Ma l'abito fa il monaco?

Ma l'abito fa il monaco? (37)

Come ogni anno l’azienda low cost d’abbigliamento svedese H&M si affida ad un nome altisonante della moda per la capsule collection che dà ufficialmente il benvenuto all’autunno. Collezioni che si lasciano alle spalle il low budget distintivo del brand proponendo dei capi che però, nonostante tutto, vanno in fumo in un baleno. Dopo colossi come Versace, Balmain, Cavalli, Jimmy Choo e altri, quest’anno si è voluto puntare su un nome sconosciuto ai più che evidentemente e giustamente non è passato inosservato ai 'capoccia': Erdem Moralioglu.

Ma chi è? Stilista dai natali canadesi nelle cui vene scorre sangue inglese e turco, classe 1977, cresciuto tra Montreal e Birmingham, si è formato a Londra dove nel 2003 si laurea al Royal College of Art; città in cui poi è rimasto per lanciare la sua linea oggi venduta nei maggiori grandi magazzini del mondo e nello store di punta nel quartiere Mayfair, aperto un paio di anni fa. In tutti questi anni non ha mancato di lavorare nei team di Vivienne Westwood e Diane von Fürstenberg, così, per dire.

Già noto alle celebrità, lo stilista canadese è da diversi anni che riempie le passerelle con le sue collezioni ricche di fiori, elementi che conserva e che utilizza in maniere sempre sobria e garbata, dando vita a composizioni dall’eleganza quasi senza tempo e mai oltre le righe. E la collezione per H&M rappresenta proprio questo, mentre per le scorse collaborazioni ho quasi avuto l’impressione che i brand volessero giocare ad uscire dagli schemi per creare pezzi da collezionisti, capi che magari nessuno avrebbe indossato serenamente ma che solo per il fatto di essere più accessibili del solito valessero lo sforzo economico. Da grande amante di scarpe, ad esempio, la collezione con Jimmy Choo è stata una grandissima delusione per me e non ho ceduto al fascino di possedere l’iconica calzatura ad un quinto del prezzo di boutique, seppure “sporcata” con il logo low cost, perché a mio modesto giudizio la linea da boutique non era rappresentata.

In questo caso c’è una coerenza percepibile tra quello che Erdem – che in questo caso si cimenta anche nei capi per maschietti – presenta nelle sfilate e quello che presta al marchio svedese; insieme danno vita ad una collezione bellissima e 'portabile' ricca di pizzi, fiori, seta, tagli retrò e capi basici a prezzi distanti da quelli che siamo soliti trovare nei negozi della catena, ma anche lontanissimi da quelli dei marchi d’alta moda. Come lui stesso ha dichiarato, questa collezione è un tuffo nella campagna inglese dei suoi viaggi da bambino e in effetti questi capi si portano dietro un fascino che mi viene difficile immaginare all’interno dei pochissimi e selezionati negozi nei quali gli abiti saranno in vendita (per tutti è online); tra l'altro, essendomi trovata a passare per sbaglio al lancio di una vecchia collaborazione qualche anno fa, mi chiedo anche come si riesca a conservare il tono sofisticato di ciò che si sta presentando. E non è un discorso snob il mio, tutt’altro.

Per Erdem questo è il primo tuffo nel vasto pubblico e il rischio che possa essere frainteso o non colto a pieno è dietro l’angolo e, detta fra noi, il fatto che la prima fortunata che capita possa riuscire ad accaparrarsi l’ultimo abito esposto senza sapere né perché né per come solo perché è lì un po’ mi fa indispettire - termine utilizzato per mantenere una certa eleganza.

Se da sola la linea non bastasse, per il lancio H&M ha chiamato il regista di Moulin Rouge e Il Grande Gatsby Baz Luhrmann il quale ha realizzato un poetico, romantico e misterioso cortometraggio dal titolo The Secret Life of Flowers, merita attenzione questo.

Nella scelta dell’argomento da trattare questa volta, sono stata in dubbio per un po’ di tempo perché poi questi post sembrano sempre delle sponsorizzazioni fatte appositamente – e io direi magari – e invece no. A me questa collaborazione ha colpito davvero per la bellezza in sé ma soprattutto perché mi ha dato la possibilità di conoscere un artista giovane e talentuoso. Abbiamo detto quando? A partire dal 2 novembre (e non credo per molto altro tempo ancora) in 220 negozi in tutto il mondo e on line, in Italia a Roma, Milano, Venezia e Firenze.

