Lunedì, 11 Ottobre 2021 17:41

L'Aquila: "No spazi pubblici a chi non si dichiara antifascista", bocciata mozione

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E' accaduto di nuovo.

Il Consiglio comunale dell'Aquila si è spaccato sull'antifascismo, un argomento che, evidentemente, è indigesto alla maggioranza di centrodestra.

In conclusione dei lavori, infatti, è stata presentata una risoluzione urgente, a prima firma Ersilia Lancia (Fratelli d'Italia), emendata da Paolo Romano (Italia viva) e condivisa dai consiglieri di centrodestra, e una mozione, depositata da Stefano Albano (Pd) e sottoscritta dal capogruppo dem Stefano Palumbo col consenso dei colleghi di opposizione. Entrambi i provvedimenti entravano nel merito di ciò che è accaduto sabato a Roma, con l'assalto alla sede nazionale della Cgil e all'Ospedale Umberto I di Roma ad opera di attivisti dell'estrema destra, riconducibili a Forza Nuova, che stavano partecipando ad una manifestazione contro il green pass. 

La risoluzione è stata approvata all'unanimità dei presenti (23 voti favorevoli, nessun contrario); esprime "ferma condanna per gli atti di violenza e vandalismo che hanno interessato la sede nazionale della Cgil, con solidarietà al sindacato, alle forze dell’ordine e al personale dell’Umberto I di Roma, il cui pronto soccorso è stato assalito nel corso della manifestazione contro il green pass di sabato scorso".

E ci mancherebbe, verrebbe da dire. 

La spaccatura è emersa, invece, al momento di discutere la mozione che, tra l'altro, intendeva impegnare l'amministrazione attiva "ad effettuare la modifica del regolamento comunale in materia di occupazione di suolo pubblico al fine di includere, al momento della richiesta di autorizzazione, una dichiarazione esplicita di riconoscimento dei valori antifascisti espressi nella Costituzione Italiana e imporre, come requisito necessario per l’assegnazione di spazi e contributi pubblici, il non aver subito condanne, anche con sentenza non definitiva, per violazione delle leggi Scelba e Mancino".

La proposta è stata bocciata con 11 voti favorevoli e 14 contrari. 

Non è la prima volta, tra l'altro: già nel febbraio 2018, l'assise civica aveva bocciato una proposta simile presentata dall'allora consigliera di Coalizione sociale, Carla Cimoroni, che chiedeva di subordinare la concessione di spazi pubblici e contributi alla sottoscrizione, da parte delle organizzazioni richiedenti, di una dichiarazione con cui l'associazione, per mezzo del proprio rappresentante legale, affermasse di non professare né manifestare idee e comportamenti ispirati all'odio razziale, all'omofobia, all'antisemitismo, al fascismo e al nazismo".

Oggi come allora, a dettare la linea alla maggioranza è stato il sindaco della città, Pierluigi Biondi. 

Eppure mozioni analoghe sono state approvate dai Consigli comunali di decine e decine di città italiane, Milano tra le altre; all'Aquila, invece, non si riesce proprio a far passare il messaggio che per fruire di spazi pubblici ci si debba richiamare ai valori della Costituzione antifascista. 

Ma che cosa proponeva la mozione contestata? 

Per rendere un fatto concreto la solidarietà manifestata alla Cgil per l'assalto squadrista di sabato scorso, il provvedimento intendeva impegnare il sindaco e la Giunta:

