Ieri è tornato a riunirsi il Consiglio comunale, in seduta straordinaria, per discutere della definizione partecipata di un nuovo modello di città - università. Sul tavolo, il documento elaborato dal consigliere comunale Stefano Palumbo (Partito Democratico) che ha scattato una fotografia della situazione attuale, sottolineando come la proposta possa rappresentare "una componente fondamentale nel disegno del più complesso modello locale di sviluppo sociale".
"Gli importanti studi promossi dopo il sisma dal Ministero per la Coesione territoriale e dalle organizzazioni regionali di Confindustria, Cgil, Cisl e Uil - ha ricordato Palumbo - indicano in modo chiaro quanto sia strategico investire sui settori dell'università, della ricerca, dell'alta formazione, intravedendo nella nostra città tutte le potenzialità per aspirare a diventare 'città della conoscenza'".
A discuterne, sono stati invitati in Consiglio comunale la rettrice dell'Università dell'Aquila Paola Inverardi, il direttore del Gssi Eugenio Coccia, il presidente dell'Adsu Francesco D'Ascanio, il presidente del Cus Francesco Bizzarri, il presidente dell'Accademia delle Belle Arti Roberto Marotta, e il direttore del Conservatorio Giandomenico Piermarini.
E proprio la rettrice Inverardi ha iniziato snocciolando i numeri dell'Univaq. Assai incoraggianti. "Oggi, è un'occasione importante di confronto - ha sottolineato - che, ancorché a lungo evocata, ha stentato in questi mesi ad arrivare. Siamo dinanzi ad un punto di partenza effettivo, è necessario passare ora dalla enunciazione di intenti e propositi alla proposizione di progetti concreti. A partire da qualche dato che potrà essere utile alla discussione: l'Univaq ha attivato 66 corsi di laurea, tra triennali e magistrali. Ad oggi - i dati, però, sono ancora grezzi e in divenire - abbiamo 19401 iscritti: alla stessa data dello scorso anno, erano 20187. Temevano di perdere più o meno 1600 studenti, con la scelta di istruire il numero chiuso per 4 corsi di laurea riallineandoci, così, ai dettami del Ministero. Invece, abbiamo mantenuto 1000 iscritti in altri corsi. Si tratta di dati estremamente positivi".
Dunque, Inverardi ha sottolineato come siano "3914 i nuovi immatricolati, con una età media - per i corsi di laurea triennale - di 22.75 anni. Un segnale assolutamente importante: infatti, nel 2008/2009, per la stessa categoria avevamo un'età media di 23 anni e mezzo che è andata alzandosi nel post-terremoto a seguito della decisione di non far pagare le tasse agli studenti. Vuol dire che stiamo riacquisendo la capacità di attrarre - sempre di più - i ragazzi appena diplomati. L'età media si sta abbassando anche per le lauree magistrali, anche se non siamo ancora tornati ai livelli del pre-sisma".
Notizie incoraggianti arrivano anche analizzando la provenienza degli immatricolati di quest'anno accademico: "Il 55.9% degli studenti arrivano dall'Abruzzo, il 44.1% da fuori regione. E tra gli studenti 'abruzzesi', il 30% arriva dalla provincia dell'Aquila. A dire che abbiamo la capacità di attrarre tantissimi studenti che arrivano da fuori il nostro piccolo contesto territoriale. Vuol dire che la qualità della didattica viene considerata attrattiva, al di là dei problemi che vive la nostra città. Sfatiamo un mito: molti studenti, molte famiglie non sapevano neppure che qui non si pagassero le tasse. Per noi, per il nostro piccolo contesto era oramai considerato 'normale': altrove, la normalità è pagare le tasse universitarie".
Uno spunto di riflessione, tra le righe: molte delle criticità che percepiamo ogni giorno, perché affezionati al nostro territorio e abituati alla realtà che vivevamo prima del terremoto, non sono in alcun modo 'sofferte' dagli studenti 'fuori sede' che hanno scelto di iscriversi all'Università dell'Aquila o che già vivono in città. Gli universitari cercano qualità della didattica e servizi, a L'Aquila come altrove. Alcuni, arrivano da piccoli centri montani o da anonime periferie di città che soffrono molti dei problemi che viviamo ogni giorno. In altre parole, non convivono con il senso di precarietà, di vita interrotta, che affligge molti aquilani, nel ricordo della città per com'era: non l'hanno conosciuta la città per com'era, e vivono la quotidianità di un presente che non differisce molto da altre realtà.