Ho giurato a me stessa di non dire mai più di soffrire il freddo e, di conseguenza, di amare le calde giornate estive. Con la forza della nostra mente facciamo finta che tutto quello che abbiamo passato nei giorni scorsi non sia mai successo.

Avete avuto la forzia di andare in giro per saldi? Faccio scendere dal podio Mary Poppins e siete diventati i miei nuovi beniamini.

Sembra però che il peggio sia passato e per chi si è votato al partito della mummificazione sotto lo sguardo di condizionatori e/o ventilatori non è tutto perduto: qualche scampoletto di saldo sarà rimasto anche per noi! Yay! Non per fare la parte di chi non ha abbastanza motivazione da sfidare anche i 40 e oltre Celsius ma io, come sapete, da sempre punto tutto all’ondata finale dei saldi per le grandi soddisfazioni. Se non c’è almeno un 60% non lo vogliamo. Dunque, infilate in maniera confusa e sconclusionata le ultime magliettine e gonnelline per i caldi residui, a cosa puntare per l’autunno che verrà? Cosa hanno presentato gli stilisti nelle ultime giornate della moda?

Duro a morire è il pizzo, sempre più in evidenza e sempre più indossato in ogni occasione, dalle colazioni in casa alle cene di gala, ma dopo tutto questo tempo dovreste aver preso piena confidenza con questo tessuto. Senza contare il fatto che anche se nei negozi dovessero tirare fuori capi di vecchie collezioni cadremmo comunque in piedi... Un’altra tendenza del prossimo autuno che si porta gli strascichi di un’estate giovane e divertente sono gli slogan su magliette e felpe – e non solo – a metà strada tra rapper consumato dalla vita del ghetto e manifestanti.

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Stesso discorso di cui sopra per la reperibilità a buon prezzo. Di media reperibilità sono i capi in tessuti stampati con soggetti diversi miscelati tra loro: volti, numeri, pubblicità anni ’60-’70 e architetture. Mi vorreste dire che quest’estate non vi siete procurati una camicia jeans? Bravi, siete a buon punto. Prendete confidenza con il tessuto ed entro l’inverno dovrete essere usciti almeno una volta in tenuta completamente denim, da cima a fondo. Non è difficile, su..

Ma immagino che esista anche qualche anima che di saldi non ne possa più e punti direttamente alle nuove collezioni e il compito in questo caso è decisamente più facilitato ma per non pescare a caso affascinati solo dalla freschezza di capi non indossati già centinaia di volte ecco a cosa mirare: lurex e tessuti laminati vi riporteranno alla luminosità del sole che risplende sul mare come l’immagine dell’ultimo aperitivo sulla spiaggia senza il fastidio della salsedine e della sabbia aggrappata anche in posti dove il sole solitamente non risplende. Tanto si è fatto e tanto si è detto per sdoganare un abbigliamento più informale negli ambienti di lavoro formali, fatto sta che non avere un tailleur gessato per questa stagione sembra impossibile, che voi lo usiate per l’ufficio o no non importa.

A braccetto con il gessato vanno anche i tessuti quadrettati stile college, utilizzati tanto nei tagli più classici quanto in maniera fantasiosa e insolita. La buonanima di Steve Jobs avrebbe da dissentire ma anche lui non sarebbe del tutto fuoriposto con il suo dolcevita, purchè messo sotto una camicia, lo dicono Calvin Klein e Howard del telefilm The Big Bang Theory. In sostanza un autunno dagli spunti poco fantasiosi, un po’ noioso a dire il vero, di quelli che non vi siete fatti prendere da pulizie selvagge degli armadi – MALE perché tutto torna – potreste anche rimandare la sessione shopping di due o tre mesi.

Al momento ho forti difficoltà a parlare di cappotti e pellicce quindi facciamo che fino ad ottobre novembre siamo vestiti, per allora ci sarà modo di lamentarsi del freddo e guarderemo ai montoni con occhi innamorati (spoiler alert)...

