le direzioni per evitare ulteriori situazioni pregiudizievoli in sede penale, sia per i singoli amministratori – rinviati a giudizio, con la prima udienza fissata al 13 settembre prossimo – sia per la società che vuole evitare sanzioni e interdittive previste nella legge 231/2001 che implica, tra l’altro, il commissariamento.

Il riferimento è all’inchiesta della Procura della Repubblica di Teramo scattata a seguito di alcuni casi di contaminazione delle acque del bacino idrico che serve 700mila abruzzesi, sebbene gli inquinanti fossero rimasti sotto i limiti di legge; il primo caso è dell’agosto 2016, con la contaminazione da diclorometano che, s’ipotizza, provenisse dall’esperimento Cupid dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Il secondo caso, invece, è del maggio 2017, per contaminazione da Toluene avvenuta in contemporanea con i lavori di verniciatura dei tunnel autostradali attuati da Strada dei Parchi. E’ su questi eventi che la Procura della Repubblica di Teramo ha puntato i riflettori col rinvio a giudizio dei vertici della società concessionaria, di Infn e di Ruzzo reti; stiamo parlando di fatti specifici, relativi ad alcune precauzioni che gli imputati, stando alla Procura, avrebbero dovuto assumere per la tutela dell’acquifero.

E’ chiaro che la vicenda ha messo in luce come il ‘sistema Gran Sasso’ non sia in piena sicurezza e, da questo punto di vista, è più che comprensibile la richiesta di Strada dei Parchi che sia lo Stato, proprietario dell’infrastruttura viaria, ad assumere la responsabilità della messa in sicurezza, stanziando le risorse e realizzando le opere necessarie; in questo senso, la concessionaria avrebbe potuto rifiutarsi di svolgere altre opere pure previste dalla concessione - come la verniciatura dei tunnel, per dire - per la migliore fruibilità dell’autostrada. Minacciare di chiudere il traforo, però, è un atto evidentemente spropositato. E strumentale.

D’altra parte, come giustamente sottolineato dalle associazioni ambientaliste, la magistratura non ha posto sotto sequestro l'autostrada né imposto altre misure cautelari.

Non solo. Strada dei Parchi, mesi fa, si è seduta al tavolo voluto dall’allora presidente vicario di Regione Abruzzo, Giovanni Lolli, per studiare le strategie di messa in sicurezza da proporre al Governo; anzi, ha pure avanzato alcune proposte e, tra le altre, la realizzazione di un terzo tunnel ‘di servizio’: mai aveva paventato la possibilità di chiudere il traforo per evitare la reiterazione di un reato che, nei fatti, potrebbe tranquillamente evitare, avendo una diversa attenzione alle opere di manutenzione da realizzare nel traforo. E mai, sia chiaro, si è detto che sarebbe stata la concessionaria a dover sostenere le spese di messa in sicurezza.

Viene da chiedersi cosa sia cambiato, in questi mesi.

La sensazione è che la società concessionaria stia sfruttando la vicenda per alzare l’asticella dello scontro con il Ministero delle Infrastrutture, uno scontro che si trascina da anni e che attiene, anche e soprattutto, al piano economico finanziario da 3 miliardi ancora da sbloccare. Ricorderete che la concessionaria aveva presentato all’allora ministro Graziano Delrio alcune proposte considerate “drammaticamente irrealistiche” dal titolare del dicastero che aveva sottolineato come avrebbero comportato oneri per altri 6 miliardi e tariffe ancora più insostenibili per gli utenti. Le simulazioni del Piano finanziario – la replica della concessionaria – erano state eleborate sotto lo schema dettato dal Mit che, nella fase istruttoria, dopo aver analizzato le proposte alternative di Strada dei Parchi che aveva ipotizzato un nuovo tracciato, aveva deciso che si sarebbe dovuto procedere, piuttosto, con la messa in sicurezza dell’esistente.

E qui sta il nodo: Sdp avrebbe voluto la modifica del tracciato, col progetto faraonico che puntava a tagliare 30 km di autostrada realizzando 7 nuove gallerie. Una proposta rigettata dal Mit. Così si spiega il mancato accordo e, di riflesso, la decisione della concessionaria di aumentare i pedaggi, tra i più alti d’Italia, di un ulteriore 13%, rincaro poi sospeso in attesa di un accordo non ancora raggiunto.

Col tempo, i rapporti tra concessionaria e ministero si sono ulteriormente incrinati, a seguito dello scontro col successore di Delrio, il ministro Danilo Toninelli, sullo stato della sicurezza di alcuni viadotti. Fino all’inchiesta sugli sversamenti nel bacino idrico del Gran Sasso, i rinvii a giudizio, e il tavolo in Regione con la proposta di terzo tunnel rigettata dall’allora presidente vicario Giovanni Lolli.

