E dunque, il governo gialloverde è al capolinea; tecnicamente, non si può ancora parlare di 'crisi di governo' che, di fatto, si apre allorquando viene meno il rapporto di fiducia tra il Parlamento e il governo o quando il presidente del Consiglio presenta le sue dimissioni. Ieri, il premier Giuseppe Conte ha chiarito che, per il momento, non intende rimettere il mandato nelle mani del Capo dello Stato e, dunque, si passerà dalle Camere.
Che si tratti di un'azione di forza "spericolata" del leader della Lega e ministro dell'Interno Matteo Salvini, "per capitalizzare - usando le parole di Conte - il consenso di cui il partito attualmente gode", è assolutamente fuor di dubbio; mai si era vista una manovra del genere in piena sessione di bilancio. Sussurrano i maligni che, in fondo, l'obiettivo era proprio questo: evitare di ritrovarsi tra le mani un provvedimento "lacrime e sangue" da far digerire agli italiani. O peggio, la volontà di avere mani libere per una manovra in deficit che porterebbe il Paese, di fatto, ad uno scontro senza precedenti con Bruxelles.
D'altra parte, non è affatto banale il discorso sui tempi, se si guarda oltre il delirio di onnipotenza di Salvini.
E che tempi si possono prevedere per un ritorno alle urne?
In questo momento, le Camere sono 'chiuse' e, da calendario, dovrebbero riaprire il 9 e 10 settembre; Conte, ieri sera, ha spiegato che sarà sua premura "contattare i presidenti affinché adottino le iniziative di propria competenza per permettere alle Camere di tornare a riunirsi": è presumibile che la conferenza dei capigruppo, delegata a fissare l'agenda dei lavori, si riunisca all'inizio della prossima settimana convocando i parlamentari dopo Ferragosto, da lunedì 19 agosto in poi.
Conte si presenterà in aula e, lì, si certificherà il venir meno della fiducia del Parlamento. E' il percorso concordato con Mattarella.
Che succede a quel punto? Il Capo dello Stato aprirà le consultazioni per capire se le Camere siano in grado di esprimere un'altra maggioranza parlamentare possibile, che passi da un rinnovato accordo M5S-Lega o da nuove alleanze. Se così non dovesse essere, come prevedibile, Mattarella potrebbe affidare un mandato esplorativo ad una personalità di sua indicazione: è evidente, però, che sarebbe un 'suicidio' politico per M5S, PD e Forza Italia sostenere un esecutivo 'tecnico' chiamato a mettere mano alla manovra di bilancio lasciando Lega e Fratelli d'Italia a fare opposizione contro i tecnocrati che soffocano l'Italia. Sarebbe lo scenario ideale per Salvini.
E dunque?
Ci sono due scenari possibili. Il primo: preso atto dell'impossibilità di un governo 'tecnico' o 'neutrale', Mattarella potrebbe sciogliere immediatamente le Camere. La Costituzione prevede che le elezioni politiche debbano essere fissate dopo 45 giorni ed entro un massimo di 70; stante la necessità di organizzare il voto all'estero, però, serviranno almeno 60 giorni. A far di conto si può cerchiare di rosso sul calendario la data del 27 ottobre, con le Camere che verrebbero sciolte il 26 agosto. Tortuoso, ma praticabile. Impossibile si possa votare prima.
E la legge di bilancio? Il governo è chiamato a presentare la nota di aggiornamento del DEF entro il 27 settembre; deve mandare alla Commissione europea il Documento programmatico di bilancio entro il 15 ottobre; deve portare la legge di bilancio in Parlamento entro il 20 ottobre; deve far approvare la legge di bilancio dal Parlamento entro il 31 dicembre.
Ora, si dovesse votare il 27 ottobre, il nuovo Parlamento non si insedierebbe prima della metà di novembre (devono passare circa 20 giorni); dunque, le Camere dovrebbe eleggere i presidenti e, solo allora, si aprirebbero le consultazioni del Capo dello Stato per formare il nuovo governo. Veloci che si voglia andare, si arriverebbe a dicembre. Di fatto, non si riuscirebbe ad approvare la legge di bilancio entro la fine dell'anno e, dunque, si andrebbe in esercizio provvisorio, si governerebbe in 'dodicesimi' in sostanza, con ripercussioni gravi: scatterebbe, infatti, l'aumento dell'Iva, dal 22 al 25.2% per l'aliquota ordinaria e dal 10 al 13% per quella agevolata, stante le clausole di salvaguardia fissate dal governo Conte.
