Sabato, 22 Ottobre 2022 23:11

Un'analisi sulla politica: tra la casta e l'ultracasta

di  Ironius

La crisi della rappresentanza rimane un tema centrale nel dibattito politico, anche alla luce delle recenti elezioni, il cui esito ha consegnato all’Italia, per la prima volta, un governo guidato da una donna.

Il 25 settembre scorso, in Italia hanno votato 64 italiani su 100. Un semplice esercizio matematico, corregge immediatamente la percezione del risultato dei partiti, espressa su base percentuale. Su 46 milioni di Italiani aventi diritto, solo 29 milioni si sono recati alle urne, di questi un milione e trecentomila hanno lasciato la scheda in bianco oppure è stata loro annullata. Di fatto hanno espresso un voto valido soltanto 27 milioni e 700 mila persone.

Il che significa, limitandoci alle principali forze politiche di entrambi gli schieramenti, che hanno votato Fratelli d’Italia 15 italiani ogni 100 aventi diritto, la Lega e Forza Italia 5 persone su 100, il Partito Democratico 11 italiani su 100 ed il Movimento 5 Stelle 9 italiani su 100.

Questi numeri suggeriscono più che di rappresentanza si può parlare di dis-rappresentanza. A questo si aggiunga che, sulle ali di decenni di propaganda antipolitica, la riduzione del numero dei parlamentari ha finito, per una sorta di eterogenesi dei fini, per sostituire alla casta, una sicura “ultracasta”!

Quanto incidano le leggi elettorali è fuori discussione, esse sono per un corpo statuale come il vestito per un uomo. Ora, sulla capacità di un sistema di rigenerare se stesso, di correggere i difetti, il dibattito è aperto dal 1994, ma le soluzioni (bicamerale, assemblea costituente) non sono mai state efficaci. Per rimanere dalle nostre parti, sia sufficiente osservare che, alle circoscrizioni comunali il voto è proporzionale con preferenze, nei Comuni sopra i 15.000 abitanti c’è l’elezione diretta del Sindaco, alle Province c’è una rappresentanza dei rappresentanti dei Comuni, alla Regione listini e varie.

La confusione, al riguardo, regna incontrastata. Nei giorni scorsi il Presidente della Regione, Marsilio, è tornato a proporre per l’Abruzzo il Collegio Unico Regionale come sistema elettorale. L’idea non è nuova, fece capolino per la prima volta nel ’95 e poi, ciclicamente, è stata riproposta fino, appunto, all’iniziativa del Presidente della Giunta Regionale Abruzzese.

Se questo sia il vestito più aderente alla realtà abruzzese, è una incognita. Tuttavia qualche considerazione merita di essere fatta. L’assunto di partenza è che un candidato consigliere regionale che ambisse a prendere voti da Montereale a San Salvo, dovrebbe elaborare una proposta politica di equilibrio territoriale, in una ottica di superamento della dicotomia aree interne contro aree costiere. Di più, una campagna elettorale di così vasta portata su più di 300 comuni della Regione, sarebbe complicata e richiederebbe risorse enormi.

Alla fine del 900 ciò era superabile, (sia sufficiente ricordare un caso per tutti, il bipolarismo Gaspari-Natali e poi Ricciuti nella Democrazia Cristiana) poiché la costruzione delle liste ed il voto viaggiavano su infrastrutture partitiche capillari, che compensavano le problematiche di tempo, spazio e risorse che una campagna elettorale regionale richiedeva e richiederebbe anche oggi.

Nel deserto delle strutture dei partiti odierni, il ragionamento è impossibile, poiché prevalgono individualismi e gruppi di interesse. Alla Regione si aspira ad arrivare quasi fosse il prolungamento del proprio territorio o, spesso e peggio, del proprio Comune. Tale è apparso negli ultimi anni, l’assalto dei Sindaci dei Piccoli Comuni agli scranni dell’Emiciclo, mettendo in secondo piano o ignorando la natura di Assemblea Legislativa, con tutto ciò che essa comporta in termini di statura, intesa questa come la somma di requisiti, competenze e percorsi esperienziali di alto profilo.

L’intento di Marsilio, si scontra dunque con una serie di limiti di natura sistemica, pur nell’ambito di un nobile intento. Un primo passo potrebbe essere l’eliminazione dei confini provinciali, ampliandoli per aree omogenee, siano esse costiere o montane, applicando formule perequative a favore di quest’ultime, altrimenti penalizzate dal numero inferiore di abitanti.

Se la politica fosse al passo con i tempi, avrebbe la capacità di coniugare gli interessi tra aree forti e quelle deboli, sostituendo ai conflitti banali e anacronistici del campanile, la competizione che potrebbe mantenere in equilibrio i territori. Essere ottimisti non costa nulla.

Ultima modifica il Domenica, 23 Ottobre 2022 13:30

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