Venerdì, 14 Giugno 2019 14:34

Università e lavoro: ecco gli Atenei che 'offrono' gli stipendi migliori. Buona performance di Univaq

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L’Italia spende mediamente meno degli altri Paesi per l'istruzione: sia in dollari U.S. (dato 2017) equivalenti per studente (il 28% in meno dei paesi OCSE), sia in percentuale al PIL (3,9% del PIL, contro il 5% medio dei Paesi industrializzati e il 4,6% dell’Unione Europea). In Italia, inoltre, il tasso di abbandono prematuro di istruzione e formazione è superiore al resto della UE (14,5% ed in crescita, contro il 10,6% medio europeo in calo). Il nostro Paese, infine, continua ad avere la maglia nera per numero di NEET, i giovani tra 20 e 34 anni che non studiano e non lavorano: nel 2018 erano il 28,9%, a fronte di una media europea del 16,5%.

Sono alcuni spunti di riflessione restituiti dallo University Report, uno studio di carattere divulgativo sul “valore retributivo e di carriera” dell’Istruzione in Italia, con focus specifico sulla formazione universitaria. Il report nasce grazie alla rilevazione continua degli stipendi dei lavoratori italiani sviluppata dall’Osservatorio JobPricing a partire dal 2014. Il Database di riferimento è costituito da oltre 400mila dipendenti di aziende private (Operai, Impiegati, Quadri e Dirigenti), dal quale sono stati estrapolati per essere analizzati 79.254 profili di lavoratori laureati. Nello specifico, è stata considerato la RAL (Retribuzione Annua Lorda, relativa alla sola parte fissa del salario) per verificare se e quali correlazioni esistano fra titolo di studio conseguito, università frequentata, carriera lavorativa e stipendio.

Ci si è domandati, in sostanza: con una percentuale di laureati al 18,7% contro una media Ocse del 34,9% (solo il Messico alle spalle) e una spesa in istruzione insufficiente che prospettive retributive si aprono innanzi a chi opta per il proseguimento degli studi a livello universitario?

Si parta da un dato: "Il tasso di disoccupazione fra coloro che non hanno titoli o arrivano al massimo alla licenza elementare (17,5%) è quasi 4 volte superiore a quello dei laureati (4,6%)". Restringendo il campo ai giovani fra i 25 e 34 anni, il tasso sale proporzionalmente per tutti, con una media generale che passa dal 9,8% al 14,5%. "Dal 2008 ad oggi - si legge nel report - la laurea si è dimostrata la 'barricata' più solida per contrastare la crescente disoccupazione giovanile. Sebbene a un anno dalla laurea il tasso di disoccupazione non si discosti molto da quello medio nazionale per i giovani fra i 25 e i 34 anni (14,5%), a cinque anni dalla laurea si registra invece una marcata riduzione: il tasso di disoccupazione scende al 6,5% per la laurea di primo livello, al 6,8% per la laurea di secondo livello, al 6,9% per la magistrale biennale e al 7,2% per la magistrale a ciclo unico".

La laurea si dimostra una carta sempre più importante per trovare lavoro. Se si guarda lo status degli ex universitari ad un anno dal diploma, "la situazione appare in miglioramento: il tasso di disoccupazione è passato dal 26,6% del 2012 al 15,9% per i laureati di primo livello e dal 22,9% al 15,6% per i laureati di più lungo corso. Su 100 laureati, solo 16 dopo un anno dal conseguimento della laurea non trovano un posto di lavoro. Il numero si riduce a 7 dopo 5 anni".

Da notare inoltre che il tasso di disoccupazione dei neolaureati ad un anno dal titolo è in costante riduzione dal 2012 in poi (dal 30 al 40 per cento in meno a seconda del tipo di laurea).

