Ma l'abito fa il monaco?

Ma l'abito fa il monaco? (37)

Vintage, usato – se preferite vissuto – , prestigioso, introvabile… Shopaholic tecnologizzate/i – non so perché, ma detesto gli asterischi dei generi – di tutto il mondo unitevi al sentimento della speranza di poter trovare quel capo che vi siete fatte/i – come sopra – sfuggire o di poter rimediare ad un acquisto troppo avventato.

Se munite/i – adesso la smetto – di smartphone o di un banalissimo e ormai desueto pc, Depop è l’app che fa al caso vostro. Ormai tanto conosciuta in ogni angolo del globo che può essere tranquillamente considerata anch’essa un social con una community di utenti collegati tra loro, conosciuti e riconoscibili dietro espliciti o celati nickname. Ma a cosa serve? Depop, naturalmente gratuita, è una piattaforma dove fare compravendita, dove non si diventa amici ma si “tengono d’occhio” gli utenti. E si vende (e si compra) di tutto purché, da come mi sembra, abbia una presentazione stilosa e che sia immortalato dalla foto giusta. Se riuscite a convincere Mario Testino a fotografare la motosega usata da vostro nonno per fare la legna da ardere direi che quest’ultima entrerebbe di diritto tra gli oggetti più bramabili. Non so se ho reso.

Nata nel 2011 dalla capoccia dell’imprenditore Simon Beckerman – che quasi quasi me lo aggiungo su Linkedingià ideatore della rivista Pig (People in Groove) a caccia di talenti nel mondo della moda, collaboratore dei Marzotto e dei Rosso – leggi il marchio Diesel – nei tempi morti, no so, sotto la doccia, durante la corsetta al parco, pensa bene di abbinare uno shop online alla rivista. E come succede a chiunque di noi abbia un’idea vincente, investitori e una sede a Londra, ecco milioni di utenti, Milano, New York e la mia attenzione. Questo appena 40enne signore si può sentire arrivato. Ah, Simon è anche creatore degli occhiali Super, accessorio eletto indispensabile da numerosi VIP qualche anno fa, dei quali non saprei indicarvi segni distintivi per farveli venire alla mente. Ci basta sapere della loro esistenza.

Non solo occhiali ai VIP per il catalizzatore Simon ma anche venditori VIP. Ad esempio, tra i suggerimenti della home abbiamo una qualunque Dita Von Teese che, direttamente dalla Città degli Angeli statunitense, vi offre i suoi costumi di scena o della biancheria intima (speriamo non usata!) selezionata per voi dalla regina del burlesque a prezzi tutto sommato contenuti. La maggior parte delle fashion blogger, dall’alto della loro innata capacità di capire cos’è giusto e cos’è sbagliato, veicolano i vostri acquisti con delle introduzioni che valgono da sole una visitina al profilo: una volta individuato il venditore che più soddisfa i vostri gusti rimane solo da seguirlo e aspettare il capo giusto. Virginiabecket mi piace un sacco!

C’è Fedez che vende t-shirt ancora inamidate per beneficienza e giovani nessuno che vendono maglie misto acrilico H&M a 25 euro! La migliore finora comunque è lei, Chiara Ferragni, scesa dall’alto dei cieli con un nome stampato nel firmamento dei famosi per qualcosa di non precisamente definito, alla quale tutto è regalato dai brand ma che vende tanto lusso quanto poracciate di ogni a prezzi altini, con descrizioni composte da tre o quattro hashtag e con il tutto esaurito. E Chiara Ferragni le nostre banconote le fa a striscioline e le usa come filo interdentale. Ma rientriamo nei ranghi gente!

La procedura per la vendita mi sembra molto semplice e intuitiva e segue i passi di qualsiasi comune social: fotografate o caricate dalla galleria seguendo i suggerimenti che vi vengono dati (no collage di foto, un solo oggetto, sfondi creativi etc, etc.), aggiungete descrizione, categoria e prezzo e specificate come volete consegnare la merce (di persona o tramite posta). Che la vendita abbia inizio! Fate il vostro affare, scambiate e ridate vita ai vostri oggetti e occhio alle fregature.

Appena iscritta ho già tre followers! Ma UAU! Sono quattro mentre scrivo. No, NOVE!! Chiudo a undici, quasi una celebrità. @misspot è fra voi utenti Depopiani!

Martedì, 13 Ottobre 2015 14:21

Confessioni di una blogger pericolosa

di

Cosa volete che vi dica? Passato al setaccio il Pantone 2015 color Marsala, metabolizzato il ventaglio cromatico autunnale che questa stagione rimane ancorato allo spicchio dei toni terrosi e caldi senza troppi colpi di scena – ricordiamo l’anno scorso il verde acido sistemato in ogni tipo di filato e capo – concentriamoci sull’accessorio principe di ogni fashion addicted: la scarpa. In continuo duello con la borsa, la scarpa rappresenta il feticcio di molti e volendo soprassedere la necessità - soprattutto della scrivente - di farne oggetto di introspezione e indagine psicologica, restiamo nella comfort zone della indiscutibile bellezza e potenza stilistica della stessa. Tra chi ne fa il punto focale assoluto del proprio outfit e tra chi si colloca all’interno della categoria dei “collezionatori seriali” mi sento di abbracciare con giusta modestia e soddisfazione entrambe le categorie.

