L’Aquila sembra essere diventata ormai la capitale del Governo Meloni. Una roccaforte del centro destra in cui l’accesso a posti di rilievo è a portata di mano.
Il capoluogo abruzzese sembra essere diventato fratello d’Italia, sull’onda del doppio mandato dell’“uomo forte della destra regionale” Pierluigi Biondi, sindaco al di sopra delle commissioni e delle opposizioni. Inoltre, la città vanta ormai una folta pattuglia all’interno del nuovo esecutivo fra sottosegretari e presidenti di commissioni parlamentari. I quarantenni del centro destra aquilano hanno sbarcato il lunario conquistando l’inconquistabile e facendosi strada nello scenario politico del nostro tempo.
In tutto ciò resta un grande e annoso problema: ad una destra elefantiaca corrisponde una sinistra, un centro-sinistra, un centrosinistra, un centro centro sinistra, impacciato, confuso e un po’ timido. Questa può sembrare una facile semplificazione ma in realtà è la grande criticità, il grande caos che travolge un’intera area culturale, un intero “popolo” che si ritrova in pochi ma chiari valori, in una visione del mondo che vorrebbe vedere in campo, ma che stenta ad emergere.
A L’Aquila come a livello nazionale siamo in attesa di vedere dispiegarsi il congresso del Partito Democratico che dovrebbe portare ad una svolta, ad un tanto augurato riposizionamento. Si parla di costituente di un nuovo soggetto, le primarie però restano al varco, ad aspettare che il processo si esaurisca per tornare in maniera gattopardiana al cambiare tutto perché nulla cambi.
Tutto questo è ciò che nessun elettore del centrosinistra si augura, è tutto ciò che non vorremmo vedere e che speriamo con tutto il cuore che non accada.
Nel frattempo in città, mentre il PD cerca di risolvere le beghe interne fra assemblee e restyling, i movimenti della sinistra tentano di costruire nuovi percorsi, il grosso continuano a farlo le associazioni e i sindacati mobilitandosi giorno dopo giorno nella disperata attesa di uno spazio comune, conservando il desiderio di un soggetto che davvero sia in grado di rappresentare questa parte del mondo e dunque in scala questa parte della città.
La vittoria, anzi le vittorie, della destra infatti non possono cancellare le esperienze e i percorsi della contro parte, anzi dovrebbero portare ad una sana competizione, alla irrefrenabile voglia di scendere in campo con proposte radicali, innovative e vicine alle persone.
“L’opposizione ci farà bene” questa è la frase che è risuonata in questi mesi nelle stanze delle dirigenze dei partiti del centro sinistra, ma questa frase può avere senso solo se non si perde la speranza.
Agostino D’Ippona scrisse che la speranza ha due figli: lo sdegno e il coraggio.
Il primo serve a farci comprenderè cos'è che non ci piace, ciò che non riusciamo a tollerare e il secondo serve per cambiare ciò che non ci piace.
Sta in questi concetti, nella speranza e nella sua progenie, la ricetta per costruire un qualcosa di nuovo, una piattaforma che ridia uno spazio a quell’arcipelago di elettori, cittadine e cittadini, che vogliono stare dalla parte dei democratici e dei progressisti.
Indignarsi vuol dire conoscere a fondo la realtà, i problemi concreti delle persone, per poi comprenderli e riconoscerne la gravità e il peso, solo grazie a questa sincera consapevolezza si può trovare il coraggio delle idee e delle azioni.
Il coraggio di assumere il ruolo scomodo di contro parte, di opposizione, di resistenza se vogliamo. Una nuova ideologia del nostro tempo. Una prospettiva attuale che non cede a corse in avanti e non si riduce a strumento elettorale.
Siamo in tempo di costituenti allora diciamocelo vogliamo un partito paziente, che sappia discernere il suo ruolo con la nettezza delle posizioni e interpretare il nostro tempo con il coraggio di essere differente.
Abbiamo bisogno di un partito che non c’è, tutto il resto è già visto.