Lunedì, 27 Febbraio 2017 21:29

Basket: tesseramento giocatori extracomunitari, la parola al presidente Giba Marzoli

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Il mondo del basket italiano è alle prese, da qualche mese, con un problema che rischia di cambiare corso ed esito ai campionati di C Silver e C Gold regionali: il tesseramento degli atleti extracomunitari.

Si tratta di una vicenda piuttosto complicata per cui è bene ripercorrere i fatti.

Lo scorso 16 ottobre, nella serie C ligure, si affrontano il Tigullio Sport Team e il Basket Follo. La gara se l’aggiudica il Follo con il punteggio di 61-58. Determinanti, per la vittoria finale, risultano i 35 punti del giocatore statunitense Michael William Panaggio. I dirigenti del Tigullio però non ci stanno e il giorno dopo presentano un ricorso sulla regolarità del tesseramento dell’americano e di un altro suo compagno di squadra, il bosniaco Stefan Bozickovic. Ricorso che viene accolto dal giudice della Fip ligure con la seguente decisione: “La gara viene omologata con il risultato a sfavore di 20-0 per posizione irregolare dei giocatori Panaggio M. Williams e Bozickovic Stefan,  determinata da inosservanza delle norme relative alle modalità di tesseramento (art.52 RE gare)”. In pratica, dalla documentazione prodotta, emerge che i due atleti (che, agli inizi di dicembre, hanno lasciato la società ligure proprio in conseguenza di questo problema burocratico) non sono in possesso del permesso di soggiorno necessario. [Tutta la vicenda è spiegata bene qui].

Casi analoghi si sono verificati in molte altre regioni, compreso l’Abruzzo, dove una società, il Basket Ball Teramo, in seguito a una sconfitta contro il Nuovo Basket Aquilano, maturata alla fine di un match giocato il 5 febbraio scorso, ha fatto ricorso contestando la regolarità del tesseramento di due giocatori avversari, Aleksa Novakovic e Dusan Ranitovic, entrambi serbi. Il giudice della Fip abruzzese, a differenza del suo collega ligure, non ha deciso, preferendo girare il caso alla procura federale, che però non ha ancora emesso un verdetto.

Come si è giunti a questa situazione?

A causa di una specie di vuoto normativo o, meglio, di un difetto di comunicazione della Fip. Quest’ultima, a inizio stagione, non aveva detto a chiare lettere che, per poter essere tesserati, gli atleti extracomunitari dovessero essere in possesso di un permesso di soggiorno, lasciando intendere che per loro sarebbe stato sufficiente un semplice visto turistico. Il Coni, però, è di tutt’altro avviso: niente permesso di soggiorno, niente tesseramento.

In attesa che arrivi un parere dirimente, molte società che a settembre avevano tesserato giocatori extracomunitari hanno scelto di tagliarli o di non schierarli fino a quando non vi sarà un pronunciamento definitivo in grado di fugare ogni dubbio.

Per provare a fare maggiore chiarezza, NewsTown ha intervistato Alessandro Marzoli, presidente nazionale della Giba, l’associazione dei giocatori italiani di pallacanestro.

Presidente, la Giba si sta occupando di questa faccenda? Qual è la vostra posizione?

Sì, se ne sta occupando e in questo momento la cosa che ci preoccupa di più è che possano esserci situazioni tali per cui atleti di campionati regionali si trovano in un limbo o in una situazione di difficoltà regolamentare per cui non sanno se possono venire a giocare in Italia tranquillamente o meno. La regola dice che oggi, nei campionati regionali, possono giocare fino a due giocatori non formati in Italia. Personalmente, e questa è anche la posizione ufficiale e istituzionale della Giba, credo che dalla serie B in giù, e quindi anche nei campionati regionali, non sia il caso di far giocare atleti non formati e che basti schierare atleti formati nel nostro Paese. Questo non vuol dire che debbano essere per forza italiani perché se ci sono ragazzi cresciuti e formati in Italia, anche se sono stranieri, possono giocare. Purché abbiano fatto i 4 anni di giovanili previsti dal regolamento.