Una passione che non si è risparmiata neanche di fronte allo zatterone monoblocco portato alla ribalta dalle Spice Girls sul finire degli anni ’90. L’adolescente di allora ancora ricorda il senso di gioia durante l’acquisto avvenuto dopo un anno circa di velate suppliche agli ormai inermi genitori. Posso orgogliosamente affermare e rassicurarvi tutti sul fatto che i gusti dell’attuale 30enne si sono affinati. Sicuro è che, nonostante gli oltre 140 pezzi (divisi in oltre 70 paia) presenti nella sua attuale collezione, quelle informi Fornarina nere, blu elettrico e argento sono rimaste nel suo cuore per infiniti motivi…

Questo episodio per rimarcare come un ricordo così netto della preadolescenza possa essere legato ad un paio di scarpe. Una ragazzina a quell’età ha una percezione relativa di se stessa, figurarsi se ce l’ha di quello che sarebbe diventata la sua forma di collezionismo. C’è da dire che ho passato gran parte dell’infanzia a cimentarmi in bozzetti arrangiati di abiti (il dono del bel disegno, ahimè, non mi è mai appartenuto) e questo era senza dubbio un campanello d’allarme. Ma tranquilli, la consapevolezza non ha tardato molto a palesarsi!

Venendo al nocciolo della questione: non vi sembra che un modello particolarmente in voga quest’autunno ricordi fortemente le zatterone anni ’90? Partiamo all’origine di una scarpa che io trovo raffinata e iperfemminile nonostante sia destinata principalmente ad un pubblico maschile: la stringata classica, che si evolve nella versione lavorata a coda di rondine o senza lacci, con o senza zip (versione che personalmente adoro), azzeccate anche nei colori che si discostano dal classico nero, blu e marrone. Dove sta l’inghippo? Sta nella nuova generazione di stringata alla quale hanno ben pensato di sostituire la classica suola con una raccapricciante zeppa di gomma e per fare le cose fatte proprio bene spesso e volentieri questa è anche bianca o diversamente colorata rispetto al resto. Passi la stringata dr. Martens, figlia dell’omonimo anfibio, dai sentori molto London underground, che messa nella giusta maniera potrebbe anche non farvi sembrare eterni Peter Pan in cerca della propria collocazione anagrafica. Quello a cui si assiste oggi è una promozione a “scarpe da vetrina” delle scarpe ortopediche. Con estremo rispetto per le scarpe ortopediche che compensano l’aspetto estetico con imprescindibile utilità medica. Ecco la regressione di 15 anni che aggiunge alla zeppa anche la suola “carroarmato”.

Sono spiacente, ma non è cosa davvero. Non riesco a digerirle e sappiate che la fan delle 5 ragazzotte inglesi non si fa abbindolare dai ricordi di gioventù e non esulta. E badate bene che nessun brand si è risparmiato dal produrle. Una battaglia che condurrò da sola, lo so. Forse le tengono solo fino ad Halloween, come gli stand di cioccolata e decorazioni di zucche… Sì, dev’essere per quello! Attenzione, non tutto è perduto. Restituiamo dignità ai nostri piedi che siamo finalmente arrivati al giusto compromesso tra le punte strette e lunghissime e lo stondato da bambola con scarpe finemente allungate le cui punte, anche se spigolose non sono mai eccessive e qui tra le stringate potrete sbizzarrivi, anche con tacco per chi ha coraggio e muscoli nei polpacci da vendere. Poco da aggiungere, le stringate classiche sono il tocco di eleganza anche con un abbigliamento molto essenziale sopra, anzi, forse si esprimono meglio.

The last but not the least Manolo Blahnik: Fleeting Gestures and Obsessions. Ispirazione d’autunno è anche questo prestigioso volume edito da Rizzoli USA, omaggio al genio creativo spagnolo classe 1942 che ripercorre i 40 anni di attività di uno degli stilisti calzaturieri più influenti del mondo. Enciclopedico, fotografico, esclusivo (anche nel prezzo di 150 dollari!), biografico e storico alla cui realizzazione hanno contribuito anche Pedro Almodovar e Sofia Coppola che ha lavorato con lo stilista per il film Marie Antoinette. Natale non è poi così lontano per pensare ad un regalo che lasci a bocca aperta… Al limite tra la confessione e i consueti consigli, attenti a cosa mettete ai piedi perché sarà la prima cosa che certi soggetti vi guarderanno!!

Sabato, 29 Agosto 2015 15:02

Moda in Trans(izione)!

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Off topic? Neanche più di tanto. In tempi di saldi – e in questi giorni quelli più succulenti – dovrei utilizzare il mio spazio per suggerirvi cosa è meglio per nutrire i vostri armadi, ma in questa calda calda estate posso pretendere che indossiate più di una canotta e un paio di bermuda/shorts? Non è vero. Certe cose vanno oltre le temperature e le giustificazioni sono sempre a zero!!

Ciò che mi spinge a lasciarvi a briglie sciolte è quello in cui mi sono imbattuta qualche giorno fa. Imbalsamata sul divano con il ventilatore puntato contro, l’unico svago affrontabile era lo zapping e girovagando tra le nuove proposte della tv on demand – tra le altre cose geniale invenzione – salta ai miei occhi una nuova serie pluripremiata che scopro essere prodotta da Amazon sulle evoluzioni di una famiglia di Los Angeles dopo la scoperta della transessualità del padre, Transparent. Un piccolo gioiellino.

Oltre a suggerirvi la serie per quello che è, per come affronta il tema dell’identità di genere in maniera leggera senza ridurre il tutto in un goffo guazzabuglio di luoghi comuni (ad esempio quello della femminilità innata), per la deliziosa colonna sonora, vi consiglio questi 10 episodi di 30 minuti ciascuno per riallacciarmi alla questione che sta alla base dello stile personale: indossare ciò che più ci fa sentire a posto con noi stessi e soprattutto, in questo contesto più che mai, adoperare l’abbigliamento per comunicare ciò che siamo, che per quel che mi riguarda è quello che mi ha sempre di più affascinato del mondo della moda. Utilizzarla a proprio piacimento e a propria espressione.

