Giovedì, 10 Ottobre 2019 01:50

A L'Aquila è morta l'Unione, non il rugby. Le reazioni a un fallimento annunciato

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Non si può dire che l’ufficializzazione del fallimento dell’Unione Rugby L’Aquila, dopo un solo anno di attività – per la mancata ricapitalizzazione della società a seguito di una perdita d’esercizio di 49mila euro - e della conseguente, inevitabile decisione di non far disputare alla prima squadra il prossimo campionato di serie A, sia stata un fulmine a ciel sereno.

Nei giorni scorsi le dichiarazioni rilasciate dal presidente Nicola Caporale, che era subentrato da meno di un mese al dimissionario Pier Francesco Anibaldi, avevano lasciato poco spazio alle speranze e alle illusioni.

Ma già un anno fa, quando il progetto venne presentato, a molti non era sfuggita la sua intrinseca debolezza e la sua estemporaneità, dovuta sostanzialmente alla mancanza di una visione e di una programmazione a lungo termine, all'assenza di sponsor importanti, al suo essere stata concepita come un modo per passare la nottata in attesa di tempi migliori.

Forse anche per questo la notizia è stata accolta, fatta salva qualche eccezione, tra l'indifferenza e la rassegnazione.

Ci sarà tempo per parlare di come si sia potuti arrivare a questo punto, di come L’Aquila, per la prima volta dopo 50 anni, non avrà una squadra a rappresentarla in un campionato di vertice, in capo a chi vadano ascritte le colpe.

Non si può e non si deve sminuire la gravità di quanto accaduto, anche perché si tratta del terzo fallimento societario in 5 anni, dopo quelli dell’Aquila Rugby 1936 e dell’Aquila Rugby Club. E questo, qualcosa vorrà pur dire.

Le responsabilità sono diffuse, inutile mettersi a cercare capri espiatori. Questa vicenda chiama in causa tutti: la società e i loro dirigenti, gli sponsor assenti (malgrado i milioni di euro arrivati in città con la ricostruzione), una città che sembra aver perso a poco a poco interesse e passione per questo sport (la media spettatori nell’ultimo anno è stata, forse, di 150 persone a partita e non è che nei campionati precedenti fosse andata tanto meglio) e anche un’amministrazione comunale che si era fatta in qualche modo garante dell’operazione, con il sindaco che si era speso in prima persona per la nascita della società.

Andrà fatta un’analisi seria. Nell’immediato, però, c’è un errore da non commettere: scaricare questo fallimento sull’intero mondo della palla ovale aquilana.

Due giorni fa all’Aquila è "morta" l’Unione, non il rugby, che invece continuerà a vivere grazie a un movimento di base che può contare su centinaia di giovani e di tesserati (che negli ultimi anni sono andati crescendo) e su altre società sane, che hanno costruito progetti solidi e lungimiranti. Le basi per ricostruire, anche in fretta, ci sono.

Le reazioni

La Polisportiva, una delle quattro società che aveva dato vita al sodalizio dell’Unione – le altre sono Gran Sasso Rugby, Vecchie Fiamme e L’Aquila Neroverde – ripartirà dal suo fiore all'occhiello, l'Under 18, che sta disputando il campionato nazionale Under 18 Élite (nello stesso girone dove milita peraltro anche l’Avezzano Rugby), e ha un nucleo di una decina di giocatori ex Unione che sono rimasti e che costituiranno l’ossatura sulla quale verrà costruita la squadra che farà la C. Aggregando a questo gruppo qualche giovane, la speranza del presidente Paolo Mariani è che si possa tornare in serie A nel giro di qualche anno.

“E’ chiaro che da presidente ed ex giocatore c’è grande dispiacere” dice Mariani “Non mi sento di accusare nessuno, è inutile rivangare il passato. Dobbiamo guardare avanti, per il bene dei ragazzi. Ripartiamo dalla C1 e da un settore giovanile in salute, dove brillano soprattutto l’Under 16 e l’Under 18. Ci sono tutte le premesse per avviare un progetto serio e tornare in tre, quattro anni, in serie A, lì dove L’Aquila merita di stare”.

“Al netto di tutte le considerazioni che si possono fare” afferma Nicola Caporale “il nostro più grande rammarico è quello di non essere riusciti ad assicurare ai nostri giocatori la permanenza in serie A.  Ai ragazzi che hanno scelto, insieme ai tecnici, di accettare la sfida di ripartire dalla C1 per amore della maglia e della città desidero rivolgere un pensiero e un ringraziamento speciali per aver dato un segnale fortissimo, una lezione e un esempio per tutto l'ambiente. Mi sembra questo, oggi, il messaggio più importante e positivo da sottolineare”.

