"Nel mio Paese non finisce la guerra perché c'è da quando ero piccolo. Per 19 anni ho sempre visto guerra, guerra, guerra. Prima è arrivata la Russia a fare la guerra...non finisce la guerra". Sikandar ci lascia senza fiato quando gli chiediamo cosa ne pensa delle situazioni di conflitto in Afghanistan. E' normale? gli chiediamo. "Sì, è normale".
Sikandar viene dall'Afghanistan, ha 21 anni e un'aria timida ma adulta. Parla in italiano, ricorrendo di tanto in tanto all'interprete. Sta facendo grandi progressi con la lingua e ce ne accorgiamo anche noi, nei nostri due incontri. La sua lingua la usa per lo più per raccontarci del suo viaggio, del suo Paese, delle fasi più complicate della sua vita come se, una volta arrivato qui, le cose fossero diventate di colpo più semplici, anche da spiegare. Sikandar ha lasciato l'Afghanistan il 24 giugno del 2014, lì vive ancora la sua famiglia: tre fratelli e tre sorelle. Gli chiediamo se un giorno pensa di tornare nel suo Paese. "No".
L'Afghanistan
Dal 2001 ad aprile del 2015, secondo i dati del Costs of War Project, circa 92 mila persone (di cui 26 mila civili) hanno perso la vita nella guerra combattuta in Afghanistan.
Da gennaio del 2015 una nuova missione della Nato Resolute Support ha sostituito l'Isaf (International Security Assistance Force), con il compito di solo addestramento e assistenza dei vertici militari afghani. L'operazione prevede la permanenza, fino a dicembre del 2016, di 9.800 militari Usa (sottoposti alla sola giurisdizione americana) e di circa 1.600 uomini tra italiani e tedeschi, distribuiti presso le principali basi di Kabul, Bagram, Kandahar, Herat, Mazar-e-Sharif.(A sinistra l'infografica della missione Isaf in Afghanistan - Limes)
Nella notte del 3 ottobre, il centro traumatologico Medici Senza Frontiere a Kunduz è stato colpito più volte da pesanti bombardamenti da parte degli Stati Uniti. Si stima che le vittime siano state 42 tra volontari, pazienti e parenti.
Lo scorso novembre, la Norvegia ha acquistato spazi pubblicitari sui giornali in Afghanistan per chiedere agli afgani di non partire per Oslo. Il messaggio, intitolato "In Norvegia rafforzate le regole per l’immigrazione" e pubblicato in inglese e dari sulla prima pagina di due quotidiani afgani, spiega che le persone provenienti da aree sicure dell’Afganistan o in possesso di un permesso di soggiorno in un altro paese saranno espulse, se necessario con la forza.
Intanto proseguono a ritmo serrato gli attacchi dei talebani: il 31 maggio nella provincia settentrionale di Kunduz, un commando talebano ha attaccato alcuni autobus sequestrando decine di persone e uccidendone sedici. Neanche 48 ore dopo, il 2 giugno, nella vicina provincia di Sar-i-Pul, un minibus è stato bloccato e sono state sequestrate altre 17 persone.
La storia di Sikandar
Sikandar è in Italia da un anno. Adesso vive a Coppito (L'Aquila), studia con entusiasmo l'italiano e frequenta un corso da elettricista ma la strada percorsa fin qui è stata lunga e difficile. In Afghanistan ha iniziato a lavorare come cameriere all'età di dieci anni, e poi a quattordici come muratore. Viveva nella provincia di Laghman, in un paese "piccolo come Castel del Monte", il primo posto che lo ha ospitato nell'aquilano.
A costringerlo a lasciare il suo Paese è stato un "problema grande". Ci accenna alla guerra dei talebani con gli americani. "Qualcuno un giorno è arrivato a casa mia ma non ne posso parlare". Quel che è certo che è la sua vita era in pericolo e che i suoi familiari, nonostante tutto, sono stati contenti che sia riuscito a lasciare l'Afghanistan.
Verso l'Italia. "Dall'Afghanistan al confine dell'Iran ho camminato per 14 ore e poi ho preso un pullman per arrivare a Teheran. Da lì in auto e a piedi ho raggiunto la Turchia, in 24 giorni, dormendo nella foresta". In Turchia Sikandar resta un anno: voleva raggiungere l'Italia ma non aveva abbastanza soldi per affrontare il viaggio. Trova lavoro in una fabbrica di Istanbul, grazie ad alcuni amici afghani che vivevano lì e che avrebbero voluto raggungere l'Italia come lui. Alcuni ce l'hanno fatta, altri sono ancora lì. (A destra dei migranti in cammino - Foto Associated Press)
"La Turchia è molto bella, mi piace ma le persone sono molto cattive; ci ho lavorato un anno ed ho capito questa cosa. Anche perché sono 9 mesi che sono in Italia e ho visto che qui tutti sono persone per bene, non cattive come loro". Sikandar lavorava e dormiva all'interno della fabbrica, insieme ad altri suoi connazionali: di cento lavoratori, quindici erano afghani. "Per fortuna le persone che hanno lavorato con me sono state brave ma altri datori di lavoro erano molto furbi e cattivi. Tu lavoravi per loro ma quando gli chiedevi i soldi, loro ti dicevano vai via sennò chiamo la Polizia e ti arrestiamo".