  • ad escludere qualunque tipo di presenza o manifestazione sul territorio di soggetti che si ispirano al fascismo
  • a farsi carico del mantenimento della memoria storica, favorendo i percorsi scolastici e la partecipazione a progetti culturali che valorizzino la cittadinanza attiva e i valori democratici verso i giovani e le iniziative promosse dalle associazioni che favoriscano i valori di libertà, tolleranza e uguaglianza a cui si richiama la nostra Costituzione;
  • ad effettuare la modifica del regolamento comunale in materia di occupazione di suolo pubblico al fine di includere, al momento della richiesta di autorizzazione, una dichiarazione esplicita di riconoscimento dei valori antifascisti espressi nella Costituzione Italiana e imporre come requisito necessario per l’assegnazione di spazi e contributi pubblici il non aver subito condanne, anche con sentenza non definitiva, per violazione delle leggi Scelba e Mancino;
  • ad istituire meccanismi di intervento che consentano di negare il rilascio dell’autorizzazione di occupazione del suolo pubblico o di utilizzo di sale pubbliche ad associazioni che, pur avendo sottoscritto la dichiarazione esplicita di riconoscimento dei valori antifascisti espressi nella Costituzione Italiana, presentino richiami all’ideologia fascista, alla sua simbologia, alla discriminazione razziale, etnica, religiosa o sessuale, verificati a livello statutario, ove lo statuto è presente, o dell’attività pregressa, o per accertata violazione delle leggi Scelba e Mancino;
  • ad istituire meccanismi di intervento impeditivo per quanto riguarda l’assegnazione di contributi, patrocini o altre forme di supporto e sostegno ad associazioni che, pur avendo sottoscritto la dichiarazione esplicita di riconoscimento dei valori antifascisti espressi nella Costituzione Italiana, presentino richiami all’ideologia fascista, alla sua simbologia, alla discriminazione razziale, etnica, religiosa, linguistica o sessuale, verificati a livello statutario, ove lo statuto è presente, sui siti internet e sui social network, o nell’attività pregressa oppure per accertata violazione delle leggi in materia;
  • a garantire il rispetto della legalità democratica, promuovendo direttamente azioni legali in ogni eventuale futuro caso di violazione delle suddette leggi o di violazione dei divieti espressi dal Comune (nel qual caso si configurerebbe il reato di manifestazione non autorizzata);
  • a richiedere vigilanza al corpo di polizia locale per l’applicazione della legge n° 645/1952 (Legge Scelba) e della legge n° 205/1993 (Legge Mancino) in particolare alla diffusione di materiale inneggiante alla discriminazione, all’odio e alla violenza per motivi sessuali, linguistici, etnici o religiosi.

Questa la proposta bocciata dalla maggioranza.

La posizione di Biondi

A dettare la linea, come detto, il sindaco della città capoluogo, nelle vesti di dirigente di Fratelli d'Italia più che di primo cittadino.

"Ritengo che le reazioni con toni ultimativi a fatti che, nella loro completezza, vanno ancora chiariti, sia genericamente un errore, perché impedisce una serenità di giudizio", le parole di Biondi. 

Dopo aver sottolineato come l'aggressione alla Cgil non abbia "alcun tipo di motivazione e giustificazione", e aver ribadito la solidarietà "mia personale e della città" al sindacato - "da sindaco e rappresentante politico" ha tenuto a specificare - Biondi ha riconosciuto che "tra le persone che hanno tentato, e in alcuni casi sono riusciti ad aggredire fisicamente i locali della Cgil, c'erano esponenti di Forza Nuova, almeno a giudicare il fatto che l'autorità giudiziaria ha proceduto con alcuni arresti che hanno riguardato i vertici della stessa associazione".

Ridurre la piazza "ad una sommossa neo-proto-para fascista", però, "è una semplificazione che non giova a nessuno" ha aggiunto il sindaco dell'Aquila, richiamando alcuni articoli di Repubblica; "in piazza c'erano frange della sinistra extraparlamentare, manifestanti inneggianti a Pertini, famiglie e cittadini che liberamente hanno scelto di partecipare alla manifestazione". 

Biondi ha dunque aggiunto: "La mozione, un orrore giuridico a ciò che leggo, mi sembra un passaggio che non tiene in alcun conto le norme, le regole e in primis i principi democratici su cui si basa la Repubblica italiana sanciti nella Costituzione, un documento scritto così bene da non aver richiesto nei successivi 70 e più anni di essere oggetto di modifiche". 

Una Carta capace di interpretare il sentimento post-bellico e di "tracciare una rotta di prospettiva che partisse da un principio di pacificazione nazionale". 

Citando l'amnistia per i crimini fascisti di Togliatti, "non un moderato, vista la sua dipendenza dall'Unione sovietica staliniana", Biondi si è poi avventurato in una avventata lettura giuridica, sottolineando come "il divieto della ricostituzione del Partito nazionale fascista sia contenuto non nei principi fondanti della Carta ma in appendice, nelle disposizioni transitorie".

Quasi a lasciare intendere che l'antifascismo non sia un valore fondante.