La stagione dei matrimoni è alle porte, croce e delizia, e se per qualcuno è motivo per rinnovare e arricchire l’armadio (disponibilità economiche permettendo) per altri è ragione d'angoscia!

Già da tempo - tramite internet - ero venuta a conoscenza di questa nuova concezione di “acquisto”, ovvero il noleggio abiti per occasioni speciali. Il servizio in questione è offerto dal sito drexcode.com, una boutique on-line dove noleggiare abiti da passerella delle più grandi maisons di moda. L’idea è nata dalle colleghe e amiche Federica Storace e Valeria Cambrea per ovviare al problema del “Cosa mi metto per questo evento? Spendo per acquistare un capo che poi utilizzo una volta sola?” laddove anche lo scambio tra amiche può diventare impossibile per differenza di taglia. Recuperati i finanziatori, le due imprenditrici dal 2014 hanno base a Milano dove la boutique c’è anche fisicamente e segue le stesse modalità del noleggio sul web, con la sola differenza della prova in camerino. Ma Milano è una e noi siamo tante e lontane, a volte lontanissime. Quindi come funziona?

Tanto per iniziare abbiamo a che fare con pezzi d’autore che in boutique volano sulle migliaia di euro e più o meno il prezzo del noleggio ruota attorno al 10% del valore. Bene, sfoglio la vasta galleria di proposte e penso di volerne noleggiare almeno 9/10, per vedere di nascosto l’effetto che fa... E invece no, facciamo che sono brava e ne scelgo solo uno. Ho scelto una gonna con applicazioni floreali di Blumarine, e c’è la mia taglia! Bingo! In caso di indecisione, se disponibile, la seconda taglia è gratuita. A questo punto posso decidere se procedere con la prova dell’abito o direttamente con il noleggio. Spesso e volentieri ci sono dei codici sconto e delle promozioni con prova gratuita. L’abito andrà ovviamente trattato con la massima cura. A prescidere dalla questione noleggio, credo che se sapessi di indossare un abito da migliaia di euro avrei timore anche a respirare, ma in ogni caso gli abiti sono tutti assicurati. Arriveranno a casa vostra in perfette condizioni e freschi di lavanderia. Sono tollerati dei piccoli incidenti di percorso purché il valore del danno non superi i 100 euro ma noi siamo signorine per bene, giusto? In fase di ordine, please, indicare quanto e se volete accorciare l’abito e verrà fatto un orlo temporaneo. Per ogni capo delle indicazioni di base sono fornite. Comunque per qualsiasi dubbio o richiesta aggiuntiva il servizio clienti è sempre a disposizione.

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Il noleggio può durare dai 4 giorni, perché si suggerisce di indicare un paio di giorni prima dell’evento, agli 8 se ci prendete gusto, e così come sarà arrivato a casa vostra, da casa vostra ripartirà. A quel punto fingersi disperse con il corriere nemico sarà una scelta personale. A vostro rischio e pericolo perché queste due tentatrici da qualche mese si sono inventate anche degli abbonamenti mensili per farci tornare: 29 euro con spese di spezione e assicurazione sempre gratuite, con 39 a questo si aggiunge un noleggio al mese e con 129 euro se riuscite a non mandare in pappa il cervello tra arrivi e resi, potreste avere un abito super griffato da indossare ogni giorno. E se avete così tante occasioni che richiedono abiti d’alta moda avete tutta la mia sincera invidia.

Insomma un servizio che promette essere rivoluzionario, al passo con le tendenze stagionali e che va man mano aggiungendo nomi altisonanti all’offerta. In più al noleggio si aggiunge la normale vendita di abiti sia nuovi che usati garantiti fortemente scontati, fino all’80%.

Il primo dubbio che mi è sorto approcciandomi a questa nuova concezione di fruizione della moda è il senso del possesso che è insito in chi ama fortemente questo mondo perché indossare sì ma il capo è anche collezione, quindi il far perdere le proprie tracce è sempre una carta da giocarsi eventualmente. Scherzi a parte, questo è un progetto che mi ha colpita da subito, anticrisi e antisprechi e che mette il mondo dell’alta moda sotto una nuova luce: accessibile a tutti e che si rinnova per ogni donna che indossa quell’abito, lo fa suo anche solo per giorno arricchendolo secondo la sua personalità e che arriverà alla donna successiva quasi impreziosito per aver fatto sentire speciale chi l’ha indossato la volta prima. Ho aspettato così tanto a parlarne perché mi avrebbe fatto piacere andare a verificare di persona di cosa si trattasse, fare quattro chiacchiere con le ideatrici e, perché no, provare l’ebrezza di indossare quegli abiti che non sono proprio il primo straccetto che si raccoglie dall’armadio ma rischio di farci perdere un’altra stagione da matrimoni.