Avrò una visione romantica di questo mondo, adesso lascio da parte contraddizioni intrinseche e scorrettezze. In questo telefilm ho voluto vedere un uomo che trova la sua libertà, si palesa al mondo con il suo disagio e il suo megafono sono i suoi vestiti. Aiutato e guidato Morton Pfefferman, professore di scienze politiche, prende confidenza con Maura e con la difficoltà di lasciar prenderle i suoi spazi in un corpo costretto al silenzio. Aspetto, forse centrale, è il coming-out del protagonista ad un’età avanzata. Dietro alla produzione, neanche a dirlo, c’è un folto gruppo di transgender ad accompagnare lo sviluppo del personaggio a garanzia di una coerenza di sceneggiatura assolutamente percepibile.

Non amo il termine travestito, ma in questo telefilm la differenza tra vocaboli è giustamente sottolineata ed i puntini sulle “i” sono presto messi dissipando ogni possibile misunderstanding. Il tema è caldo e il mondo della moda non rimane a guardare e risponde prontamente inserendo nel proprio “organico” esponenti già celebri – o che celebri lo sono diventati grazie a – del movimento transgender spostando l’attenzione su un fenomeno fin’ora, per i più, relegato solo alla sfera delle perversioni sessuali. Sempre più diffuse campagne pubblicitarie e marchi che accompagnano i personaggi anche dopo la transizione definitiva.

Apripista Riccardo Tisci di Givenchy che nel 2010 ingaggia Lea T., modella transgender brasiliana, un anno prima dell’operazione e del cambio nome. Anno, peraltro, in cui la modella sfila per la prima volta durante la settimana della moda a Rio in bikini. Altro caso da prima pagina è la modella Andreja Pejic, fino allo scorso anno Andrej, volto della casa cosmetica Make Up For Ever, scovata a 17 anni durante un turno di lavoro da McDonald’s, che ha sfilato e posato in abiti sia maschili che femminili. Non credo sia tanto una questione di ridefinizione dei canoni della bellezza perché quelli si sono evoluti già da parecchio e ci troviamo di fronte a persone di una bellezza fuori dal comune delle quali difficilmente si distingue il passato o la propria mascolinità, nel caso dovesse essere questo il nocciolo della questione. Si inseriscono corpi e volti straordinari all’interno di uno stile che già da un paio di decenni ha spostato i confini del maschile e del femminile, talvolta fondendoli.

Quello a cui si assiste con queste operazioni è una sorta di riqualificazione a livello sociale di una categoria di persone associate al proibito e al tabù. Un ultimo suggerimento. Per rimanere in tema e per trascorrere un paio d’ore spensierate è uno spassoso film inglese del 2005, Kinky Boots: un proprietario di una fabbrica di scarpe rilancia l’azienda in difficoltà iniziando la produzione di stivali per transessuali. A dimostrazione che la dicotomia moda/transgender non è storia poi così recente.

It- girl. Termine molto in voga negli ultimi tempi che sta ad indicare le prezzemoline delle riviste di moda e simili il cui compito è quello di farsi fotografare nel momento giusto con il capo d’abbigliamento (o accessorio, è uguale) al momento giusto, presenziare alle sfilate, sfavillare nei party più esclusivi e trasudare quel non so che di “ho messo la prima cosa che avevo nell’armadio ma ne so a pacchi ed è subito stile”. Una figura che poi c’è sempre stata e che in passato ha riguardato più personaggi alla Paris Hilton, quindi con un aspetto più costruito. Complice la crisi, non so, le it-girl si sono svestite dei panni dell’inarrivabile e hanno preferito quelli più comodi e meno pretenziosi di ragazze della porta accanto, molto spesso dotate di velleità artistiche, self made ed impegnate non solo ad accaparrarsi flash. All’apparenza il cursus honorum può essere sintetizzato in un po’ di lungimiranza, spirito di iniziativa nel metterci la faccia e voglia di stare dietro ad un blog. Se poi madre natura è stata un minimo generosa la carriera è aperta a tutte!

A ben vedere intraprendenza e lungimiranza sono solo i titoli di testa di percorsi fatti da carriere sudiate a tavolino o vicende personali che alla base hanno cinema, tv e senz’altro mondo della moda.

L’esempio principe di casa nostra è la protagonista del blog The Blond Salad, Chiara Ferragni, cremonese classe 1987 che inizia l’avventura nel 2009 facendosi strada nei social network postando foto dei suoi outfit. In sei anni la giovane biondina si trasforma in Re Mida e, ad oggi, attorno al suo nome ruotano copertine, contratti con le più grandi case di moda, una sua personale linea di accessori e fatturati da capogiro. Sappiamo tutti che è l’invidia a parlare ma se mi fossi fatta qualche foto in più negli anni in cui gli autoscatti non si chiamavano ancora selfie… Lei è un esempio anche parecchio ambizioso ma sulla falsa riga se contano a centinaia, soprattutto fuori dai confini dove le fanciulle prendono quasi il posto delle top model, retaggio molto anni ’90. Le ragazze immagine degli stilisti oggi sono prestiti dalle scene televisive, artistiche e cinematografiche. E le it-girl.

Estasiata e stupita vengo a sapere che quello della it-girl è un mestiere vecchio quasi un secolo come la rappresentante vivente della categoria che è una splendente “geriatric star” newyorkese 93enne. Fashion guru, interior designer e molto altro. Iris Apfel. Protagonista non solo di un fortunatissimo documentario firmato dallo scomparso Albert Maysles uscito ad aprile in America, ma anche e soprattutto di una serie piuttosto lunga di retrospettive a lei dedicate da parte di musei e gallerie di tutto il mondo, non ultimo il Metropolitan. Punto di riferimento di generazioni stilisti che le hanno chiesto collaborazione e supervisione. Il suo segno distivo sono gli enormi occhiali tondeggianti e gioielli al limite del fisicamente sostenibile: ne indossa enormi, sovrapposti e di ogni materiale, alternando pezzi di alto valore con oggetti recuperati nei mercatini.