La paventata chiusura del traforo sta dentro questo quadro, ed è evidente come la minaccia di interdire il traffico sia un tentativo di forzare la mano per ottenere migliori condizioni d’esercizio; le condizioni che interessano al gruppo Toto, per dirla in modo chiaro, che tratta le autostrade abruzzesi come un ramo d’azienda da cui ottenere i maggiori profitti possibile. E’ per questo che la politica non può, di nuovo, voltare lo sguardo dall’altra parte, abbassare la testa accettando passivamente le condizioni poste dalla concessionaria. Bene ha fatto il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi, ad inviare una diffida formale a non interrompere il pubblico servizio, parlando di “atto irresponsabile e potenzialmente lesivo della normativa e degli interessi dei cittadini”; bene ha fatto il sottosegretario abruzzese Gianluca Vacca ad evocare una possibile revoca immediata della concessione.

Strada dei Parchi non può chiudere il traforo ed è il caso che anche la società civile si mobiliti, faccia sentire la propria voce, fino ad arrivare a forme di protesta eclatanti dovesse davvero configurarsi il rischio isolamento per le aree interne abruzzesi.

Detto questo, non si possono tacere le enormi responsabilità della politica, ad ogni livello, da quello regionale fino a quello governativo. In questi anni, lo dicevamo, la vicenda è stata colpevolmente sottovalutata, se non dolorosamente ignorata. C’è stato un commissariamento, nei primi anni Duemila, sono stati spesi 80 milioni di euro e la situazione non è affatto migliorata, anzi: come detto, il ‘sistema Gran Sasso’ non è stato messo in sicurezza e, nel frattempo, nessuno si è interessato dell’acqua che passa dai rubinetti di 700mila cittadini abruzzesi, dello stato di sicurezza delle autostrade e, così, delle attività dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso.

E dunque, anche la politica – così come la società concessionaria – va inchiodata alle sue responsabilità: la Giunta regionale, e così il Consiglio che si riunirà domani in seduta straordinaria, debbono diffidare formalmente la concessionaria, come fatto dal sindaco dell’Aquila, facendosi soggetto attivo nell’interlocuzione col Governo. D’altra parte, uno degli azionisti di maggioranza dell’esecutivo è la Lega del vice premier Matteo Salvini che esprime quattro assessori regionali e dieci consiglieri: è inaccettabile la vaghezza della risposta del Governo all’interrogazione della deputata di Leu Rossella Muroni, è incomprensibile che su una vicenda di tale gravità non si sia ancora intervenuti con fermezza. Se ne interessino i parlamentari abruzzesi di centrodestra. Lo stesso sottosegretario abruzzese del Movimento 5 Stelle Gianluca Vacca è intervenuto con colpevole ritardo: Strada dei Parchi ha chiarito di aver informato il Ministero delle Infrastrutture della volontà di chiudere il traforo più di un mese fa, il 5 aprile scorso: come ha agito il ministro pentastellato Danilo Toninelli per evitare che si arrivasse a questo punto?

Si dovesse arrivare al punto di rottura, sarebbe responsabilità gravissima dei rappresentanti abruzzesi di Lega e Movimento Cinque Stelle in Parlamento, oltre che del ministro Toninelli che, in questi mesi, sulla questione autostrade ha preferito il clamore mediatico piuttosto che l'impegno per risolvere diversi problemi che attengono all’infrastruttura.

Ci si attivi, e lo si faccia subito: arrivati a questo punto, il Governo deve - innanzitutto - evitare la chiusura del traforo, assicurando poi i 172 milioni circa necessari alla messa in sicurezza del ‘sistema Gran Sasso’, nominando un commissario - se è la posizione condivisa con la Regione - che si occupi, però, solo e soltanto della realizzazione dei lavori, non cedendo ad alcuna deroga ambientale, anzi perimetrando, finalmente, le aree di salvaguardia e allontanando, senz’altri indugi, le 2.300 tonnellate di sostanza chimiche pericolose dai Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Contestualmente, il Mit metta finalmente a disposizione le risorse stanziate col decreto Genova, oltre sette mesi fa, per la messa in sicurezza dei viadotti: il protocollo d’intesa con la società concessionaria è stato firmato soltanto pochi prima di Pasqua, per un importo di 112 milioni di euro tra l’altro, e non 182 milioni come previsto nel decreto. Che si accelerino i tempi così che si possano aprire subito i cantieri.

Infine, il Governo valuti con attenzione la posizione della società concessionaria: è arrivato il tempo di dire basta.

Ultima modifica il Domenica, 12 Maggio 2019 22:15

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