Di Marco Signori - Le modalità con le quali Matteo Renzi arriva alla guida del Paese sono allucinanti, ma del tutto spiazzante è la quasi riverente disponibilità con la quale gli inediti alleati della destra gli consentono di accomodarsi a Palazzo Chigi. E l’indifferenza, quasi rassegnazione, con la quale il presidente della Repubblica ha affrontato e, anzi, liquidato, la questione.
Una disarmante scelta, quella di Angelino Alfano, che non può che essere dettata dalla tremenda paura di raggiungere Gianfranco Fini. Fuori per sempre, cioè, da ogni gioco.
E l’unico che gongola è ancora una volta Silvio Berlusconi, tutt’altro che “irriconoscibile” come lo ha definito il suo ormai ex delfino. L’unico, paradossalmente, coerente. Ancora primo nei sondaggi.
Se è vero che Renzi a differenza degli ultimi due presidenti del Consiglio una minima legittimazione popolare l’ha ottenuta, gli elettori delle primarie assomigliano oggi a degli incapaci circonvenuti: credevano di eleggere il nuovo segretario del Pd, le minoranze interne addirittura immaginavano delle primarie bis per la premiership.
Ma se questa ultima ipotesi poteva essere giudicata azzardata, avendo un segretario forte e legittimato, la scelta di sostituire la parlamentarizzazione di una crisi alla “partitizzazione” della crisi ha dell’incredibile.
Quanto accaduto non rientra peraltro neppure nell'alveo di crisi extraparlamentare, non essendoci di fatto alcuna crisi politica tra le forze che compongono la maggioranza e non avendo - l’esecutivo Letta - alcuna difficoltà a trovare i numeri per far approvare provvedimenti dal Parlamento.
I giochi, insomma, sono tutti all’interno del Pd. Con Renzi che, con la consapevolezza di non poter aspettare un anno per andare al governo continuando a fare il controcanto al premier, e conscio della graduale perdita di consenso a vantaggio di Berlusconi e Grillo, ha deciso di imprimere quella che solo tra qualche mese sapremo se è una svolta per il Paese o solo per sé stesso.
Ancora una volta, basterebbe pensare cosa sarebbe accaduto se una crisi si fosse aperta e chiusa a Palazzo Grazioli, cioè in casa di Berlusconi. Quanto e cosa avrebbero urlato Pd e compagnia. Allora, forse, si avrebbe maggiore prudenza nel difendere scelte discutibili.