Per il sito di e-commerce yoox.com anni fa mise in vendita tre linee di monili, una delle quali composta da pezzi di sua proprietà, che descrivevano pienamente la stravaganza e la forte personalità dell’eterna ragazza al passo con i tempi che vive con serenità il passare degli anni. Figlia di altri tempi si dice spaventata dall’impazzare della tecnologia e suggerisce di trovare il proprio stile compiendo un lavoro di introspezione e non di superficiale emulazione; di non stare a soffermasi sul valore estrinseco dei capi, restituendo una certa dignità alla moda, all’essenza della stessa, colta da una donna che ne ha fatto il centro della sua vita per oltre 70 anni.

Lunedì, 25 Maggio 2015 12:43

Non chiamatela tuta

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E nemmeno salopette (anche se è altamente probabile la troverete chiamata così ovunque).

Quelli che hanno conoscenza da vendere nel settore la chiamano jumpsuit. Non è che sia proprio una novità di stagione ma è indubbio che tutte le nuove collezioni ne hanno almeno una. Un vero pezzo jolly che non esclude nessuno ma dà il meglio di sé sui soggetti alti, la cui taglia importa il giusto.

E guarda un po’, vengo a sapere che le origini della tuta sono proprio di una mente che aveva pensato ad un capo destinato all’alta moda. L’ideatore è stato Ernesto Michahelles, in arte Thayaht. Eclettico artista attivo sin dal primo movimento futurista, nel 1919 lancia l’idea di un vestito maschile dal taglio essenziale, con tasche e cintura. Comodo, da tutti i giorni.

Il mondo borghese del tempo non accettò di buon grado l’innovazione e la tuta venne relegata al mondo operaio. Thayaht, comunque, collaborò attivamente con l’atelier parigino di Madeleine Vionnet e, negli anni, la sua ricerca artistica abbraccia così tante volte lo studio per nuovi tessuti e abiti che oggi è considerato uno dei fautori della nascita dello stile made in Italy.

Così quello che da sempre è stato un capo destinato all’uso lavorativo adesso si trasforma in capo di tendenza. Tempo di serate all’aria aperta ma anche di cerimonie. In entrambe le occasioni, la tuta può essere il vostro passepartout. È nel suo essere vestirvi da capo a piedi e, come il suo inventore, è assolutamente eclettica. Sceglietela in lino o jersey per un’uscita informale oppure rivolgetevi alla seta se necessitate di un tocco più raffinato. Io le trovo deliziose per le cerimonie estive! Elegantissime quelle bimateriale, ovvero: pantalone e parte superiore differenti. Senz’altro non avrete problemi a trovarne in tinta unita – in giro ne ho viste soprattutto nere – quindi se non foste troppo fortunate nella possibilità di scelta è d’obbligo puntare sugli accessori, ma ormai sappiamo che questa è una regola applicabile a tutto!

Una scelta più vasta è offerta dal web. I principali siti di abbigliamento online ne hanno per tutti i gusti e le esigenze e devo dire che sono piuttosto scrupolosi anche nella guida delle taglie. Se poi riuscite a confrontarvi con i commenti di chi ha già acquistato il gioco è praticamente fatto.

Per vie traverse si inserisce nella categoria e ritorna in auge anche la classica salopette di jeans, soprattutto in versione maschile quindi più morbida e larga, e non c’è fashion blogger che si rispetti che non si sia fatta ritrarre con la sua bella salopette con maglietta bianca o a righe bianche e nere e Converse/Superga. Stop. Siete autorizzate ad andare oltre questa frontiera ma non lo siete a sentirvi così fashion da azzardarvi a stupire gli invitati con questo outfit al matrimonio della vostra migliore amica!!!

Non è mai tutto oro quel che luccica! Posso confermare una certa scomodità in caso di impellenze fisiologiche che, a meno che non vi troviate in un luogo “igienicamente sicuro”, potrebbero dare vita a brutte scene… Fatevi coraggio, è solo questione di un po’ di giochi di prestigio! E questo spiega perché lo trovi un capo inaccessibile in inverno: pensate a quanti strati dovrei togliere!! Ma scomodità relativa a parte, è un abito versatile, a prova di imprevisto dell’ultimo minuto e, inaspettatamente, si porta dietro un bel pezzo di storia della moda…

Fossi in voi una nell’armadio la terrei…

And the mantra goes on… Esorcizziamo il clima pseudo natalizio focalizzando la nostra attenzione su tutto ciò che bisogna assolutamente avere per la stagione delle braccia e delle gambe al vento. E se fino a pochi giorni fa eravamo ancora indecisi sulla fine da far fare ai nostri maglioni, oltreoceano si svolgeva - ed è tutt'ora in svolgimento - il Coachella Valley Festival! Il raduno dedicato alla musica e alle arti che muove cifre da capogiro ogni seconda metà di aprile in California. Partito un po’ in sordina nel 1999, dopo 15 edizioni (nel 2000 stop) diventa un appuntamento anche glamour. Inevitabili i confronti con il capostipite del genere Woodstock, anche se ne perde l’essenza e immagino come i nostalgici possano inorridire di fronte a tale paragone perdendosi in un’oasi di negozi, campeggi super organizzati e aree vip. Certo la musica. Quella rimane e gli artisti succedutisi nei vari anni non fanno rimpiangere ciò che è stato…

Bando alle ciance. Così come nell’agosto del 1969 si eresse una grossa colonna nel tempio dello stile, il Coachella fa del suo meglio, non si smentisce e rende omaggio al tempio prendendo in prestito molti spunti cosicché ci ritroviamo a scorrere gallerie fotografiche sovrapponibili. La famosissima catena di abbigliamento low cost H&M rende omaggio all’evento con una collezione tutta seventies di frange, fiori e impalpabili e ampi capi ricchi di colore. Se non avesse provveduto il brand svedese, per la bella stagione certo non avremmo avuto problemi di reperibilità perché dalla scia dei tessuti a fiori che però possono vestire anche occasioni più formali, parte tutto un altro filone di ispirazione hippy.