Disclaimer. Giuro che nessuno mi ha ricompensata in nessun modo per questo post ma nel caso ho giust’appunto visto un Alberta Ferretti per un matrimonio a Luglio che...

Con un'insolita bagarre su chi avesse devoluto parti di compenso a cosa, si è concluso il 67mo Festival della canzone italiana; che se ne dica, anche per quest'anno Carlo Conti ha tenuto incollati davanti alla tv circa 10 milioni di spettatori a serata e la sua sostanziosa pagnotta se l'è pure guadagnata. Come si guadagna applausi e consensi dal versante modaiolo per aver sciorinato, serata dopo serata, delle mise una più elegante dell'altra. Ma se il presentatore uomo non è stato una sorpesa confermando, come per le edizioni precedenti, la firma di Salvatore Ferragamo, grosso punto interrogativo per la sua co-conduttrice, l'austera Maria De Filippi che non sbaglia un colpo, tolto lo scivolone della seconda serata col cardigan al ginocchio home wear con pizzo a vista dallo scollo (mise di quando hai la febbre e deve venire il dottore a visitarti che mica ti puoi far trovare col pigiamone): elegante, sobria e soprattutto coerente con l'immagine che vuol dare di sè. Mi è sembrata in sostanza a suo agio anche se di solito tende ad essere molto più casual. Bravo Riccardo Tisci che saluta la maison Givenchy con queste ultime creazioni e brava Maria che gli ha reso giustizia.

Bene i presentatori ma i concorrenti e gli ospiti? Liquidiamo subito la questione ospitate stendendo un triste velo pietoso su Alvaro Soler e Keanu Reeves, evidentemente arrivati a Sanremo con la scusa di una cena di classe delle medie in Italia. Arrivati all'Ariston, i due - sprovveduti nel bagaglio a mano - si sono ritrovati soltanto con l'olio per sistemare la barba, e l'attore statunitense, preso dal panico, se l'è persino messa sui capelli! Non ammetto altre spiegazioni.

Gli altri, belli e bravi; Zucchero è stato solo un buco nero, per qualche minuto abbiamo perso la linea e hanno mandato in onda uno speciale sul Carnevale di Venezia.

Per quanto riguarda i concorrenti eliminati, inizia ad insinuarsi in me il dubbio che Giusy Ferreri con Raige e Giulia Luzi siano stati fatti fuori giusto per non vedere cos'altro avrebbero potuto indossare. Michele Bravi e Lodovica Comello hanno tenuto a rimarcare il fatto che loro sono gggiovani: alla signorina in Vivetta, però, qualcuno dovrebbe dire che il tempo delle produzioni Disney è passato e puoi essere fresca quanto vuoi ma un attimino di contegno te lo devi pure dare. Meglio il giovane vincitore del talent che almeno ci ha provato – almeno fino alle scarpe – con Emporio Armani. In sostanza pure loro presi dallo stesso trip di Alvaro e Keanu, solo che i ragazzi avevano la festa dell'ultimo anno di superiori.

Marco Masini li rincorre a passi da gigante; Francesco Gabbani ha vinto, per sua fortuna si è ritrovato ad una competizione canora ed è stato giudicato per la sua musica che se a qualcuno fosse venuto in mente di fare una media tra come si è presentato e quello che ha cantato, sabato sera invece di festeggiare sarebbe andato a bersi il crodino col gorilla che si è portato sul palco, come nella famosa pubblicità. Ha fatto bene ad inchinarsi alla Mannoia che, invece, gli avrebbe fatto scacco matto stando a questi nostri parametri, perfettamente vestita da Antonio Grimaldi. Perfetta come Paola Turci in pantalone tutte le sere, le prime con giacca portata (avvitata o più morbida) solo con intimo o a nudo, e nell'ultima serata con tuta Stella McCartney nera, semplice ed efficace.