Molti hanno osservato che, se si è arrivati a questo punto, è perché la Fip non ha stabilito, da subito, regole sufficientemente chiare, scaricando tutte le responsabilità sulle società.

Credo che ogni società debba preoccuparsi della propria situazione dal punto di vista giuridico rispetto alla legge esistente. Se, secondo il nostro ordinamento, è necessario un permesso di soggiorno per essere fisicamente presenti sul territorio italiano, allora spetta alle società verificare l’esistenza di questi requisiti. Bisogna però distinguere tra quello che prevede la legge e la possibilità per un atleta straniero di venire a giocare in un campionato regionale. Se mi chiedi se è giusto che giocatori stranieri debbano venire a giocare nei campionati regionali io ti dico no. Questo però non vuol dire che non possa esserci una regola che ne preveda la possibilità. Come Giba riteniamo che oggi non ci sia bisogno di avere stranieri nei campionati regionali (in B non possono giocare, ndr), tanto che ci stiamo battendo per averne di meno anche in A1 e A2. Ma se devono giocare è chiaro che la loro permanenza sul territorio italiano debba essere rispettosa della legge in vigore.

Qui però entrano in gioco anche altre questioni che vanno oltre il caso specifico.

Dobbiamo chiederci: che conformazione vogliamo dare ai nostri campionati regionali? Se sono dei campionati in cui devono crescere i giovani italiani, allora è bene lasciar giocare loro. Altrimenti l’ideale, per gli atleti extracomunitari, sarebbe avere un permesso di soggiorno per l’attività di lavoratore sportivo, cosa che però adesso non è prevista. Pertanto gli unici che possono stare sere sono gli atleti in possesso di un permesso di soggiorno legato a motivi di studio o a un contratto di lavoro, anche part-time.

Come si risolverà la questione?

Non lo sappiamo perché non spetta a noi fare le regole. Dal punto di vista sportivo, secondo noi si dotrebbe eliminare la regola dei non formati. Altrimenti si arriva a situazioni paradossali come quella di David Hawkins, ex Siena e Roma, che giocherà in serie C contro ragazzi che lo fanno solo ed esclusivamente per divertimento.

A livello normativo come si potrebbe intervenire?

Bisogna premettere che oggi anche tra i professionisti ci sono giocatori che percepiscono stipendi che poi non garantiscono loro un post carriera. Noi come Giba già da tempo lavoriamo per affiancare a un percorso di professionismo percorsi di formazione professionale di vario tipo. Serve però una legge che disciplini il semiprofessionismo. L’unica legge che in Italia regola l’attività sportiva, infatti, è la 91 del 1981 ma rimanda alle federazioni la possibilità di scegliere tra professionisti e dilettantismo. Per capirci, giocatori di A2 che fino al 2012 erano considerati professionisti, oggi si trovano in una situazione che, formalmente, è definita di dilettantismo, anche se di fatto continuano ad allenarsi e a giocare da professionisti. Lo stesso vale anche per altri sport: rugby, volley, pallanuoto. Ma dato che rimettere mano a quella legge sarebbe troppo complicato, come Giba ci stiamo battendo per avere una nuova legge in grado di regolamentare il semi professionismo. Se le società di B considerassero professionisti i propri atleti, dovrebbero pagare loro contributi, Tfr e varie altre cose previste dal contratto da lavoratore sportivo, cosa che non riuscirebbero a fare. Però non va bene neanche lasciare questi atleti senza tutele. In alcuni casi siamo riusciti a garantire sostegni a fine carriera in via pattizia. Ma molte situazioni continuano a rimanere scoperte: basti pensare, ad  esempio, ai giocatori di A2, che continuano a non avere un trattamento di fine rapporto, o ai club di A1 femminile, per i quali non è previsto l’obbligo di avere un’assicurazione o di tutelare le loro tesserate in caso di maternità.

Ultima modifica il Martedì, 28 Febbraio 2017 10:20

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