Mercoledì, 12 Marzo 2014 12:52

Elezioni regionali, ora la candidatura di D'Alfonso imbarazza Renzi e il Pd

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Ha vinto le primarie in maniera scontata, con il 76% di preferenze. Il suo tir sta attraversando l'Abruzzo, divorando chilometri e incontri.
Luciano D'Alfonso pare inarrestabile nella sua corsa alla carica di governatore della Regione Abruzzo. Eppure, l'atmosfera in seno al Partito Democratico è tutt'altro che serena.

Non fossero bastati gli articoli pubblicati da 'Il Fatto quotidiano' e 'La Stampa', anche Repubblica - con un pezzo firmato da Walter D'Amario - ha inteso manifestare dubbi e perplessità intorno alla candidatura dell'ex sindaco di Pescara.

Ed è un articolo che fa molto rumore, se è vero che il quotidiano diretto da Ezio Mauro è molto vicino all'esecutivo guidato da Matteo Renzi.

Se quella di Repubblica non è una scomunica poco ci manca. Il giornale riporta le parole di una 'fonte' interna al partito: “Renzi e la classe dirigente abruzzese del Pd non avevano scelta. Se non lo avessimo fatto candidare, lui avrebbe fatto una lista propria per correre da presidente. In quelle condizioni una vittoria ormai scontata per il centrosinistra – visto lo scandalo che ha colpito la giunta del Presidente in carica, Gianni Chiodi – sarebbe diventata molto a rischio”.

In altre parole, un vero e proprio ricatto. A dire che sarebbe il centrosinistra ad aver bisogno di Luciano D'Alfonso, non il contrario. L'ex sindaco di Pescara, infatti, avrebbe comunque presentato la candidatura da indipendente: non avrebbe vinto, probabilmente. Ma avrebbe lasciato via libera al centrodestra.

Renzi già da tempo si era adoperato per capire quale fosse il candidato più forte da presentare alle elezioni regionali abruzzesi. Nel mese di gennaio, il Partito Democratico nazionale aveva commissionato un sondaggio all’insaputa di tutta la classe dirigente regionale abruzzese. Poi finito sulle prime pagine dei quotidiani.

La coalizione di centrosinistra era data in vantaggio di due punti percentuali sulla coalizione di centrodestra. Con una sorpresa: la senatrice Stefania Pezzopane avrebbe vinto su Chiodi con un margine di sette punti; Luciano D’Alfonso di tre punti; il sottosegretario Giovanni Legnini di due. Così, in molti avevano ipotizzato la discesa in campo di Pezzopane, renziana dell'ultima ora, che sembrava pronta a sfidare il candidato in pectore alle primarie del 9 marzo.

Invece, Stefania Pezzopane - nel corso di una lunga conferenza stampa - ringraziò gli elettori di centrosinistra declinando, però, l'invito a candidarsi.
“La cosa non è riuscita a Renzi – raccontano dal Pd – D’Alfonso in ogni modo si sarebbe candidato, con o senza l’assenso del segretario. In queste condizioni il centrosinistra avrebbe affrontato le elezioni regionali diviso e con poche possibilità di vittoria”.

Tutti con D’Alfonso, dunque. Almeno in apparenza. Nonostante debba affrontare il secondo grado del processo Housework: assolto in primo grado con altri 23 imputati (imprenditori, politici, tecnici comunali e i fratelli Carlo e Alfonso Toto), il pm Gennaro Varone ha giudicato troppo generosa l'assoluzione e chiesto il secondo grado con parole durissime. "Che Luciano D’Alfonso abbia vissuto con il denaro della zia, come sostenuto dalla difesa e dall’imputato, è un argomento così ridicolo da non meritare alcun commento", ha scritto il pm nella richiesta. A riportarlo è Il Centro del 2 giugno 2013.

"Se il presidente del collegio Antonella Di Carlo e i giudici a latere Nicola Colantonio e Paolo Di Geronimo avevano stabilito nelle motivazioni della sentenza che quello a D’Alfonso era stato 'un processo senza prove'", si legge nell'articolo, "il pm replica che 'il compito del giudice è interpretare e capire le prove' ribaltando quelle motivazioni con altrettante 300 pagine in cui nota 'una particolare benevolenza culturale verso la classe dirigente' e torna a chiedere di condannare l’ex sindaco di Pescara, il suo ex braccio destro Guido Dezio, gli imprenditori Carlo e Alfonso Toto e altre 15 persone. Sei posizioni, quelle di Giampiero Finizio, Marco Molisani, Marco Presutti, Vincenzo Fanì, Enzo Perilli e Luciano Di Biase, non sono state appellate".

Perché il pm ha deciso di fare appello? Lo spiega Varone quando scrive: "Tutto il processo gronda di richieste e dazioni di denaro, di torbidità delle condotte amministrative e soprattutto di deliberata opacità di quelle personali spiegabili soltanto con la necessità di occultare illeciti".