Un disastro.
E arriviamo al secondo scenario possibile. Mattarella potrebbe decidere di nominare un Presidente del Consiglio e, d'intesa con lui, i ministri: non otterrebbero la fiducia del Parlamento, lo abbiamo detto, ma potrebbero restare in carica per il disbrigo degli affari correnti, per approvare, appunto, la legge di bilancio. Di nuovo, però: quale forza politica si assumerebbe l'onere di votare un provvedimento "lacrime e sangue" portato da un governo 'tecnico' che non ha la fiducia del parlamento? Impossibile, verrebbe da dire. Ma l'ipotesi di un governo del 'presidente' a tempo, pur senza fiducia, non è affatto da escudere, anzi: eviterebbe, almeno, che la fase elettorale venga gestita da un ministro dell'Interno - la figura incaricata di organizzare il voto e vigilare sulla sua regolarità - che è il responsabile della crisi di governo, leader di un partito e principale candidato alla presidenza del Consiglio. Si tratterebbe di un fatto mai accaduto nella storia repubblicana.
Dunque, si può ipotizzare un ritorno alle urne il 27 ottobre con un governo del presidente in carica.
Delineati gli scenari a livello nazionale, che cosa potrebbe accadere a livello locale?
In Regione, c'è da scommetterci, la crisi aperta dalla Lega rientrerà presto, già ad inizio settimana: il governatore Marco Marsilio ha immediatamente acconsentito ad una verifica programmatica e, per il momento, al Carroccio - che resta comunque azionista di maggioranza dell'esecutivo, e le tensioni di questi giorni sono servite soltanto a ribadirlo - non avrebbe alcun interesse a mettersi di traverso ad un governatore di Fratelli d'Italia considerato che la Lega, con ogni probabilità, si presenterà alle elezioni in alleanza con i meloniani e con Giovanni Toti (bisognerà capire che fine farà Forza Italia).
A livello comunale, invece, le cose stanno in modo diverso.
Lo scomposto attacco della Lega al sindaco Pierluigi Biondi, di fatto, ha anticipato di qualche ora la rottura imposta a livello nazionale da Matteo Salvini che, si presume, fosse nota ai maggiorenti del Carroccio e, in particolare, al deputato aquilano Luigi D'Eramo; si può immaginare, dunque, che oltre al tentativo di segnare un cambio di rotta sulla nomina del manager della Asl 1, si sia voluto inviare un messaggio piuttosto chiaro alle forze cittadine del centrodestra: in caso di elezioni anticipate, il nome del candidato sindaco, stavolta, sarà espresso dalla Lega.
D'altra parte, è noto a tutti che Biondi potrebbe giocarsi una candidatura praticamente blindata alla Camera nelle liste di Fratelli d'Italia, accordo stretto con Giorgia Meloni al momento di indicare il governatore di Regione Abruzzo. Si tornasse davvero al voto per le poltiche il 27 ottobre, Biondi - per candidarsi - dovrebbe dimettersi da sindaco entro 7 giorni dallo scioglimento delle Camere; presumibilmente, il primo cittadino potrebbe dunque lasciare tra la fine di agosto e i primi di settembre. A quel punto, il Comune dell'Aquila verrebbe commissariato fino a nuove elezioni: per le comunali, la finestra indicata per le urne è tra il 15 aprile e il 15 giugno. In altre parole, la città sarebbe governata da un commissario per almeno 7, 8 mesi con una lunghissima, e snervante, campagna elettorale. Resta da capire chi intenda esprimere la Lega come candidato sindaco: al momento, l'unico nome plausibile sembra quello del deputato Luigi D'Eramo che, tuttavia, dovrebbe rinunciare ad una rielezione scontata in Parlamento.
Vivremo mesi lunghissimi.