Lunedì, 27 Gennaio 2020 10:17

Regionali: il sogno infranto dell'autosufficienza di Salvini, la deflagrazione del M5S, il modello Emilia Romagna per i progressisti. Una prima analisi del voto

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E dunque, la marcia di Matteo Salvini si è arrestata in Emilia Romagna. 

Il presidente uscente, Stefano Bonaccini, ha vinto le elezioni regionali col 51.4% dei voti, quasi 8 punti percentuale sopra la sfidante della Lega, Lucia Borgonzoni. 

E' una sconfitta durissima per il Carroccio; sia chiaro, la Lega ha ottenuto il 31.9% delle preferenze, poco sotto il risultato delle europee, e non siamo certo dinanzi ad un tracollo, anzi. Tuttavia, Salvini aveva 'caricato' il voto in Emilia Romagna di una valenza nazionale: 'conquistare' la regione, anche per motivi storici, avrebbe significato dare la spallata al governo giallorosso, con la definitiva ascesa a Palazzo Chigi. Ha puntato a ribaltare il tavolo, ha perso: in questo senso, le elezioni di ieri - con le dovute proporzioni - ricordano la sconfitta di Matteo Renzi sul referendum costituzionale.

L'idea di autosufficienza, dell'uomo solo al comando, evidentemente non premia.

Salvini perde in Emilia Romagna, anche, per il clamoroso tracollo di Forza Italia, che si ferma al 2.6%; e non basta l'8.6% di Fratelli d'Italia, che non sfonda. D'altra parte, le elezioni regionali di ieri segnano un ritorno al bipolarismo classico e, in questo senso, Salvini non può pensare di fare da solo; aver provato a fagocitare Forza Italia si è rilevato un errore di strategia: il centrodestra non può fare a meno dei moderati, e il sovranismo di governo, di fatto, è un'illusione. 

Lo dimostra il voto in Calabria.

La vittoria del centrodestra era assolutamente scontata: l'affermazione di Jole Santelli, però, si sostanzia sul risultato dei forzisti che ottengono il 12.5%, poco sopra la Lega che si ferma al 12.2%, con Fratelli d'Italia al 10.9% e, addirittura, l'Udc - scomparsa altrove - al 6.8%. Una coalizione 'vera', non trascinata su posizioni estreme dalla Lega come in Emilia Romagna. Sarà un caso che a Bibbiano e, così, nel quartiere bolognese del Pilastro, quello della citofonata, per intenderci, la Lega abbia preso sonori schiaffoni?

C'è poi un altro dato su cui riflettere: in Calabria, la lista della presidente ottiene l'8.5%, con Santelli che, di fatto, prende poco meno delle liste; in Emilia Romagna, invece, Borgonzoni fa molto peggio delle liste, segno inequivocabile che non basta la presenza di Salvini per centrare sul livello nazionale un voto che è, e resta, amministrativo. 

Qui sta la chiave del successo di Bonaccini: ha vinto, innanzitutto, il buon governo dei cinque anni passati; la lista del presidente ha sfiorato il 6%, e Bonaccini è stato in grado di intercettare anche il voto disgiunto di elettori di centrodestra e M5S che, pur fedeli al loro partito, hanno deciso di accordare fiducia al governatore uscente. Un dato nient'affatto scontato, e ancor meno banale. 

Soffia il vento del cambiamento, inizia una "storia nuova" si sono affrettati a commentare gli esponenti del Partito Democratico: calma, verrebbe da dirgli, il voto in Calabria sta lì a ribadire la dimensione dei problemi che vivono le forze progressiste in ampie zone del paese. 

Sebbene il voto abbia assunto una valenza nazionale, come detto, l'Emilia Romagna è una regione che, per molti motivi - ed è inutile star qui ad elencarli - fa storia a sé; piuttosto, il risultato maturato sta ad indicare una strada possibile da percorrere: il Partito Democratico, che in Emilia ottiene il 34.7% delle preferenze - di gran lunga primo partito in regione - ritrova la sua centralità se è in grado di porsi a servizio di una candidatura forte, espressione di buone pratiche amministrative o civiche, e di fare da riferimento ad un campo ampio progressista rinunciando definitivamente all'idea dell'autosufficienza, all'imposizione di sovrastrutture e, soprattutto, a rendite di posizione radicate. 

Non solo.

Il campo largo progressista non può che guardare a sinistra, ad una sinistra moderna, ecologista, socialista: in Emilia, 'Coraggiosa' ed 'Emilia verde' sfiorano insieme il 6%. Vanno poi riattivate le forze civiche, ma che siano civiche veramente e non soltanto per autocertificazione notarile: inutile sottolineare l'importanza delle 'Sardine' nella vittoria di Bonaccini, che si sono mosse però per senso di 'resistenza'. Altrove non è accaduto. Come detto, l'Emilia Romagna fa storia a sé ma potrebbe essere un laboratorio, insegnare che da lì si riparte, da alcune parole chiave - unità, valori, vita reale delle persone - e dalla capacità di coinvolgere in un progetto di governo le migliori forze della società civile.

D'altra parte, il voto ci dice anche che la frammentazione, la stucchevole volontà di essere alternativi per forza, di stare sempre un passo a sinistra degli altri senza sporcarsi le mani nella costruzione di un universo valoriale condiviso, prima ancora che amministrativo, non premia affatto in un periodo storico come quello che stiamo vivendo: i candidati presidente del Partito Comunista, di Potere al Popolo e di L'Altra Emilia Romagna hanno ottenuto, insieme, l'1%. Più chiaro di così.

Abbiamo lasciato in fondo la questione Movimento 5 Stelle sebbene, di fatto, la vera 'notizia' politica sia la deflagrazione dei pentastellati che in Emilia Romagna, la regione dove il movimento è nato, si fermano al 4.7% (il candidato presidente addirittura al 3.5%) e in Calabria, laddove avevano superato il 40% alle politiche, al 6.2% (il candidato presidente fa un poco meglio, attestandosi al 7.3% per la convergenza di una lista civica). Una debacle. 

E' la fine del Movimento? Difficile a dirsi; di certo, è la fine del M5S per come l'avevamo conosciuto fino ad oggi.

In questo momento, però, la questione è un'altra: in Parlamento, i pentastellati sono la prima forza e, per questo, sono una delle due gambe del governo Conte, indicato proprio dai 'grillini'. Tuttavia, si tratta di una rappresentanza oramai vuota, che non corrisponde al sentire del paese e, di certo, questa è una assoluta anomalia. Ciò significa che, da domani, gli equilibri di forza in seno al governo cambieranno: a questo punto, è chiaro che sarà il Pd a provare a dettare l'agenda di governo, recuperando i temi che la campagna elettorale delle regionali ha posto all'ordine del giorno dei dem. Cosa farà il Movimento 5 Stelle? Si adeguerà, disegnando una traiettoria che, di fatto, porterà ad una alleanza strutturale nel campo dei progressisti o, al contrario, prevarrano le forze di rottura?

E' vero, il voto in Emilia Romagna ha allontanato lo 'spettro' delle elezioni ma, nei panni di Conte, non dormiremmo sonni tranquilli. 

 

Ultima modifica il Martedì, 28 Gennaio 2020 15:36

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