Ricreate il vostro Coachella per le strade delle città!

Che vogliate optare per uno short in jeans tagliato a vivo o per un maxi abito morbido e fluttuante, immancabile sarà la borsa a secchiello avendo anche la possibilità di scegliere sia tra l’high cost che tra marchi più alla portata, in ogni colore e dimensione. Al nostro scopo suggerirei una sempre verde pelle (o finta) color cammello di media dimensione. Ai piedi più che delle zeppe spingerei a scegliere dei sandali rasi e Valentino, ad esempio, li propone alla schiava con delle delicate placche metalliche ai lati e sul dorso del piede: deliziosi e di Valentino, volete mettere?

Ma ogni sandalo minimal può fare al caso vostro. Gemme e sbrillocchi tanto in voga qualche estate fa potete conservarli per le cerimonie! Un po’ off topic in questo caso ma totalmente in linea con i trend di stagione le espadrillas! Avete presente le ciabattine in tela con la suola grezza in iuta? Quelle! Sono state rilanciate dal marchio originale che naviga l’onda del successo dovuto dalla considerazione che le case di moda gli hanno dedicato. E anche in questo caso libero sfogo a tessuti, colori e ampiezze di portafoglio! Sulla comodità e sulla freschezza non mi sento di garantire: non grandi ricordi di queste scarpe nella mia infanzia ma in un ventennio cambiano tante cose quindi sarà il caso di aggiornare le nostre valutazioni verso settembre. La parentesi ciabatta non vi faccia dimenticare il baluardo della freschezza podalica estiva: gli stivaletti. Bassi, morbidi, scamosciati e color sabbia. Non dovete sapere altro.

Il Coachella style accoglie di buon grado tutto ciò che incarna lo stile hippy insaporito da un q.b. di gusto chic. Infine, una coroncina di fiori tra i capelli al vento sarà il vostro biglietto da visita su un top con le frange, ampi pantaloni svolazzanti e colorati o un abito di pizzo bianco.

Non si esce vivi dagli anni ’70.

Da sempre moda e bellezza viaggiano a braccetto e difficilmente nelle loro più alte manifestazioni l’una non si serve delle competenze dell’altra. Se per la prima aspettiamo le fashion week sparse nelle città del mondo, senza dubbio per la seconda il punto di riferimento principale di tutti coloro che le gravitano attorno per professione o per passione è il Cosmoprof.

L’evento è giunto alla sua 48ma edizione in Italia e trova da sempre la sua sede nel quartiere fieristico di Bologna più o meno tra fine Marzo e inizio Aprile, quest’anno dal 20 al 23 Marzo. Una città sempre piuttosto tranquilla che nei quattro giorni di Fiera assiste ad un delirio di gente e mezzi di trasporto e vede salire i prezzi degli alberghi alle stelle. Nel caso in cui voleste festeggiare l’arrivo della primavera nel capoluogo emiliano un suggerimento potrebbe essere quello di guardare bene cosa c’è in programma in città… Tolto questo (che per alcuni rappresenta segni più nei registratori di cassa), il paese dei balocchi!

Migliaia e migliaia di mq al servizio della cosmesi: 2.493 espositori dei quali il 70% esteri che significa uno sguardo sul mercato mondiale a 360 gradi in un paese dove, per ragioni che mi risultano piuttosto oscure, viene importata una misera parte dell’universo cosmetico e quando – e se – arriva qualche novità, al di là dei confini nazionali è già da scaffale impolverato delle super offerte… Insomma, capirete bene quanta abbondanza agli occhi dei poveri visitatori italiani!

Come ogni grande manifestazione svoltasi negli ultimi mesi nel bel paese anche questa strizza l’occhio all’imminente Expo che non ha mancato di essere pubblicizzato in ogni stand. E va anche bene. Ci hanno risparmiato però la faccia da volantino Esselunga apparsa agli inizi che forse cozzava con il leitmotiv assoluto della Fiera: la bellezza.

Armata di ogni entusiasmo possibile e scarpe comode passo il primo giorno, il venerdì, a farmi capace di cosa c’è intorno a me, a cercare di non perdermi e a sconfiggere il senso di inferiorità nei confronti di hostess e modelle che a differenza di quanto si possa pensare non ostentavano la loro bellezza in maniera provocante ma composta e in un certo qual modo naturale, facendoci perdere anche la scusa della critica ai costumi e alla volgarità. A ciascuno il suo, poi. Come a tutte le cose ci si abitua e con il passare delle ore il focus è ritornato all’emozionante frenesia dei lavori del primo giorno di fiera. L’aspetto più incoraggiante di queste manifestazioni, di qualsiasi settore esse siano, è che il confronto avviene con persone competenti, vuoi spinte dalla vendita del loro prodotto o perché responsabili in prima persona della qualità di quest’ultimo. Un aspetto fondamentale che spesso viene fagocitato dalle dinamiche della grande distribuzione. È molto difficile trovare venditrici nelle catene di cosmetica che sappiano realmente cosa stanno proponendo cliente.

