C'è un'altra città, una città nella città, non raccontata, dimenticata, lontana dai riflettori accesi sul centro storico in ricostruzione.
Polvere sotto il tappeto di un salotto 'nobile e aristocratico'.
C'è un'altra città fuori dalle mura urbiche, di cui, semplicemente, la politica sembra non interessarsi.
Partecipare all'assemblea che si è tenuta lunedì pomeriggio al progetto Case di Sassa NSI [qui l'approfondimento], stare tra le famiglie che rischiano lo sgombero per la volontà dell'amministrazione comunale di realizzare lì, in quel quartiere dimenticato, il centro nazionale di formazione dei Vigili del fuoco, ha restituito la distanza tra le luci accese sulla Perdonanza - gli artisti, i selfie, i palchi, qualche migliaio di persone in fila per assistere al concerto finale - e il disagio economico e sociale che attanaglia la quotidianità di famiglie ai margini della 'città che rinasce'.
D'altra parte, la forbice sociale non ha fatto altro che allargarsi in questi anni: la sfavorevole congiuntura economica si è innestata su un tessuto devastato dal sisma; poi è arrivata la pandemia. Già nel 2016 scrivevamo che circa 2mila famiglie, a L'Aquila, vivevano in stato di povertà assoluta; in sostanza, poco meno di 5mila persone non avevano accesso a beni e servizi essenziali. Nei mesi scorsi, Don Dante Di Nardo, direttore della Caritas, ha denunciato che è triplicato in città il numero di famiglie assistite: ogni settimana vengono distribuiti circa 100 pacchi alimentari e le richieste sono in continuo aumento.
Tra le famiglie bisognose di aiuto, ha aggiunto don Dante, è aumentato in particolare il peso di quelle con minori, nuclei che prima della pandemia riuscivano a sbarcare il lunario e che ora hanno problemi a mettere insieme il pranzo con la cena. Sono famiglie in cui i genitori avevano lavoretti precari o intermittenti che il coronavirus ha spazzato via e che non ce la fanno ad andare avanti solo con i sussidi e con la cassa integrazione, entrambi peraltro erogati spesso anche in ritardo.
Che la situazione sia drammatica lo dicono anche i numeri forniti a marzo scorso da Gianni Pappalepore, vice presidente della Casa del Volontariato: "Dall’inizio della pandemia abbiamo distribuito, grazie alla convenzione sottoscritta con il Comune e alla rete solidale a cui abbiamo dato vita insieme a decine di associazioni di volontariato aquilane, 1650 pacchi alimentari a circa 560 famiglie, di cui 270 con minori. Per quanto riguarda invece i buoni spesa, con il primo bando ne abbiamo consegnati 1456, con il secondo 228 e con il terzo, il Natale scorso, 1342".
Un dato allarmante è quello che riguarda la povertà educativa minorile: tra le famiglie a cui la Caritas dà sostegno, almeno una decina ha bambini in età scolare che hanno difficoltà a pagarsi i libri, le mense, lo scuolabus o che hanno problemi con la didattica a distanza, vuoi perché non hanno una connessione internet veloce vuoi perché non possiedono un computer o uno smartphone o non sanno usarli.
Questo il quadro.
In una sorta di 'rimozione' collettiva, di nuove povertà all'Aquila non si parla mai.
L'assemblea di lunedì al progetto Case di Sassa NSI è stato uno schiaffo in faccia anche per noi che, colpevolmente, ci siamo occupati troppo poco di ciò che accade nei quartieri realizzati nel post terremoto. E' stato uno schiaffo in faccia ascoltare le storie delle famiglie che lì vivono e, nonostante tutto, hanno costruito una loro quotidianità.
In centro storico ci si preparava all'ultima serata della Perdonanza, un evento che, tirate le somme, costerà alla città un milione e mezzo di euro, più o meno - se si aggiungono I Cantieri dell'Immaginario e altri appuntamenti dell'estate, si superano abbondantemente i due milioni - ad una decina di chilometri di distanza non arrivava neanche l'eco delle discussioni social che hanno animato l'opinione pubblica. Ci si preoccupava, piuttosto, dello sgombero annunciato, delle prospettive future incerte.
"Il sindaco?", si è domandato retoricamente un assegnatorio d'alloggio nel pieno della discussione: "e chi lo ha mai visto qui?".
Eccola, la distanza.
Nel progetto Case di Sassa ci sono persone sole, anziani in alcuni casi; altre vivono disagi fisici o mentali. Ci sono famiglie numerose con minori che vivono in condizioni precarie, stranieri che vanno avanti con lavoretti a giornata. Ci sono persone che spacciano, ci è stato raccontato. C'è chi ha forzato la serratura e ha preso possesso di un alloggio. Ci sono nuclei familiari monoreddito, e ci sono bambine e bambini che hanno necessità di un supporto, che giocano a calcio su un prato incolto, inventandosi le porte, tra una panchina divelta e una fermata dell'autobus fatiscente, nel mezzo di piastre abbandonante a se stesse da anni, alcune sgomberate e lasciate a marcire.
Qui non ci sono servizi.
Arrivare in centro storico con un autobus di linea è un'impresa; non ci sono bar, non ci sono luoghi d'aggregazione se non il campo da bocce, dove si ritrovano gli anziani al pomeriggio, non ci sono spazi verdi attrezzati. Per fortuna, poco distante c'è il Punto Luce di Save the Children che offre un luogo di crescita e apprendimento ai più piccoli. Quei bambini, trasferiti altrove, dovranno cambiare scuola, e ricominciare di nuovo.
Fino a qualche giorno fa, l'amministrazione comunale non aveva neppure un censimento delle famiglie che vivono gli alloggi di Sassa NSI; si sta facendo una ricognizione, per capire chi effettivamente sta abitando gli appartamenti e a che titolo, da quanti componenti sono formati i nuclei, quanti sono gli alloggi occupati. Altro che politiche sociali.
C'è chi denuncia da anni l'urgenza di 'riconnettere' urbanisticamente i nuovi quartieri realizzati nel post sisma, e così socialmente e culturalmente, per evitare che possano diventare periferie degradate e degradanti; ebbene, il tempo sta per scadere.