Umberto Di Primio, sindaco di Chieti, si è dimesso.
Stamane, l'ex forzista ha convocato la Giunta, annunciando poi in conferenza stampa la sua decisione.
Oggi, doveva riunirsi il Consiglio comunale per l'approvazione del bilancio di previsione: stante la spaccatura con i cinque consiglieri dissidenti di Forza Italia - il capogruppo Marco D’Ingiullo, Maura Micomonaco, Emiliano Vitale, Maurizio Costa ed Elisabetta Fusilli - che non avrebbero partecipato ai lavori d'aula e la posizione critica dei tre consiglieri dell'Udc, Di Primio ha staccato la spina. "L’ho fatto per rispetto di chi ha sempre condiviso il lavoro per la città. Città che amo. Ma non sto qui a fare il burattino e non sono prigioniero di nessuno", l'affondo del sindaco dimissionario.
"Una parte della maggioranza - ha aggiunto Di Primio - ha reso inevitabile questa decisione. Quella maggioranza uscita dalle urne del 2015, oggi in aula non è più la stessa, condizionata dall'esterno. Non ci sono le condizioni per approvare il bilancio, e dunque mi dimetto da sindaco". Chiaro il riferimento all'assessore regionale Mauro Febbo, riferimento politico dei dissidenti azzurri. "Non c'è possibilità di trattare con il ricatto, poiché loro sono manovrati da qualcuno che dietro dice di comandarli, tant'è che oggi giustamente non sono venuti in Consiglio, e io non sono uno che si fa certo comandare. Il centrodestra perde la grande occasione di fare pulizia al proprio interno. Io credo di aver fatto tutto ciò che potevo, di aver dato a questa città tempo, amore, passione: credo di aver dato anche progetti finanziati e non chiacchiere, come fa qualcuno".
Di Primio è il secondo sindaco del centrodestra a 'cadere', dopo la sfiducia al primo cittadino di Avezzano, Gabriele De Angelis, fiaccato, anche lui, dalle spaccature interne alla maggioranza.
A Chieti, la crisi è iniziata con le dimissioni, poi ritirate, di Di Primio che aveva tentato di strappare la candidatura a governatore di Regione Abruzzo; di lì, le tensioni hanno lacerato la maggioranza acuite, nelle ultime settimane, dal passaggio dell'assessore Nicoletta Di Biase da Forza Italia a Fratelli d'Italia, senza il benestare di Febbo, con i forzisti che hanno chiesto le immediate dimissioni dell'assessore. Una richiesta caduta nel vuoto. Come la proposta di stabilizzare 48 precari storici della municipalizzata Teateservizi, che si occupa della riscossione dei tributi.
"Qui c'è una grave responsabilità della classe dirigente regionale - ha chiarito, però, Di Primio - che sta mandando a casa l'amministrazione di centrodestra di una città capoluogo ad un anno dalle elezioni. Io non posso dire altro che Teramo docet: se non avete ancora compreso che dare spazio a chi fa i ricatti e le bande armate poi porta a perdere le elezioni, vuol dire che non avete compreso una lezione abbastanza banale che dà la vita politica".
Dunque, Di Primio ha ribadito che, al momento, non ci sono le condizioni "per pensare al ritiro delle dimissioni. Questo vorrebbe dire la sottoscrizione di un patto di fine mandato dove non c'è gente che scappa o sì nasconde dietro qualcuno: io non parlo più con gente che non è il segretario di un partito o un consigliere comunale, sono stufo di avere incontri e dialoghi con chi non è né consigliere comunale né segretario di partito ma viene ad alzar voce nelle riunioni. Questo non è un metodo che mi appartiene. Finché non ci saranno queste condizioni è impossibile anche parlare di un percorso diverso dal tornare tutti a casa e dal rivederci a maggio dell'anno prossimo alle elezioni comunali".