"Giochiamo un ruolo nazionale - ha incalzato Paola Inverardi - al di là del nostro piccolo orticello. Dunque, abbiamo l'obbligo di confrontarci su di un livello nazionale. Lo stiamo facendo. Ci siamo candidati - prima università in Italia, insieme a Perugia - alla visita dell'Anvur, l'agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca: scelta felice perché abbiamo ricevuto 15 esperti, a fine novembre, che hanno esaminato 10 corsi di laurea. Tra qualche settimana, avremo il rapporto: abbiamo già ricevuto, però, una serie di attestazioni di stima per il lavoro che stiamo facendo e per quello che siamo riusciti a mettere in piedi a livello formativo".
Anche dagli studenti, di cui spesso si parla senza che si ascolti la loro voce. Ieri, in Consiglio comunale, gli universitari erano i grandi assenti.
Che ruolo può giocare dunque l'Università, al di là della funzione primaria, la formazione, che attrae a L'Aquila ragazzi e docenti? "Sviluppo locale e territoriale", risponde la rettrice Inverardi. "Vuol dire saper valorizzare le competenze interne a servizio del territorio e, allo stesso modo, saper valorizzare gli studenti che vengono a vivere e studiare a L'Aquila. Dunque, non solo le competenze tecnico scientifiche ma anche la volontà di pensare gli studenti come cittadini, produttori di conoscenza, energia, creatività. E' questa la vera sfida per costruire un modello di università diverso: far diventare cittadini i 20mila studenti iscritti, avere la capacità di 'utilizzarli' per quanto sono capaci di produrre in termini di conoscenza".
La rettrice ha spiegato che, negli ultimi dodici mesi, sono stati organizzati 15 incontri con portatori di interesse del territorio, dagli ordini professionali alle associazioni culturali, "per capire insieme che tipo di progetti si potranno costruire, che siano reali ed efficaci e che siano capaci di coinvolgere anche gli studenti, come soggetti attivi. Moltissimi hanno a che fare con la ricostruzione, la nostra normalità e non l'eccezione, con cui imparare a convivere nei prossimi anni. Questo significa parlare di università-laboratorio: pensare forme nuove di didattica, di convivenza sociale e civica. Per farlo, è necessario impostare un modo diverso di rapportarsi tra Istituzioni e con gli enti di formazione superiore. E' in campo un grande sforzo per presentarci come sistema coerente e coeso, un valore enorme che dobbiamo essere in grado di promuovere".
Sforzo sostenuto dal Gran Sasso Science Institute che ha appena celebrato l'inaugurazione del secondo anno accademico e che, in poco più di dodici mesi, ha saputo attrarre a L'Aquila talenti da ogni angolo del mondo, "risorse che altrimenti non sarebbero arrivate in città", ha inteso sottolineare Eugenio Coccia. "Una risposta entusiasmante, anche rispetto alle altre scuole di dottorato italiane. Chi sceglie di studiare da noi, sceglie di giocarsi qui il futuro. Un enorme patrimonio, per L'Aquila".
Dunque, "l'amministrazione, la città, il territorio inteso globalmente devono capire quale modello di università andare a disegnare, da qui ai prossimi anni", ha incalzato il consigliere Ettore Di Cesare. "Senza trascurare la cultura, il turismo e il commercio, il Pil del nostro territorio è formato, principalmente, da quattro categorie: lavoratori pubblici, pensionati, università, settore manifatturiero", ha sottolineato. "In una prospettiva futura, l'unico settore potenzialmente in espansione è proprio l'università. La rettrice - nel suo intervento - ha dato i numeri delle iscrizioni e delle immatricolazioni: numeri importanti, confortanti. Per una città, però, a contare non è tanto il numero degli iscritti ma il numero degli studenti residenti. Se siamo tutti concordi, e dico se, che la strategia da perseguire è l'aumento del numero di studenti residenti, fino ai 20mila immaginati nel rapporto Calafati, una strategia che non è affatto fantasiosa, le azioni politiche dell'amministrazione e dell'Università devono essere conseguenti. Dunque, bisogna iniziare ad immaginare una governance che tenda all'obiettivo, coinvolgendo altri pezzi dello Stato che dovranno contribuire alla implementazione della strategia".