Poi, la solita retorica della equiparazione con l'appiglio del pronunciamento del Parlamento europeo che, "a compimento di un percorso di maturazione e di consapevolezza, ha riconosciuto la necessità di rigettare qualsiasi forma di totalitarismo senza che questo diventi un terreno in cui misurare chi è stato peggio di un altro, perché tutti sono stati deteriori ai fini della convivenza civile".

Di qui, il fermo 'no' alla mozione presentata da Albano: "per certi versi, nega i principi stessi della Carta costituzionale, i principi di garanzia, libertà di opinione, certezza della pena, innocenza prima della dichiarazione definitiva di colpevolezza, e assegnerebbe, ammesso si possa fare, a dirigenti o funzionari di valutare chi avrebbe diritto o meno - con associazioni, in alcuni casi, riconosciute e che si candidano alle elezioni avendo, dunque, una verifica all'origine della loro legittimità - ad utilizzare spazi pubblici ed esprimere liberamente la propria opinione".

Una mozione, in alcuni passaggi, "quasi ridicola" per il sindaco dell'Aquila. 

"Questa è prevaricazione, violenza, privazione della libertà altrui", ha proseguito Biondi; "questo è il modo per essere, attraverso strumenti amministrativi e non con la violenza ci mancherebbe altro, come quelli che hanno assaltato la sede della Cgil perché ritenevano non avesse diritto di sopravvivenza nelle dinamiche democratiche". 

Antifascismo che diventa fascismo, insomma, in un fine ribaltamento della realtà.

"Credo che nei momenti di tensione, bisogna sempre mantenere la calma e la lucidità necessaria", ha concluso Biondi.

La replica di Albano

"Trovo surreale che nel 2021 si faccia ancora fatica a dire cose che dovrebbero essere ovvie e banali", la replica di Stefano Albano.

"Certamente non erano tutti fascisti coloro che hanno partecipato al corteo romano; trovo grave, però, che un'organizzazione di stampo fascista - e non alcuni manifestanti che si sono trovati lì per caso - abbia preso la guida di quel corteo, guidandolo all'assalto della Cgil e del Pronto soccorso dell'Umberto I e facendo 38 feriti tra le forze dell'ordine. Trovo curioso, inoltre, che il sindaco ci inviti alla calma in questi momenti: la stessa calma, debbo pensare, che mostrò nello spintonare un cittadino in occasione della Befana, quando venne Salvini; la stessa calma che mostrò al Marakana, nel pieno degli incendi dell'estate scorsa, quando si spintonò con un altro cittadino. Il sindaco parla di 'indole', in questi casi", l'affondo di Albano.

Che ha poi richiamato le parole usate da Biondi in occasione delle celebrazioni in memoria dei Nove Martiri Aquilani: "Il sindaco ha parlato di una azione di carattere istintivo, che mi ricorda la parola indole. Come ha puntualmente ricordato l'Anpi, però, non andò così: non agirono per istinto, e dirlo significa non rendergli il doveroso omaggio, bensì fecero una scelta precisa".

Ha aggiunto Albano: "Ci sono decine di città che hanno adottato il provvedimento che abbiamo proposto; sono contento che il sindaco abbia dato la sua solidarietà alla Cgil dell'Aquila, vorrei dirgli, però, che il segretario generale provinciale del sindacato ha sottolineato come le amministrazioni debbano parlare per atti, auspicando che anche all'Aquila si possa approvare questa mozione. Ed ero davvero convinto che l'avremmo fatto all'unanimità: registriamo, per l'ennesima volta, un evidente problema culturale, l'incapacità di essere una destra moderna. Vorrei capire che problema c'è a chiedere ad un'associazione che presenta domanda per l'occupazione di suolo pubblico o per utilizzare uno spazio comunale di sottoscrivere una dichiarazione di impegno antifascista, aderendo ai valori contenuti nella Costituzione. E' un atto di prevaricazione? E' prevaricazione chiedere che il Comune favorisca percorsi educativi nelle scuole? Votiamo la mozione e qualificatevi". 

Sappiamo come è andato il voto. 

Ma ha ragione Biondi? E' vero che la mozione nega i principi stessi della Costituzione?

Pare proprio di no. 