Naturalmente c’è anche chi usa torni diversi, per nulla concilianti, come Antonio Nardantonio. Ex giocatore, consigliere comunale di opposizione nelle fila del Passo Possibile, Nardantonio, che ha fatto parte, in questi dodici mesi, del consiglio d’amministrazione dell’Unione, chiama in causa direttamente l’amministrazione Biondi: “Si fa fallire una società per un debito ridicolo. Il progetto poteva funzionare, noi ce l’abbiamo messa tutta. L’incapacità, però, non è stata solo nostra. L’impegno del sindaco non ha portato nessuno sponsor, nemmeno quando si è messo un veto su Vincenzo De Masi e Francesco Aloisio. La loro uscita di scena avrebbe dovuto spalancare le porte a nuovi investitori, che invece non si sono visti”.

“Io e De Masi abbiamo fatto un passo indietro perché, per interposta persona, le istituzioni e le forze politiche di questa città ci avevano detto che era un passaggio necessario per far entrare altri soci e altri sponsor. Il nostro sacrificio, a quanto pare, non è servito a niente” commenta Francesco Aloisio, una vita vissuta dentro la Polisportiva, prima da giocatore e poi da dirigente. “Di polemiche se ne potrebbero fare tante ma in questo momento non avrebbero senso. Quello che sottolineo, invece, è un disinteresse generale della città per il destino del rugby così come per quello di altri sport”.

Tra gli ex giocatori il rammarico è grande anche se il sentimento prevalente è forse quello del disincanto.

“Abbiamo sperato fino all’ultimo, provo un dolore forte. Per me è come vivere un lutto” afferma Fulvio Di Carlo, due volte campione d’Italia, negli anni Ottanta, con la Polisportiva. “E’ vero che si può ripartire dai giovani ma senza la prospettiva di poter giocare in serie A, dove andranno questi ragazzi?”.

“Provo un grande dispiacere” osserva l’ex capitano neroverde Carlo Caione, due volte scudettato (una volta con L’Aquila e l’altra con Roma) “Anche se devo dire che un po’ me lo aspettavo. Le premesse con cui era nata l’Unione non lasciavano ben sperare. Inutile scaricare la colpa su qualcuno, le responsabilità sono molteplici. Mi sento di dire solo che le società sportive dovrebbero vivere di vita propria, tenendosi il più possibile lontano dalla politica”.

“E’ difficile dare giudizi di merito” osserva Giulio Morelli, uno degli eroi della finale scudetto del 1994 vinta contro il Milan “L’unica via d’uscita è quella della coesione: ognuno vuole andare per conto suo ma L’Aquila non ha un tessuto economico capace di sostenere tutte queste realtà”.

“E’ una tragedia, vedere una piazza storica come L’Aquila ridotta così è molto triste” afferma Carlo Festuccia, che ha vestito a lungo la casacca dell’Aquila Rugby, prima di iniziare una lunga carriera nei top club italiani e europei e anche in nazionale, e che oggi fa il vice allenatore alla Valorugby Emilia: “C’è anche da dire che il rugby è cambiato molto rispetto al passato, per gestire le società oggi ci vogliono figure manageriali e un lavoro metodico a tutti i livelli, dallo staff tecnico alla segreteria”.

Il sindaco

Questo il commento del primo cittadino Pierluigi Biondi: “A fine agosto si è svolta nei miei uffici una riunione a cui presero parte anche il presidente del comitato regionale Fir, Giorgio Morelli, e alcuni imprenditori locali che avevano mostrato l’intenzione di intervenire e contribuire a sostenere l’Unione Rugby L’Aquila. Mi sono interessato della questione, come possono confermare lo stesso Morelli e l’attuale presidente del sodalizio, Nicola Caporale, ma, purtroppo, non si sono poi concretizzate le condizioni per cui questo partenariato economico diventasse operativo. Oggi trova conclusione un problema che parte da molto lontano, una crisi che ha iniziato a dare i primi segnali già dopo l’ultimo scudetto vinto dall’Aquila rugby nel 1994. Per anni la politica locale ha illuso la città, proponendo soluzioni tampone e facendo credere di poter risolvere questioni che, invece, continuavano a trascinarsi nel tempo, aggravando ulteriormente una sofferenza che nell’ultimo anno è esplosa in tutta la sua drammaticità”.

Ultima modifica il Giovedì, 10 Ottobre 2019 14:00

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