Se tutto il resto non è propriamente noia, si allinea in modo piacevole al contesto con alti e bassi, direi quasi fisiologici, non è possibile che non ci sia una stella cometa che indichi la strada. La stella cometa è Bianca Atzei. Ormai, il nostro livello di confidenza mi permette di confessarvi che la mia visione del Festival è stata pilotata, nonchè motivata, dalle sue apparizioni sul palco. Dove la direzione scenografica non arriva a raccogliere le mie cicliche e annuali lamentele fioristiche, arriva lei che - con un passo - riempie tutto lo schermo. Se non fosse per chi la veste, non saprei neanche chi è la Atzei: senza dubbio, devo riconoscerle il fatto di avermi fatto innamorare di quello che oggi è uno dei miei stilisti preferiti, Antonio Marras, di Alghero, classe 1961.

È stato lui a riportarmi i fiori sul palco dell'Ariston attraverso i meravigliosi abiti indossati dalla cantante anch'essa di origini sarde; dal primo bianco e nero con un mix di soffici tessuti, passando per il crema dell'abito lungo della terza serata, chiudendo di nuovo con il nero tempestato di fiori dai colori vivaci che, a voler essere onesti, non so quanto potesse essere azzeccato per la serata conclusiva ma la mia obiettività si è rifugiata altrove. Direttore artistico della maison Kenzo fino al 2011, Antonio Marras colpisce con le sue creazioni piene di una bellezza quasi senza tempo, inserendovi dettagli mai banali e accostando tessuti e stili diversi che rendono i capi quasi delle opere d'arte, sfera assai cara allo stilista della quale si nutre continuamente; stilista che, nonostante la fama e i successi, resta ancorato alla terra dove vive e dove fa maturare il suo percorso creativo.

Grazie dei fiori Signor Marras, so che il mio appello da qualcuno è stato raccolto e il mio vincitore quest'anno è lei.

Lunedì, 06 Febbraio 2017 16:17

Il verde ci salverà!

di

Accantonato l’anno bisestile? Reduci da un gennaio che sembra durato quanto un’era geologica, ci si aprono davanti orrizzonti di rinnovamento o di nuovi inizi a contatto con l’elemento naturale rinvigorente e fortificante, come un respiro profondo in un’oasi verde. Nel caso foste assaliti da questo dubbio, la risposta e no: non mi sono rifugiata in meditazione con gli ultimi indigeni dell’Amazzonia.

Come il mio ruolo impone, non faccio altro che riportare la proposta salvifica che l’ormai celeberrima azienda Pantone propone per questo 2017: Greenery! A gusti personali, a caldo e con serenità, posso affermare che abbiamo vissuto annate migliori ma se dagli Stati Uniti pensano che una botta di verde possa essere notevolmente d’aiuto per combattere il male di vivere che dolcemente accompagna i nostri risvegli perché mettere limiti?

Greenery dunque è il colore del 2017, un verde acido che prende cangianze dal giallo e che “evoca i primi giorni di primavera, quando il verde della natura rivive e si rinnova”. Non vi sentite già carichi ed empatici col cactus spinoso delle vostre scrivanie? Perché, nel caso non l’avessi ancora detto, dobbiamo avere tutti dei cactus sulle scrivanie, fa figo e punto.

Ah, se potessi ondeggiare su un’altalena, atterrare in maniera leggiadra su un prato e respirare greenery ovunque...

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Una volta tornata al grigio cemento delle strade mi accordo che questo verdino viene ad inserirsi nel nostro mondo fashion proprio come un’essenza superiore, perché stavolta il signor Pantone e i signori stilisti non devono aver discusso molto, oppure lo hanno fatto senza arrivare ad un accordo. Passerelle e vetrine conservano in maniera massiccia il tema dell’elemento naturale con fiori a profusione ma il verde lo rilegano solo ad un funzionale fogliame dei loro tessuti; noi che siamo attenti conoscitori e fruitori, però, prendiamo questi elementi esattamente come un rafforzamento della forza intrinseca di questo verde depurante. Greenery state of mind, insomma.