"La richiesta di dichiarare di ripudiare l’ideologia fascista non può essere qualificata come lesiva della libertà di pensiero […] dal momento che se" quest’ultima "si spingesse fino a fare propri principi riconducibili a tale ideologia sarebbe automaticamente e palesemente in contrasto con l’obbligo e l’impegno di rispettare la Costituzione italiana".

Questo è quanto ha stabilito il Tar di Brescia, con ordinanza pronunciata in data 8 febbraio 2018, a conclusione di un procedimento instaurato in conseguenza di un ricorso in via d’urgenza presentato da Casa Pound contro una delibera della Giunta comunale volta, appunto, a subordinare l’accesso a spazi pubblici al rilascio di una dichiarazione, da parte dei richiedenti, di 'riconoscersi nei principi e nelle norme della Costituzione italiana e di ripudiare il fascismo'".

Un anno dopo, con sentenza del 18 aprile 2019, il Tar Piemonte ha ribadito la legittimità delle delibere che numerosi Comuni italiani, negli ultimi anni, hanno deciso di approvare: "I valori dell’antifascismo e della Resistenza e il ripudio dell’ideologia autoritaria propria del ventennio fascista sono valori fondanti la Costituzione repubblicana del 1948, sottesi implicitamente all’affermazione del carattere democratico della Repubblica italiana e alla proclamazione solenne dei diritti e delle libertà fondamentali dell’individuo, ma anche affermati esplicitamente nella XII disposizione transitoria e finale della Costituzione […] e nell’art. 1 della legge 'Scelba' […] che, nel dare attuazione alla predetta norma costituzionale, ha individuato come manifestazioni esteriori di ricostituzione del partito fascista il perseguire finalità antidemocratiche proprie dello stesso attraverso, tra l’altro, la minaccia o l’uso della violenza quale metodo di lotta politica, il propugnare la soppressione delle libertà costituzionali, lo svolgere propaganda razzista, l’esaltare principi, fatti e metodi propri del predetto partito, il compiere manifestazioni esteriori di carattere fascista e il denigrare la democrazia, le sue istituzioni o i valori della Resistenza". 

Più chiaro di così.

D'altra parte, "nella Costituzione repubblicana - leggiamo da un approfondito lavoro di Francesca Paruzzo, Dottoressa di ricerca all'Università di Torino, per l'Osservatorio Costituzionale dell'AIC (Associazione italiana dei Costituzionalisti) - la 'questione fascista' prende forma esplicita nella XII disposizione transitoria e finale, il cui primo comma sancisce il divieto di ricostituzione 'del disciolto partito fascista'. A questo articolo è data attuazione attraverso la l. n. 645 del 20 giugno 1952 (la c.d. Legge Scelba) che, all’art. 110, nel vietare la riorganizzazione di tale partito, definisce le fattispecie sanzionate individuandole nelle attività di gruppi che 'perseguono finalità antidemocratiche […] esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica, o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza o svolgendo propaganda razzista', che si fondano sull’'esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito' o che 'compiono manifestazioni esteriori di carattere fascista'; all’art. 4 e 5, poi, la legge Scelba punisce l’apologia di fascismo e le manifestazioni ad esso riconducibili anche se poste in essere da soggetti isolati".

Ecco il motivo per cui i Tar hanno respinto la tesi secondo cui i provvedimenti assunti dalle amministrazioni di diversi comuni italiani fossero lesivi della libertà di manifestazione del pensiero.

In primo luogo, per quanto la libertà di espressione, come stabilito in più occasioni dalla Corte costituzionale, sia intesa come fondamento stesso del regime democratico e come 'il più alto dei diritti primari' sanciti dalla Costituzione, rientrante tra i diritti inviolabili dell’uomo, è doveroso ricordare che essa è comunque suscettibile di limitazioni qualora la condotta tenuta (e riconducibile all’esercizio di tale libertà) risulti lesiva di altri interessi costituzionalmente protetti: tra questi vi rientrano le esigenze di tutela dell'ordine democratico.