Al sabato mi muovo decisamente più spedita e i momenti di smarrimento del venerdì spariscono. I padiglioni sono divisi per settori che investono grosso modo capelli, profumeria e estetica dando grosso spazio al mondo onicologico. E per ognuno prodotti e macchinari specifici. Un padiglione dove ho passato gran parte del mio tempo è stato quello del “naturale” che raccoglieva sotto quest’aura non solo le aziende con prodotti ecobio (tanto di moda negli ultimi tempi) ma anche quelle che facevano del naturale il loro concept, introducendo nei loro cosmetici gran parte di ingredienti naturali. Ed è stato il padiglione dove ho potuto conoscere molte nuove realtà sia italiane che straniere. Il mio personale limite nei prodotti ecobio sono le profumazioni, spesso troppo erbose e pungenti quindi piuttosto preferisco scendere a compromessi con le formulazioni. Altre grandi soddisfazioni le ho travate nei padiglioni esteri, soprattutto nell’area greca scoprendomi grande amante dei prodotti a base di oliva e derivati. Poi sfilate dove naturalmente a rubare la scena erano scenografiche acconciature e dimostrazioni dal vivo di nuove tecniche massaggianti.

Domenica pausa.

Tante belle parole: ma sapete cosa davvero si va a fare tutti al Cosmoprof? I campioncini! Altro dramma della consumatrice media italiana e dover chiedere dei miseri pochi ml di prodotto alle sopracitate venditrici che quasi sistematicamente dopo avere visivamente accusato la sventurata di accattonaggio, aprono il cassetto delle meraviglie e le rifilano l’ultimo campione di dopobarba al pino silvestre! Capite bene su che livelli si viaggia. Non perché abbia visto grande generosità al visitatore medio (le porte si aprono solo nel momento in cui scandisci la parola magica blogger), ma almeno una qualche soddisfazione ce la si prende! E più si va avanti nei giorni più gli espositori sono ben disposti, dovendo trattenersi quanto più possibile per favorire eventuali distributori e grossi compratori; le fiere sono fatte soprattutto per questo. In ogni giorno di manifestazione è comunque quasi impossibile tornare a mani vuote anche non spendendo un centesimo.

Il vero Eldorado?? Il lunedì. Tolto il viaggio in autobus assalito da flotte di persone al termine del quale era davvero necessaria una seduta in qualche stand di una qualche spa! Mi era stato suggerito di equipaggiarmi di trolley ma vedendo i primi due giorni comunque sopportabili mantenendo un certo contegno, il trolley mi sembrava una scelta troppo sfacciata. Grosso sbaglio. Il lunedì, oltre a esserci molta più gente in quanto giornata di chiusura dei saloni, c’è lo svuota tutto degli stand che giustamente lasciano gli allestimenti immacolati i primi giorni ma che non hanno intenzione di ritornare a casa carichi e se in mattinata vendono a prezzi stracciati, verso ora di pranzo abbassano ancora di più l’offerta e nel pomeriggio regalano full size di prodotti anche solo facendo capolino nella loro area. Non tutti perché alcuni arrivano in fiera portandosi già un nome o un proprio stand di vendita che mantiene inalterati i prezzi (comunque convenienti) per tutti e quattro i giorni. Ma per la maggior parte (ad esempio nei padiglioni che vi nominavo prima, allestiti da aziende per lo più piccoline in cerca di visibilità) è così. Ore 17 le mie spalle chiedono pietà e il mio budget non è neanche lontanamente stato sforato.

Va bene. Non avremo i campioncini in profumeria e possiamo godere solo dello 0,1% dell’offerta cosmetica mondiale ma abbiamo il Cosmoprof! Collegate all’evento di Bologna, altre due manifestazioni per coprire la restante parte di pianeta: la 13ma edizione di Las Vegas dal 12 al 14 Luglio e la 20ma di Hong Kong dall’11 al 13 Novembre. Poi non dite che non vi avevo avvisati…

Anche per quest’anno ci siamo tolti l’ansia da prestazione da opinionisti del Festival di Sanremo che in tal senso, che dir se ne voglia, dà sempre tante soddisfazioni. Vincitori e vinti si alternano nelle loro dichiarazioni di stupore e di accettazione del verdetto e il presentatore si gode l’onda del successo di un programma con ascolti da record. Quel Carlo Conti che, senza dubbio, vince il premio eleganza: smoking Salvatore Ferragamo tutte e cinque le serate, raffinati e di classe come solo degli smoking ben portati sanno essere. L’essere totalmente a suo agio nella conduzione ha completato il tutto. L’affermazione è un po’ da rivedere per le due vallette principali, Arisa ed Emma.

In ordine alfabetico: Arisa ha giustificato le sue scelte per le serate dicendo che lei vive a Milano dove la concezione della moda è diversa dal resto d’Italia quindi, dico io, ha assorbito così tanto il fashion da poter osare in eccentricità? Buon dio, sei al Festival di Sanremo, non ad un flash mob in Piazza Duomo durante la fashion week!! A soddisfare il suo bisogno di distinguersi ci ha pensato lo stilista siciliano Daniele Carlotta (l’abito da sposa di Belen vi dice niente?) che ha vestito la Pippa (questo il suo cognome) con abiti a volte passabili come il sacco di raso e voile stretto in vita che almeno accentuava il decolleté generoso della cantante, che invece l’ha resa completamente sgraziata nell’abito di esordio rosso di chiffon dove le grazie se la viaggiavano allegramente con tanto di copricapezzolo in bella vista. Emma si è affidata alla sicurezza del prestigio dei Valentino, Dolce & Gabbana e Gucci ed è andata lei stessa a scegliere i vestiti nelle boutiques dove le commesse non è che siano state proprio brave nel loro lavoro… Il suo è stato un cammino in salita iniziato con degli abiti da bambola, come il minidress dorato Valentino della seconda (o terza) serata per arrivare a livelli della tunica plissettata bianca Luisa Beccaria che, complice un gran bel lavoro dei parrucchieri, le restituiva un po’ di grazia della quale la poverina è piuttosto carente. La grazia che la spagnola Rocio Munoz Morales (che non ricorderemo per l’espressività delle battute da copione con Conti, ma per l’appunto, sei valletta a Sanremo non candidata all’Oscar come migliore attrice) ha da vendere e che ha fatto cantare anche gli abiti Roberto Cavalli, Alberta Ferretti e Armani Privé. L’hanno chiamata appositamente per questo, è ovvio. E non venite a farmi notare che lei è una modella e le altre no perché non è assolutamente questo il discorso, non so se ci siamo capiti.