Insomma, se quando si partecipa ai tavoli del Governo c'è una posizione dell'amministrazione e un'altra della Università, non si ottiene alcun risultato. "C'è bisogno che questo tipo di modello di università, e quindi di città, non sia una delle tante strategie di sviluppo del nostro territorio: se è la principale, bisogna condividerla, concentrando le risorse". Evidente il riferimento del consigliere Di Cesare al 5% dei fondi per la ricostruzione, assicurati alle attività produttive.
"Questo territorio sta reggendo con i fondi per la ricostruzione, in una economia keynesiana. Quando la ricostruzione rallenterà, senza una precisa strategia ci ritroveremo i problemi che già avevamo prima del sisma. Bisogna pensarci subito. Tra l'altro, avere una università forte e con una fortissima residenzialità permette al territorio un'apertura, un cambio della morfologia sociale. A L'Aquila, ad oggi, 25mila persone sono pensionati: un territorio con una età media molto alta non è dinamico e non può guardare con fiducia al futuro. Avere 20mila studenti residenti, al contrario, sarebbe vitale e inciderebbe positivamente sulla pericolosa tendenza del territorio e dell'amministrazione, declinata troppo spesso alla chiusura".
Come si attraggono 20mila studenti? "Con l'assoluta qualità della didattica, e in questo senso i numeri presentati dalla rettrice Inverardi sono incoraggianti. E con scelte che siano sostenibili, capaci di promuovere la connettività, la qualità urbana e la mobilità. Scelte politiche che vanno assunte immediatamente".
Per questo, il Consiglio comunale riunito ieri non può affatto considerarsi un punto d'arrivo. Anzi. Le problematiche sul tavolo sono state affrontate soltanto superficialmente, senza ascoltare la voce degli studenti. Il percorso intrapreso dall'Università, con la scelta della rettrice Paola Inverardi e del suo programma, è chiaro. Meno, la strategia politica che dovrebbe accompagnarlo, questo percorso. E' mancata totalmente, fino ad oggi. E poco si è detto, anche ieri, delle scelte che andranno assunte perché la città possa davvero immaginarsi capace di attrarre migliaia di studenti residenti.
E' stato utilissimo il lavoro del consigliere Stefano Palumbo che ha avuto il merito di porre un punto di partenza. Ora servono scelte chiare, innanzitutto per il recupero delle sedi della didattica e dei servizi a cui dovranno essere garantite risorse certe nei futuri strumenti di finanziamento della ricostruzione. Poi, per garantire alloggi agli studenti, iniziando dalla delibera 172 del 2011 che riconosce il 30% degli alloggi del progetto Case agli studenti, compatibilmente con le politiche dell'assistenza alla popolazione, sostenendo tra l'altro la richiesta al Ministero della Difesa di una proroga per almeno dieci anni dell'accordo sottoscritto per la Caserma Campomizzi. Infine, perché venga erogato un servizio dei trasporti efficiente e attento alle esigenze degli studenti.
"Sarà fondamentale tener vivo un dialogo costante e continuo", ha sottolineato il consigliere democrat. Proponendo l'istituzione di un tavolo operativo di coordinamento per le tematiche universitarie, "da costituire nello spirito dell'accordo quadro di cooperazione tra l'Università e il Comune dell'Aquila. La struttura dovrà essere composta da Università, Comune e Regione, organizzata per tavoli di lavoro a cui parteciperanno le componenti amministrative, politiche e tecniche, e si occuperà di sviluppare proposte relativamente ai tre principali ambiti individuati: residenza, mobilità e servizi".
Proposta accolta dal Consiglio comunale, con voto unanime.