Se questo è vero in termini generali, a maggior ragione rileva rispetto alla XII disposizione transitoria e finale (e alla normativa che ne costituisce attuazione), il cui ambito di operatività e il cui rapporto con le altre libertà garantite dalla Carta fondamentale è definito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 1957 e, poi, in modo più specifico nella n. 74 del 1958: tale articolo va interpretato, affermano i giudici costituzionali, 'quale norma che enuncia un principio o indirizzo generale, la cui portata non può stabilirsi se non nel quadro integrale delle esigenze politiche e sociali da cui fu ispirata. Nell’interesse del regime democratico che si andava ricostituendo, è infatti riconosciuta la necessità di impedire che si riorganizzasse in qualsiasi forma il partito fascista, il cui assetto si pone in pieno contrasto con il sistema di diritti e libertà fondamentali garantiti dalla Costituzione'.

Il divieto in essa contenuto - sottolinea Paruzzo - "si presenta, quindi, da un lato, come un netto rifiuto dell’eredità fascista e, dall’altro, come una precisa prescrizione per i poteri dello Stato: con la sua formulazione i costituenti non guardavano solo al passato, ma fornivano una soluzione aperta al futuro, precludendo il ripetersi di una tragica esperienza politica e culturale. Se questo è il significato da attribuire alla XII disposizione transitoria e finale, ben si comprende come essa, spogliando 'l’ideologia fascista della garanzia costituzionale delle libertà', legittimi misure preventive e repressive di ogni attività, sia individuale che associata, finalizzata a riaffermare un sistema riconducibile a tale regime. Eventuali limitazioni della libertà di manifestazione del pensiero discendono, quindi, da tale articolo in sé considerato: esso, infatti, risulta già bilanciato con le libertà democratiche e, pertanto, in base a ciò, legittimamente deroga 'a qualunque norma costituzionale che preveda diritti il cui esercizio possa favorire la riorganizzazione del partito fascista'".

È proprio in base all’individuazione di tale ratio che il Tar Brescia e quello del Piemonte hanno ritenuto non lesiva della libertà di manifestazione del pensiero la richiesta oggetto delle delibere comunali simili a quella proposta da Albano all'assise civica aquilana.

Il divieto di riorganizzazione del partito fascista introduce, leggiamo ancora dal lavoro di Francesca Paruzzo, "un limite di carattere ideologico programmatico alla pratica politica e, nel farlo, non si contrappone ai principi fondamentali della Costituzione, ma anzi li conferma, esaltando il rapporto antitetico che esiste tra l’ordine democratico e tale tipo di regime".

Affermano i giudici di Brescia, infatti, che, 'contrariamente a quanto scritto nel ricorso di Casa Pound, all’Associazione ricorrente […] è stato richiesto […] di ripudiare l’ideologia fascista e cioè, secondo il significato da attribuirsi al verbo utilizzato (ovvero disconoscere come proprio qualcuno o qualcosa a cui si è legati da vincoli giuridici, affettivi o di parentela), di disconoscere un vincolo con tale ideologia, la cui affermazione sarebbe, invece, evidentemente incompatibile con la dichiarata volontà di rispettare i principi costituzionali'. Presupposto di tale decisione è che la formulazione della clausola contenuta nella XII disposizione transitoria e finale vada ad assumere, nel complessivo quadro della Costituzione repubblicana, un significato più ampio che qualifica in modo permanente l’unità politica costituitasi attraverso l’originario patto fondativo antifascista: esso, invero, non è solo un fatto storico di apertura della fase costituente, ma è vera e propria matrice dell’ordinamento democratico costituzionale".

Emerge, così, come la Carta fondamentale debba essere considerata il frutto consapevole dell’esperienza storica della sconfitta del fascismo, a partire dalla quale i partiti politici che hanno preso parte alla fase costituente hanno lavorato affinché, in positivo, potesse emergere un sistema di valori comuni incentrati sul mutuo consenso al rispetto delle posizioni reciproche, sul riconoscimento e la garanzia di quelle libertà e di quei diritti fino a quel momento sistematicamente negati, nonché sulla necessità della più ampia partecipazione dei cittadini alla vita pubblica.

"Tali considerazioni, oltre a delegittimare torsioni riduttive del significato della XII disposizione transitoria e finale - scrive Paruzzo per l'Osservatorio costituzionale dell'AIC - accompagnano la valorizzazione dei contenuti della Costituzione e rendono evidente il legame ancora oggi inscindibile tra l’esclusione del fascismo da quella dialettica pluralistica che più di tutto connota un regime democratico e il sistema che la Carta fondamentale è andata a costituire".