Gli chiediamo cosa lo abbia spinto a lasciare la Turchia. "A Istanbul c'è una razza, si chiamano curdi e trattano molto male gli stranieri. Se ti incontravano di notte e gli davi i soldi ti lasciavano, altrimenti ti menavano con i coltelli o con le pistole. Una volta sono uscito con tre amici, ho incontrato dei curdi che avevano dei coltelli molto lunghi. Ci hanno chiesto dei soldi ma non li avevano e così abbiamo litigato. Un mio amico è stato ferito e siamo scappati".
Entrare in Bulgaria. "Ho parlato con una persona di un'agenzia che mi ha portato fino in Bulgaria, per 1500 euro. Eravamo venticinque persone: venti siriani, quattro afghani e una guida. Ci ha accompagnato fino al confine con la Serbia e sono scappato. Noi abbiamo camminato per 14 ore attraversando acqua e montagne fino al confine con la Bulgaria e poi con quattro ore di macchina siamo arrivati a Sofia. E' stato molto difficile perché pioveva ed era notte".
"La mattina dopo la Polizia della Bulgaria mi ha arrestato. Mi chiedevano dove avevo i documenti, però io non li avevo". Il carcere in Bulgaria era una struttura di quattro piani: al primo piano c'erano donne e bambini, poi c'erano i giovani e all'ultimo gli anziani. Sikandar è rimasto lì due mesi.
Nel 2014 il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura (CPT) ha "richiamato" le autorità bulgare a porre rimedio ad alcune criticità (come maltrattamenti, sovraffollamento e servizio sanitario) che da diversi anni si riscontrano nelle prigioni del Paese. [Il report completo]
"E' stato molto difficile. Eravamo venti o trenta persone in una stanza molto piccola; ho anche avuto una malattia per questo. Avevamo quattro bagni e quattro docce per duecento persone. La Polizia veniva una volta al giorno e poi chiudeva tutto. Siamo stati trattati molto male. Una volta avevo dei soldi nei pantaloni, la Polizia ha chiesto chi avesse i soldi e io ho mentito, dicendo di non averli. Quando l'hanno trovati mi hanno dato uno schiaffo che non scorderò mai nella mia vita".
Dopo c'è stato il trasferimento in un centro di prima accoglienza ma Sikandar, così come tanti altri, non avevano intenzione di restare lì, volevano andare in Europa. Scappato dal campo, ha dato 300 euro ad una persona che lo ha accompagnato, insieme ad altri quattro, in Serbia. Poi ha preso un pullman per Belgrado e dopo un giorno di cammino su una strada ferroviaria, è arrivato al confine con l'Ungheria. In Ungheria è rimasto venti giorni, prima di pagare una persona che, in otto ore di auto, lo portasse in Italia. (Nella foto in alto un bambino si riscalda accendendo un fuoco nel campo profughi di Harmanli, in Bulgaria - Foto di Dobrin Kashavelov per l’UNHCR-Bulgaria).
E' stato lasciato vicino Udine e da lì ha preso un treno per Trieste."Quando sono arrivato a Trieste, siamo andati in questura a fare domanda di asilo e ci hanno detto di ritornare quattro giorni dopo. Abbiamo aspettato in stazione, siamo tornati di nuovo in questura, ci hanno preso le impronte digitali e ci hanno detto che dovevano aspettare 10 o 15 giorni per avere una casa".
"Il 10 di giugno sono arrivato qui e da quando sono arrivata all'Aquila è andato tutto bene perché mi hanno aiutato molto". Sikandar ha abitato a Castel del Monte e poi è stato trasferito a Coppito, in un appartamento con altre sei persone: due afghani, un maliano e due africani.
Gli chiediamo cosa gli piace fare di più qui. "Studiare. Sono 11 mesi che ho studio l'italiano, prima non studiavo in Afghanistan ma adesso capisco tutto, so scrivere, leggere. Un po' sbaglio perché questa lingua è molto difficile, ha tante regole. Prima se qualcuno mi diceva scrivi il tuo nome io non sapevo come scrivere Sikandar, adesso capisco tutto".
La prima volta che lo abbiamo incontrato, Sikandar stava aspettando la risposta da parte della Commissione. Finalmente è arrivata, ed è positiva. "Ero molto preoccupato, quando ho ricevuto la risposta sono stato molto contento. L'ho detto anche alla mia famiglia ed anche loro sono stati contenti".
Una volta gli avevamo chiesto come avesse fatto a trovare ogni volta un contatto che lo potesse portare da un Paese all'altro. "Quando vuoi una cosa, questa ti arriva. Volevo arrivare in Italia e sono arrivato. Quando vuoi una cosa fai di tutto per averla".