"Non è ordinario", si legge nell’appello, "che un sindaco si rechi in banca a versare mazzette di banconote per migliaia e migliaia di euro, che un sindaco esegua acquisti in contanti per svariate decine di migliaia di euro senza alcun prelievo proprio o dei propri familiari, che un sindaco asserisca, senza battere ciglio, che vacanze costose gli siano state interamente pagate da un facoltoso imprenditore, Carlo Toto, che si appresta a partecipare e vincere uno dei più importanti appalti della città".

Un altro processo che deve ancora arrivare a conclusione è quello "Mare-Monti" che vede coinvolto l'ex sindaco di Pescara e - di nuovo - Carlo, Alfonso e Paolo Toto. I difensori degli imputati hanno chiesto il trasferimento del processo da Pescara a Roma. La decisione del collegio è attesa per domani.

La candidatura a governatore pare entrare dunque in conflitto con la Carta di Pisa, sottoscritta dalla coalizione politica che sostiene l'ex sindaco di Pescara. In effetti, a sfogliare il codice etico predisposto dall'associazione “Avviso Pubblico - Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”, destinato agli enti e agli amministratori locali che intendono rafforzare la trasparenza e la legalità nella pubblica amministrazione, in particolare contro la corruzione e l'infiltrazione mafiosa, si legge: "L’amministratore non può accettare per sé, congiunti, familiari o affini regali eccedenti il valore usuale dei doni scambiati in occasione di ricorrenze o festività, quantificato nella cifra massima di € 100 annui, da impiegati negli uffici, nei servizi, nelle società e nelle altre organizzazioni partecipate o controllate dal comune, ovvero da concessionari dell’ente o da gestori di pubblici servizi da esso affidati, ovvero da privati che hanno rapporti di natura contrattuale con l’amministrazione (appaltatori, fornitori, etc.) o che hanno domandato od ottenuto licenze e concessioni da essa nei 5 anni precedenti, nell’ambito di procedimenti nei quali l’amministratore abbia svolto una funzione decisionale o istruttoria. L’amministratore non accetta alcun tipo di vantaggio o altra utilità che sia indirettamente riconducibile a prestazioni erogate da detti uffici, servizi o organizzazioni".

Non solo. Si legge ancora: "In caso sia rinviato a giudizio o sottoposto a misure di prevenzione personale e patrimoniale per reati di corruzione, concussione, mafia, estorsione, riciclaggio, traffico illecito di rifiuti, e ogni altra fattispecie ricompresa nell’elenco di cui all’art. 1 del Codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione parlamentare antimafia nella seduta del 18 febbraio 2010, l’amministratore si impegna a dimettersi ovvero a rimettere il mandato".

Dunque, per alcuni D'Alfonso dovrebbe dimettersi subito dopo l'eventuale nomina a governatore. "Riguardo le mie dimissioni per il codice etico, valuterò con il mio partito e la mia coalizione, alla luce della mia assoluzione: terrò conto di ciò che mi diranno", la risposta di Luciano D'Alfonso a 'Il fatto quotidiano'.

Per altri, con l'assoluzione in primo grado sarebbe assolutamente legittimato a insediarsi come Presidente. "In relazione ai richiami operati da alcuni organi di stampa all'articolo della Carta di Pisa, si evidenzia che questa fattispecie non si configura per i candidati alle primarie organizzate dalla coalizione "Insieme il nuovo Abruzzo", in quanto nessuno di essi ha ricevuto richieste di rinvio a giudizio per tali fatti, ma vi è stata soltanto una richiesta d'appello a seguito di sentenza di assoluzione". A precisarlo, Andrea Catena, presidente del comitato, e Marco Rapino, vicesegretario regionale del Partito democratico. "Al riguardo - spiegano - giova osservare che mentre il rinvio a giudizio è disposto da un'autorità giudiziaria terza ed imparziale a fronte della richiesta di una delle parti del processo penale, l'appello si effettua unicamente a richiesta di una delle parti del processo, senza che l'autorità giudiziaria si pronunci al riguardo. In conclusione si osserva che l'unica decisione nel merito delle richieste dell'accusa è stata quella disposta dal tribunale che ha assolto con formula piena rispetto a tutte le imputazioni. Le discussioni su questo punto sono dunque destituite di fondamento e strumentali".

C'è comunque una gran confusione. Larga parte del centrosinistra abruzzese pare aver accettato solo per necessità la candidatura di D'Alfonso. E l'articolo pubblicato da Repubblica manifesta il fastidio della direzione nazionale - e di Matteo Renzi in particolare - preoccupato della situazione che va a configurarsi in Abruzzo.

 

Ultima modifica il Giovedì, 13 Marzo 2014 10:07

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