Lunedì, 02 Giugno 2014 16:17

Giunta regionale e quote rosa: l'incognita Sclocco e la sentenze del Tar

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Il nuovo Consiglio regionale che si insedierà nelle prossime settimane sarà, a prescindere dai nomi degli eletti (per conoscere definitivamente i quali dovremo aspettare ancora qualche giorno), un Consiglio di quasi soli uomini.

Ben che vada, infatti, le donne che entreranno nella nuova assise saranno due (su un totale di 31 consiglieri). L'unica già certa di aver conquistato un posto è Sara Marcozzi del Movimento 5 Stelle. L'altra candidata in lizza, Marinella Sclocco (Pd), dovrà aspettare invece i riconteggi della Corte d'Appello.

Secondo i calcoli e le proiezioni fatte da NewsTown, la consigliera democrat pescarese, al momento, sarebbe dentro.

All'ingresso in Consiglio della Sclocco, peraltro, è legata anche un'altra questione, quella della composizione della giunta.

La legge elettorale con la quale si è votato impone, com'è noto, che 5 dei 6 assessori siano scelti tra i consiglieri eletti e che possa essere nominato un solo assessore esterno. Un altro principio che dovrà essere garantito è quello della rappresentanza di genere, vale a dire la presenza di assessori donne.

La conferma dell'elezione della Sclocco - unica donna eletta nelle fila del centrosinistra - garantirebbe a quest'ultima anche un posto del nuovo esecutivo.

Se così fosse, sarebbe certo un ingresso in giunta, come esterno, anche dell'aquilano Giovanni Lolli.

Viceversa, se dalla Corte d'Appello dovesse arrivare un verdetto negativo per la Sclocco, per soddisfare il principio delle quote rosa D'Alfonso sarebbe costretto a nominare, come assessore esterno, una donna. Decisione che, inevitabilmente, chiuderebbe le porte a Lolli.

C'è, però, un altro aspetto da considerare: la nomina di un solo assessore donna basterebbe davvero a garantire, nella nuova giunta dalfonsiana, un'equilibrata rappresentanza di genere?

Per rispondere a questa domanda vanno fatti due ragionamenti: uno di carattere politico, l'altro di natura giurisprudenziale. Partiamo dal secondo.

Nel luglio del 2011 il Tar del Lazio accolse i ricosi presentati contro gli atti di nomina della giunta Alemanno, perché recavano una sola donna su dodici assessori.

Vale la pena leggere alcuni estratti di quella sentenza. Il tibunale amministrativo (presidente Luigi Tosti, relatore Giampiero Lo Presti) infatti scrisse:

Soltanto l’equilibrata rappresentanza di entrambi i sessi in seno agli organi amministrativi, specie se di vertice e di spiccata caratterizzazione politica, garantisce l’acquisizione al modus operandi dell’ente, e quindi alla sua concreta azione amministrativa, di tutto quel patrimonio, umano, culturale, sociale, di sensibilità e di professionalità, che assume una articolata e diversificata dimensione in ragione proprio della diversità del genere.

Organi squilibrati nella rappresentanza di genere, in altre parole, oltre ad evidenziare un deficit di rappresentanza democratica dell’articolata composizione del tessuto sociale e del corpo elettorale ( il che risulta persino più grave in organi i cui componenti non siano eletti direttamente, ma nominati), risultano anche potenzialmente carenti sul piano della funzionalità, perché sprovvisti dell’apporto collaborativo del genere non adeguatamente rappresentato".


"L’equilibrio di genere, come parametro conformativo di legittimità sostanziale dell’azione amministrativa, nato nell’ottica dell’attuazione del principio di eguaglianza sostanziale fra i sessi, viene così ad acquistare una ulteriore dimensione funzionale, collocandosi nell’ambito degli strumenti attuativi dei principi di cui all’art. 97 Cost.: dove l’equilibrata partecipazione di uomini e donne (col diverso patrimonio di umanità, sensibilità, approccio culturale e professionale che caratterizza i due generi) ai meccanismi decisionali e operativi di organismi esecutivi o di vertice diventa nuovo strumento di garanzia di funzionalità, maggiore produttività, ottimale perseguimento degli obiettivi, trasparenza ed imparzialità dell’azione pubblica".

Il risultato di quella sentenza fu che Alemanno si trovò costretto a raddoppiare la presenza delle donne in giunta.

Mutato tutto ciò che c'è da mutare, il principio stabilito dal pronunciamento del Tar laziale potrebbe estndersi anche all'Abruzzo e imporsi come precedente al quale eventuali ricorrenti potranno appellarsi per chiedere più quote rosa in giunta. Uno scenario, certo, per ora solo ipotetico ma per niente irrealistico. 

Oltre all'aspetto giuridico, però, ce n'è anche un altro tutto politico. Benché la questione della parità di genere sia molto complessa e non certo risolvibile con nomine decretate a tavolino o sollecitate da sentenze della magistratura amministrativa, limitandosi alla scelta di una sola donna - quasi un contentino per chetare l'opinione pubblica - Luciano D'Alfonso manderebbe un segnale politico e culturale di conservazione dello status quo piuttosto che di cambiamento.

Quel cambiamento da egli stesso così insistentemente evocato in campagna elettorale (anche se, c'è da dire, di questi temi si è parlato molto poco) e promosso da Matteo Renzi attraverso un maggior coinvolgimento delle donne nell'azione amministrativa e di governo, a tutti i livelli. Prova ne siano i nuovi paletti fissati dall'ex sindaco di Firenze per la scelta dei ministri (otto membri su sedici dell'attuale Governo sono donne) e per la nomina dei nuovi vertici delle società pubbliche come Eni o Finmeccanica.

 

 

Ultima modifica il Martedì, 03 Giugno 2014 20:37

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