Se adocchiate qualche verdino – che tanto spicca facilmente – fossi in voi me lo porterei a casa, perché a questo punto ne farei anche un discorso anti-sfiga: a voler pensare al quotidiano, però, primi fra tutti - come detto prima - fiori e ancora fiori e considerando che ce li portiamo ininterrottamente da almeno dodici mesi questo dovrebbe essere compito facile.

Ad essere onesti, il colore al quale puntare assolutamente sarebbe il giallo, ma è chiaro come il verde debba essere conservato nella sfera aulica... Lingerie vedononvedo alternata a capi monospalla potrebbero essere il vostro passepartout per inizire a far rivedere la luce del sole alla vostra pelle, abbinati ai continuativi - pure loro - pantaloni palazzo crop (tagliati alla caviglia). Per resistere all’arietta avvolgetevi da maxi capispalla con maniche cut-out ovvero tagliate ad arte lungo le braccia ad accompagnare i movimenti del corpo. Non lesinate sul bianco per abiti e camicie, preferibilmente con spalle tondeggianti.

Una moda comoda sdoganata ai pezzi prettamente sportivi ammessi anche al di fuori delle quattro mura sudate delle palestre, e tendenza confermata anche dai tacchi delle scarpe quadrati, più o meno alti e i cui confini, ahimè, a volte trasbordano dal limite del tallone. Mi auguro che almeno siano davvero, ma davvero, comodi. Accattatevillo, i saldi invernali sono solo a metà del loro percorso ma sono già sulla via della fagocitazione da parte delle nuove collezioni.

Siamo all’inizio, stay strong e che la forza del greenery sia con voi!!

È successo due o tre settimane fa che un ambizioso progetto astronomico invadesse le prime pagine dei giornali a causa di una sonda schiantatasi su Marte.

Oltre a far buttare orecchi e occhi, seppure in maniera superficiale, a questioni scientifiche intorno a noi, a mia madre ha richiamato alla mente un nome altisonante della storia della moda del quale – qui un pubblico mea culpa – non avevo mai sentito parlare: Elsa Schiaparelli, nipote del famoso astronomo Giovanni dal quale la sonda ha preso il nome.

Elsa Schiaparelli, classe 1890, non è stata solo una stilista di inizio secolo. Elsa Schiaparelli è stata una rivoluzionaria nel modo di concepire la moda, è stata una delle promotrici del cambiamento sociale femminile attraverso l’estetica e la consapevolezza.

Ma procediamo con ordine. Figlia dell’aristocrazia piemontese, questa ragazza non è esattamente quella che si potrebbe definire una figlia del popolo: da parte di madre e padre, zii, nonni e avi, fin da giovane riceve stimoli ben lontani da quelli ricevuti dalla maggior parte delle sue coetanee. Abbandonata le velleità da palcoscenico - ambizioni non consone ad una giovane donna del suo rango - all’età di 21 anni, pubblica delle poesie dalle sfumature osè ritenute disonorevoli per la famiglia che la confina in un convento in Svizzera. Nell’arco di un decennio Elsa vive a Londra, si sposa e si trasferisce a New York e mette al mondo una bimba che crescerà sola a causa dell’insuccesso del suo matrimonio. Nel periodo newyorkese la Shiaparelli assapora il fermento artistico di quegli anni entrando nella cerchia dei maggiori esponenti dell’avanguardia dadaista come Man Ray e Marcel Duchamp. Nei primi anni 20 la non ancora stilista ritorna in Europa, a Parigi, ospite nientepopodimenoche della famiglia Picabia, tanto per rimanere connessi a ciò che era rimasto negli Stati Uniti.

A Parigi iniziano a delinearsi i contorni della filosofia Schiaparelli. Grazie alle innovazioni di Paul Poiret (altro avanguardista della moda del tempo) Elsa si tuffa a piè pari nel fermento parigino di stoffe e creazioni volte a vestire una donna libera dalle convezioni e dai corsetti del secolo da poco concluso. Una moda alla portata di tutti che però si opponeva ai tagli rigorosi di quella che allora era considerata la sua principale rivale Coco Chanel. Se con quest’ultima si divideva le clienti e il motore principe delle creazioni, le allontanavano il ceto sociale di origine e le soluzioni stilistiche: siamo negli anni ’30 e la maison Schiaparelli veste le donne in maniera colorata, sportiva, con cerniere e applicazioni fantasiose, zeppe e turbanti. Le influenze surrealiste e dadaiste sono manifeste nei suoi abiti e gli accostamenti sono coerentemente disturbanti. Iconico è l’abito Aragosta del 1937 in collaborazione con Salvador Dalì. Famosa è la nuance del suo rosa shocking, sdoganato anche per l’abbigliamento quotidiano.