A queste considerazioni, si aggiunge anche la gratificazione economica: "studiare paga" è la conclusione che emerge dai dati. "Le retribuzioni medie sono decisamente più basse per chi ha conseguito una laurea triennale (29.717 euro) rispetto a chi ha ottenuto una laurea magistrale (41.629 euro) o un master di primo o secondo livello (rispettivamente 41.242 e 46.763 euro)". Anche le prospettive di crescita retributiva durante la carriera sono più basse per una laurea triennale (25,8%) rispetto a quelle di una laurea magistrale (55%) o di un master (fino al 116,8%). Il motivo è presto detto: più è alto il titolo di studio, maggiore è la possibiltà di entrare nelle 'alte sferè delle organizzazioni aziendali: "Con una laurea si ha una probabilità 4 volte superiore al diploma di diventare quadro o dirigente e, con un master, addirittura di 7 volte".

Sia chiaro, nel resto del mondo il differenziale retributivo è ben maggiore: per i giovani tra i 25 e 34 anni la differenza retributiva è del 14,1% mentre in paesi ad alta produttività come Francia e Germania è rispettivamente del 42% e del 45% e arriva al 95% in Cile che è primo nella classifica Ocse.

Immaginate che spinta all'economia del paese verrebbe da un maggiore investimento sull'istruzione.

Se analizziamo poi il dettaglio degli atenei italiani, emerge una ottima performance dell'Università degli studi dell'Aquila.

Andiamo con ordine: l'Osservatorio conferma che i laureati in università private o nei politecnici hanno in media stipendi superiori rispetto a chi ha conseguito il diploma di laurea in università pubbliche. Inoltre, chi si laurea al nord ha in media una retribuzione annua lorda (RAL) superiore del 3% rispetto a chi si laurea al centro e del 10% rispetto a chi si laurea al sud o sulle isole.

In questo quadro, Univaq è al 12esimo posto tra gli atenei italiani per la migliore retribuzione dei suoi laurearti tra i 25 e i 34 anni con una RAL di 30.992 euro l'anno, con uno scostamento dalla media dei laureati che porta un segno positivo, +1.8%; a guidare la classifica è l'Università commerciale Luigi Bocconi con 34.856 €: sul podio la Luiss Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli (33.653 €) e il Politecnico di Milano (32.796 €). Con un distacco minimo seguono l'Università Cattolica del Sacro Cuore (32.383 €) e l'Università degli studi di Siena (31.743 €). 

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Analizzando l’andamento della retribuzione nel corso della carriera lavorativa e, in particolare, l’incremento che si registra tra il primo e l’ultimo step di carriera preso in considerazione, le università private si mantengono ai primi posti della classifica: la crescita retributiva più consistente è rilevata per la Cattolica, i cui laureati quasi raddoppiano la loro retribuzione al raggiungimento e consolidamento nella fascia tra i 45 e i 54 anni (+83%); anche i "bocconiani" presentano una crescita media consistente (+74%), così come i laureati della LUISS Guido Carli (+73%). 

Da questo punto di vista, l'Ateneo dell'Aquila paga, invece, un rallentamento in termini di incremento della retribuzione, dal primo step di carriera all'ultimo con una crescita del 52%.

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Una ultima annotazione.

Per dare una misura della “convenienza” dello studio universitario, l’Osservatorio JobPricing elabora ogni anno un indice denominato University Payback Index (U_P_I), che esprime il numero di anni necessari per ripagare gli investimenti sostenuti, considerando i costi di frequenza e vita rispetto agli stipendi promessi. Al primo posto in questa classifica si trova il politecnico di Milano (13,4 anni per ripagare la laurea), segue l'Università commerciale Luigi Bocconi (13,9 anni) e al terzo posto il Politecnico di Torino (14,3 anni). Al quarto posto l'Università Cattolica del Sacro Cuore (14,5 anni) e al quinto l'Università degli studi di Padova (15 anni). L'Università degli studi dell'Aquila si piazza al 19esimo posto, con una media di 16,3 anni. 

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Ultima modifica il Sabato, 15 Giugno 2019 00:06

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