Tra ospiti e concorrenti, gli uomini hanno preso delle strade tortuose: Biagio Antonacci a 50 anni suonati senza calzini non si è capito cosa volesse dimostrare, Tiziano Ferro ha sfoggiato una giacchetta un tantinello stretta, Nek affetto da bipolarismo termico tra cappotti e t-shirt, Raf che non ne ha beccata una (ma poverino, stava male) e gli altri senza infamia e senza lode. Menzione d’onore per Alex Britti di ritorno da una vacanza caraibica a giudicare dal tono di pelle che faceva un tutt’uno con giacche e camicie. Ai margini di ogni considerazione socio-politica e canora – che davvero c’entrano poco in questo blog – Conchita Wurst ha tutta l’aria di essere un bel ragazzo che per carnevale si è divertito a curare i minimi dettagli del più inflazionato travestimento dei giovani in età appena post puberale, quando hanno la giusta consapevolezza di loro stessi, quando non corrono il rischio di essere fraintesi, insomma. Però bel vestito.

La parte femminile si è difesa come meglio ha potuto: Chiara ha valorizzato molto le forme non proprio da fotomodella con abiti Stella McCartney (concetto che avrebbero dovuto cogliere Arisa ed Emma) ma vorrei chiederle il perché di quelle zeppe; una sorpresa è stata la Tatangelo che ci ha abituati a look sempre troppo qualcosa e che, invece, in questo caso si è esibita sobria ed elegante; Irene Grandi eterna ragazzina ma ci sta, il personaggio è quello e i suoi 45 anni li difende benissimo. Complimenti alla fin’ora sconosciuta ai più Bianca Atzei che ha sfoggiato innanzitutto coulotte, messe in bella vista, sotto gonne di seta, splendide creazioni di Antonio Marras per il quale, però, confesso avere un debole.

Un Festival di apici e di rovinose cadute, spassosissimo da seguire live più sui socials che in TV che mantiene comunque sempre il suo fascino. Ah, continua la mia personale battaglia per rivendicare la presenza dei fiori sul palo e non solo in mano alle donne. Qualcuno mi ascolti!

Giovedì, 12 Febbraio 2015 16:54

#senoncelhainonseinessuno

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Venghino signori venghino!

Nonostante possiamo ancora farci scaldare il cuore dalla neve che più o meno è tornata a fare capolino, sarà il caso di iniziare a preparare il nostro guardaroba per la primavera che vogliamo sempre vedere bussare alle nostre porte. Inoltre, febbraio è corto ed è un attimo che i saldi sono finiti, indiscusso indice di inizio perlustrazione armadi.

Benché sia la prima sostenitrice dell’acquisto intelligente e “saldato” che può essere sfruttato anche per la stagione successiva, non posso sottovalutare il fascino che sortisce il capo appena arrivato e che se siamo fortunati non ha ancora assorbito gli odori dei corpi che vi si sono infilati dentro prima del nostro… Negli ultimi anni, poi, non è affatto difficile trovare in inverno maglie a maniche corte o pantaloni in tessuti tutt’altro che caldi ed è un disagio che le persone freddolose ad ogni costo subiscono. Rientro nella categoria e me ne faccio portavoce! Fatto sta che, per quel che mi riguarda, la maggior parte degli acquisti preventivi/scontati/intelligenti sono finiti declassati nel fondo degli armadi perché la maglietta acquistata a marzo e decisamente più bella di quella acquistata a gennaio!!!

Navigando per il tubo (per i profani sto parlando di youtube.com) mi sono imbattuta in un video di due simpatiche youtubers che hanno lanciato in maniera canzonatoria l’hashtag #senoncelhainonseinessuno, nel quale mostravano i must del momento che riguardavano un po’ tutto il lifestyle del periodo: dall’accessorio, alla tisana di grido (?!?!?). Potevamo sottrarci dallo stilare una lista di ciò che dovrebbe rappresentare la primavera 2015??

Iniziamo subito.

Si sono da poco concluse, a Parigi, le sfilate dell’Alta Moda Primavera Estate 2015, ma alta ALTA moda, ovvero le inarrivabili collezioni delle case di moda più blasonate dalle quali, a meno che non rimbalziate da una serata di gala all’altra, vengono sì molti stimoli con il rischio, però, di rimanere a digiuno per il vestire quotidiano. Sfilate dove eleganza e sobrietà hanno avuto la meglio – inutile che io stia a qui a decantarvi gli abiti da gran soirée di Armani e Valentino – ma dove di colori primaverili usuali se ne sono visti pochi. Fenomeno che rimane anche nel pret-a-porter (che sarebbe quello che ci riguarda a noialtri) dove colori come grigio, rosso e nero spopolano.

