"Mattinata radiosa, aria di libertà. I tedeschi erano andati via, la cittadinanza era gioiosa e l’amministrazione comunale aveva ordinato di innalzare un Arco di Trionfo all’inizio di Corso Vittorio Emanuele e di esporre le bandiere tricolori italiane su tutte le finestre del centro storico della città".
Un testimone dell’epoca racconta così la Liberazione dell'Aquila, il 13 giugno di 77 anni fa, che segnò l'inizio della nuova storia democratica della città.
I Partigiani arrivarono all'Aquila alla testa del Maggiore Aldo Rasero affiancato da Giovanni Ricottilli, un vero “partigiano gentiluomo”.
Si racconta che la parola “WELLCOME” (scritta erroneamente con due elle) fu corretta in tutta fretta all’arrivo dei liberatori in città.
Il 13 giugno 1944 segnò la fine di dieci mesi di occupazione, sofferenze, atrocità. Eppure, in quelle ore di gioia e concitazione venivano rinvenuti alle Casermette i resti dei Nove Martiri, generando nella popolazione un atroce sentimento di rabbia e desolazione.
Negli anni successivi, quella rabbia divenne l’orgogliosa consapevolezza che la ribellione dei giovani aquilani – quel 23 settembre del ’43, a Collebrincioni – fu uno dei primissimi scontri armati tra civili italiani e invasori tedeschi: praticamente, l’inizio della Resistenza italiana.
Prima di fuggire dall’Aquila, i nazisti avevano lasciato dietro di loro una feroce scia di sangue con gli eccidi di Filetto e di Onna; la città aveva subìto l’umiliante, finta liberazione di Mussolini dal Gran Sasso e il bombardamento della stazione e della Zecca della Banca d’Italia.
Va ricordato con fierezza che, quel 13 giugno del ’44, le prime ad entrare all’Aquila furono le truppe militari italiane: la Liberazione fu il frutto dell’ostilità degli aquilani verso le truppe d’occupazione tedesche e della lotta al nazifascismo di tanti protagonisti della resistenza, di giovani gappisti coraggiosi, dell’azione militare dei partigiani della Banda Di Vincenzo, della Duchessa, di D’Ascenzo. Tanti di quei patrioti – come Mario Tradardi, Giorgio Agnetti e Antonio Rauco – dopo aver liberato L’Aquila, vollero continuare la lotta di liberazione con la Brigata Maiella risalendo l’Italia verso nord, fino a pagare con la vita il loro generoso ed estremo slancio patriottico.
L’Aquila, durante l’occupazione nazifascista, aveva sofferto la fame, i rastrellamenti, l’incubo dei bombardamenti, la paura e il mercato nero, le ronde, l’oscuramento e la feroce tortura per i dissidenti: a Collemaggio, i tedeschi avevano istituito un carcere noto come “la via Tasso aquilana”. Con la liberazione del 13 giugno e la fine della guerra, la città riscoprì la vita e iniziò un percorso di libertà e democrazia che negli anni ha avuto come eredi tanti uomini e donne protagoniste della sua rinascita civile.
Tra tutti loro, oggi, vogliamo ricordarne uno, colui che, in occasione del 50° anniversario, volle organizzare una solenne celebrazione istituzionale a cui partecipò il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro; colui che, dopo il terribile terremoto del 2009, volle rilanciare l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia – diventandone presidente – per dare alla ricostruzione dell’Aquila anche il senso di una rinascita civile. Con riconoscenza e ammirazione, oggi e sempre lo indichiamo a tutti gli aquilani e alle nostre giovani generazioni come esempio da seguire: il suo nome era – e per tutti noi è ancora – Alvaro Iovannitti.
Per questo, stamane l’ANPI sarà a Paganica per ricordare che Iovannitti, dopo il terremoto, da Presidente volle rilanciare l’Associazione Nazionale Partigiani per continuare a trasmettere a tutti gli aquilani e le aquilane i valori più belli dell’impegno civile.
"Il mio ricordo personale di quei giorni è legato ad una situazione particolare" ha raccontato a newstown lo storico Raffaele Colapietra, in una intervista realizzata nel 75esimo anniversario della Liberazione: "mio padre, medico a Collemaggio, ritenne bene, dopo lo sfondamento di Cassino, allorquando la situazione militare andava chiaramente precipitando, di far ritirare me e mia madre all'interno dell'Ospedale. Non ho visto, dunque, la Liberazione dell'Aquila ad opera di reparti italiani dell'esercito di liberazione: tuttavia, ho vissuto intensamente sia il periodo precedente, quella situazione assolutamente drammatica dettata dall'occupazione militare e dalle difficoltà della guerra, sia la grande ansia di liberazione, la primavera che seguì al ritorno alla normalità, con la città festate e una straordinaria partecipazione collettiva che dava il senso di una vita rinata anche se la guerra non era ancora finita. Mi permetto di rammentare un episodio: era l'agosto 1944, nell'orto di casa di mia nonna in via della Genca sentimmo la radio annunciare a tutto volume che gli americani entravano a Parigi e i russi a Bucarest. Indimenticabile: la guerra si avviava alla fine, ad una fine vittoriosa per la civiltà".