"Domani mattina presenteremo una legge sulla incandidabilità di Berlusconi". Lo ha annunciato Beppe Grillo, nella serata di ieri, durante un comizio ad Aosta. “Vedrete come vota il Pd”. Il leader del Movimento 5 Stelle va all’attacco e tocca un punto assai delicato della strategia delle larghe intese. Non c’è dubbio, infatti, che se Berlusconi venisse giudicato ineleggibile il governo Letta cadrebbe qualche minuto dopo. E non c’è dubbio che il voto contrario del Partito Democratico sarebbe difficile da giustificare agli occhi di elettori già traditi dal patto con il Popolo delle Libertà.
Insomma, la questione è complessa. Facciamo un pò d’ordine. In mattinata la Giunta per le elezioni e le immunità del Senato eleggerà il suo presidente. La scelta potrebbe dire già molto su come finirà la proposta di ineleggibilità di Berlusconi presentata dal Movimento. Inoltre, subito dopo ci sarà da decidere quali provvedimenti mettere all’ordine del giorno. E, come detto, Beppe Grillo punta a sollevare immediatamente la questione.
La richiesta dei “cittadini” si basa sui principi sanciti dalla legge numero 361 del 1957, sistematicamente violata dalla Giunta delle elezioni della Camera dei deputati negli ultimi vent'anni. Nel 1994 con la maggioranza di centro-destra e nel 1996 con quella di centro-sinistra. La legge dichiara, all’articolo 10 comma 1, che non sono eleggibili “coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere e di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economiche”. L’inciso “in proprio”, questo il parere della Giunta nel ’94 e nel ’96 con il voto congiunto dei due schieramenti, doveva intendersi “in nome proprio”, e non era quindi applicabile a Berlusconi, “atteso che questi non era titolare di concessioni televisive in nome proprio”.
Una interpretazione piuttosto bizzarra, se è vero quanto scritto dal presidente emerito della Corte Costituzionale, Ettore Gallo: “ciò che conta è la concreta effettiva presenza dell’interesse privato e personale nei rapporti con lo Stato”. In effetti, la Legge Mammì dell’agosto 1990 sulla disciplina del sistema radiotelevisivo, precisava che “qualora i concessionari privati siano costituiti in forma di società per azioni, la maggioranza delle azioni aventi diritto di voto e delle quote devono essere intestate a persone fisiche, o a società purché siano comunque individuabili le persone fisiche che detengono o controllano le azioni aventi diritto al voto”. Piuttosto chiaro, insomma.
Stavolta, a esprimersi è chiamata la Giunta del Senato e, a fare due conti, Silvio Berlusconi rischia davvero grosso. Il Pd, infatti, ha 8 membri: Felice Casson, Giuseppe Cucca, Isabella De Monte, Rosanna Filippin, Claudio Moscardelli, Doris Lo Moro, Giorgio Pagliari e la senatrice aquilana Stefania Pezzopane. Il Pdl ha 6 membri: Maria Alberti Casellati, Andrea Augello, Giacomo Caliendo, Nico D’Ascola, Carlo Giovanardi e Lucio Malan. Ci sono poi i quattro senatori del M5S, Maurizio Buccarella, Vito Crimi, Serenella Fucksia e Mario Giarrusso. Infine Dario Stefano di Sel, Raffaele Volpi della Lega Nord, Benedetto Della Vedova di Scelta Civica, Francesco Palermo del Gruppo per le Autonomie e Mario Ferrara di Grandi Autonomie e Libertà.
La presidenza della Giunta, che andrà decisa in mattinata, spetta alle opposizioni: in lizza ci sono il maroniano Volpi e Dario Stefano di Sel. Il senatore Pd, Felice Casson, ex magistrato, ha già annunciato che non ci pensa proprio a votare il candidato della Lega: “non penso neanche di astenermi - ha detto - quella commissione spetta all’opposizione, e l’opposizione in Senato è rappresentata o da Sel o dal Movimento a Cinque stelle”.
E’ quello che teme il Pdl: un asse tra Pd e grillini che potrebbe rendere ineleggibile Berlusconi. Un asse che potrebbe nascere già stamane con l’elezione di Stefano o, in alternativa, con la scelta in extremis di un senatore grillino.
Sarà davvero così? Difficile da credersi. Il Pd, in questo momento, non ha alcun interesse a far cadere il governo. Sarebbe complicato, poi, spiegare i motivi di una scelta che il partito in passato non ha voluto compiere.
La scorsa settimana, il capogruppo Luigi Zanda ha dato ampie garanzie al Pdl, nell’ambito dell’accordo complessivo sulle commissioni. Inoltre, sono in molti ad essere contrari: non solo gli uomini più vicini a Letta, anche Renzi e Civati non vorrebbero un voto contro l'ex premier. Il refrain è quello che sentiamo da anni: Berlusconi bisogna batterlo politicamente. E poi, tra qualche mese arriverà il giudizio in Cassazione del processo Mediaset che dovrebbe confermare l’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici. Perché affrettare i tempi, con il rischio di un ribaltone di Governo?
La posizione di Casson, però, è il segnale che il gruppo del Pd potrebbe non tenere. I grillini sono pronti all’imboscata. Così come il partito di Vendola.
Staremo a vedere. Una maggioranza contro Berlusconi ci sarebbe: otto senatori del Pd, quattro del M5S e uno di Sel. Tredici voti contro dieci (sei del Pdl, più i senatori di Lega, Scelta Civica, Gal e Autonomie). Scacco matto.
Ci sarebbe, il condizionale è d’obbligo. Bisognerà capire quanti seguiranno Casson e quanti invece rimarranno fedeli alle larghe intese. Un ruolo determinante, in altre parole, lo giocherà anche la senatrice aquilana, Stefania Pezzopane. Cosa deciderà di fare?