Duro a morire è il pizzo da accostare tranquillamente ai tessuti più casual per tutti i giorni con effetto mix & match da estendere senza timore anche nelle fantasie. Ovvero: non abbiate paura di mettere una gonna o dei pantaloni a fiori, a righe, quadrettati con una blusa con altrettanti o diversi richiami cromatici, purché la motivazione sia sempre il buon senso!! Bene. Il pitonato: il fatto che io sia reticente a questo tipo di tendenza non vuol dire che la sua presenza non sia un dato di fatto e io, per dovere di cronaca, ve lo accenno e fate finta che io non vi abbia detto niente ma Armani, Salvatore Ferragamo e Gucci ci mostrano abiti, soprattutto cappottini/trench, in fantasie rettili e chi siamo noi per giudicare?? Il buon senso di cui sopra vi accompagni sempre. Saranno contente le nostalgiche delle Charlie’s Angel perché sotto le luci della ribalta tornano i pantapalazzo che fanno da apripista alle stile anni’70 che si adagia sul jeans e sul color cammello, prevalentemente. Jeans che, inoltre, viene sdoganato – ma quello già da un po’, a dire il vero – anche nelle occasioni più formali

The last but not the least (anzi!), FIORI!! Di ogni colore, forma, genere, tessuto, dimensione, a rilievo, stampati per lo più, da portare come protagonisti principali o sapientemente accennati e, fiduciosa nel genere umano, difficilmente si riescono a fare degli errori madornali partendo da una base così completa di suo. Se proprio non sapete che pesci pigliare puntate su uno o più colori (ma meglio uno per non fare confusione) e girateci attorno con accessori ed eventualmente altri capi da abbinare ma non abbiate paura di osare.

E il Marsala? Preparate formaggi e pasticceria secca perché sembra che per ora ce lo gustiamo solo così.

 

Martedì, 13 Gennaio 2015 10:00

Un 2015 Curvy? Forse

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Per prepararci alle festività natalizie dell’anno scorso eravamo arrivati più o meno tempestati di borchie, con aggressivi teschi sistemati un po’ dovunque, però perfettamente capaci di alternarli a tenere renne di lana… A che punto siamo dopo un anno? Nel caso abbiate comprato capi di buona fattura spiacente di dirvi che sarebbe stato meglio che i vostri inserti a spuntoni fossero durati da Natale a Santo Stefano perché le borchie sono quasi tutte cadute e le renne giocano a carte con le tarme negli armadi!! Resta la lana, quella sì – certo, siamo in inverno! – ma nel filato si intravedono fili luminosi e pailettes che non devono essere necessariamente dimenticati dopo le follie della notte di Capodanno, anzi.

Cosa riserva l’anno nuovo? Per il momento la nostra vecchia conoscenza Pantone si è espressa presentando il colore del 2015 che è il frutto di un team di goderecci che dopo il color Sangria segue la scia alcolica e viene fuori con il color Marsala, che personalmente trovo bellissimo, un rosso caldo con punte di bordeaux definito “un rosso vino naturalmente terroso e intenso che arricchisce le nostre menti, i nostri corpi e le nostre anime”. Applausi. Poi tanto lo sappiamo tutti che in primavera andranno i toni pastello.

A metà strada tra glamour e arte ogni anno di questi tempi viene presentato il Calendario Pirelli, famoso per quanto esclusivo. Manifesto dei tempi che cambiano, nato a Londra nel 1964, The Cal, ha sempre avuto come forza motrice la voglia di trasmettere un messaggio estetico che al suo interno contenesse chiari segni culturali. Con le sue location ha fatto il giro del mondo e a dargli una forma i migliori artisti/fotografi di moda (Bruce Weber, Mario Testino, Karl Lagerfield, Anne Leibovitz…) che di anno in anno hanno contribuito a rendere il progetto sempre rappresentativo e iconico. Sulle pagine le top model storiche (nel 1987 è la sedicenne Naomi Campbell una delle protagoniste, fotografate da Terence Donovan, autore anche della prima edizione) affiancate da personalità prese dal mondo del cinema e della musica, e non solo donne. Da John Malkovich e Bono per l’edizione 1998 a Sophia Loren nel 2007 passando per Letitia Casta (unica a comparire per tutti i 12 mesi del calendario nel 2000), Ewan Mcgregor, Heidi Klum, Kate Moss e numerosi altri nomi. Sembra inoltre che per le modelle non vi sia un reale compenso ma un semplice rimborso spese, gloria e onore per essere apparse. Inutile dire che il calendario diventa oggetto di culto per il quale, dando una rapida occhiata su ebay, si può arrivare a spendere anche sui 500 euro!! E io che pensavo anche di più…

Quest’anno il messaggio forte da trasmettere è impersonato da Candice Huffine, immortalata da Steven Meisel. La modella americana 29enne ha in comune con le altre colleghe ben poco, se non un volto splendido: è, infatti, la prima modella curvy della storia del calendario. 90 kg di salute distribuiti su 180 cm di burrosità. La ragazza ha iniziato il suo percorso nel mondo della moda a 14 anni, supportata dalla mamma che nell’infanzia sembra che l’abbia preparata a 360° per un’eventuale carriera nello show biz. New York e una spiccata personalità hanno fatto il resto... Candice è un piccolo pesciolino nell’oceano di taglie 38 onnipresenti che ha alle spalle un bravissimo agente, passibile anche lei di ritocchi photoshop e da qui a parlare di rivoluzione culturale penso che ne passerà di tempo, ma anche questa volta il calendario ha perseguito l’obiettivo e allarga gli orizzonti.

L’anno scorso il calendario ha compiuto il mezzo secolo (nonostante gli anni 1975-1983 di stop) e a Milano si festeggia fino al 22 Febbraio 2015 con una mostra dedicata a Palazzo Reale, nel caso capitaste in zona…

Qualsiasi taglia portiate Buon Anno a voi tutti!!

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