E per citare Togliatti, va ricordato che nella seduta del 19 novembre 1946 dell'Assemblea costituente, dibattendo della formula dell’art. 49 della Costituzione, sostenne come, se in generale fosse opportuno astenersi dal prevedere controlli o limiti giuridici a cui sottoporre i partiti – e che al più la "lotta" tra gli stessi si dovesse ricondurre all’interno di una competizione politica democratica - per i gruppi che in futuro avrebbero aderito all’ideologia propria del regime fascista non si potesse che seguire la linea opposta: "si deve escludere", infatti, "dalla democrazia chi ha manifestato di essere suo nemico". Al partito fascista, come soggetto storicamente determinato, che ha dimostrato "di voler distruggere le libertà umane e civili del cittadino" e che ha portato il Paese alla rovina deve, quindi, essere negato il diritto all’esistenza, ribadì.

Se, in modo simile, il relatore Basso auspicò che nella Costituzione trovasse posto un’affermazione concreta e precisa di condanna del fascismo, è a Dossetti che si deve la formula "è proibita sotto qualsiasi forma la riorganizzazione del disciolto partito fascista", che verrà approvata all’unanimità e la cui collocazione sarà mutata nella XII disposizione transitoria e finale in sede di discussione generale, sancendo in modo definitivo la profonda cesura tra il passato, da un lato, e il presente e futuro, dall’altro.

Insomma, non è affatto vero ciò che lascia intendere Biondi sottolineando che "il divieto della ricostituzione del Partito nazionale fascista è contenuto non nei principi fondanti della Carta ma in appendice, nelle disposizioni transitorie", come a dire che non è un valore fondante; anzi, è vero esattamente il contrario. Citando ancora Francesca Paruzzo: "La XII disposizione transitoria e finale cristallizza nel nostro ordinamento un’asimmetria che assume una connotazione generale e un pregio assiologico di cui non può essere messa in discussione la permanente validità: il carattere antifascista della Costituzione, infatti, richiede ancora oggi di essere ribadito, soprattutto alla luce della presenza di forme associative neofasciste che rappresentano un (più o meno potenziale) pericolo: ciò, non tanto per l’evidente maggiore facilità di affermazione di un movimento che ha dominato totalitariamente per oltre un ventennio il nostro Paese e che, quindi, può contare su più facili e possibili connivenze coscienti o incoscienti, quanto, piuttosto, perché un’involuzione di tipo autoritario non è il frutto casuale di eventi storici irripetibili, ma è una sempre immanente minaccia in un sistema politico liberal – democratico. Il radicarsi dell’esperienza fascista 'in un passato ormai giudicato non consente, quindi, di indulgere nella libertà dell’errore', consentendo di invocare diritti, quali la libera manifestazione del pensiero, che trovano il proprio fondamento in un sistema pluralista, nella dialettica democratica. Proprio da questa dialettica il partito e l’ideologia fascista sono stati esclusi dopo essere stati sottoposti, con esito negativo, a un vaglio storico. Si è consapevoli del fatto che non è solo con gli interventi repressivi che si può combattere il rischio del perpetuarsi di fenomeni di questo genere (in questo campo, anzi, la prospettiva di 'azione' socio-culturale dovrebbe invero prevalere), ma è altrettanto vero che non è possibile dimenticare che la Costituzione non è nata casualmente, ma è frutto della riconquista della libertà attraverso la lotta di Resistenza".

Con la pronunce del Tar di Brescia e del Tar del Piemonte viene mostrata "la necessità di garantire la continuità della matrice antifascista, sganciandola dai soggetti - che non ci sono più - e, quindi, collegandola ai contenuti e alle procedure; alla parabola dell’antifascismo nel suo significato minimale di reazione sanzionatoria alla dittatura si aggiunge, oggi, una concezione sostanziale che porta a collocarlo direttamente tra quei valori che qualificano la nostra democrazia".

Si può dire, dunque, che su una cosa Biondi ha ragione: la Costituzione è un testo scritto davvero bene e, come tale, non si può interpretare ma, semplicemente, applicare.

 

Ultima modifica il Martedì, 12 Ottobre 2021 22:49

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