Ed è anche a lei che dobbiamo l’attuale concetto di sfilata: è stata la prima a portare in passerella donne alte e magre dal fisico androgino che, a suo dire, esaltavano meglio le sue creazioni. Sarebbe cuorioso confrontarsi con lei adesso, in tempi di orgoglio curvy, fatto sta che un secolo fa l’idea era shockante tanto quanto il suo rosa e l’abito scheletro, sempre con Dalì! L’arte al servizio del genio, e viceversa. Ancora oggi la maison continua a persevare con l’elaganza composta ma non scontata del colore e non cancella l’impronta frivola, bizzarra e non convenzionale della sua fondatrice.

Durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale la stilista si reca di nuovo a New York ma al suo ritorno Parigi è cambiata: la guerra ha modificato i connotati alla società e, di conseguenza alla moda, che nel frattempo ha eletto Christian Dior suo principe quindi nel 1954 Schiaparelli torna alle origini ritirandosi e scrivendo la sua biografia Shocking Life all’interno della quale racconta la sua vita anticonformista e parla alle donne.

E' lì che stila i 12 comandamenti della donna moderna:

  • Le donne conoscono poco di sé stesse e dovrebbero sforzarsi di conoscersi meglio.
  • Una donna che compra un vestito costoso e lo modifica, spesso con risultati disastrosi, è una scialacquatrice e una folle.
  • La maggior parte delle donne (e degli uomini) non vede i colori. Dovrebbe chiedere consiglio.
  • Ricordate: il venti per cento delle donne ha un complesso di inferiorità. Il settanta per cento coltiva illusioni.
  • Il novanta per cento ha paura di essere appariscenti e di quello che dice la gente, così compra un abito grigio. Dovrebbero osare ad essere diverse.
  • Le donne dovrebbero imparare a fidarsi dei consigli di persone esperte e competenti.
  • Dovrebbero scegliere i vestiti sole o in compagnia di un uomo.
  • Non dovrebbero mai fare acquisti insieme a un'altra donna, che a volte consciamente e spesso inconsciamente è portata ad essere gelosa.
  • Dovrebbero comprare poche cose e solo le migliori o le più economiche.
  • Non adattare mai il vestito al corpo, ma abituare il corpo a adattarsi al vestito.
  • Una donna dovrebbe fare la maggior parte dei suoi acquisti in un unico posto dove è conosciuta e rispettata, senza precipitarsi qua e là a provare ogni nuova moda.
  • E dovrebbe pagare i suoi conti.

Così parlava e pensava 60 anni fa la rivoluzionaria Schiaparelli facendo il sunto della sua esistenza. Anche se dal canto suo lo shopping al femminile è da evitare, un giretto insieme a questa marziana della moda me lo sarei fatto più che volentieri...

 

Eppure sembrava ieri che mente, corpo e sensi erano in brodo di giuggiole per gli imminenti saldi estivi. Ma come diceva il saggio tutte le cose belle prima o poi finiscono e in questi primi giorni d’autunno ciò che può far tornare la ragione sono le Fashion Week in giro per il mondo che ci riportano pensieri a tessuti e colori che sanno di fresco per la prossima primavera/estate (di cui probabilmente ci saremo già dimenticati quando sarà arrivato il momenti di indossarli).

A fremere, in queste ore, sono le passerelle milanesi di casa nostra, quindi mi tocca fare abbastanza in fretta, tra un’ora Prada mi ha riservato un posto in prima fila per il suo show! Per voi tutti, invece, c’è lo streaming sul sito della Camera Nazionale della Moda Italiana. Potrei al massimo fare un ciao composto tra i flash... Che poi, come si andrà vestiti ad una sfilata? La decenza generale vuole che si vada vestiti in maniera consona ad un evento: impossibile mettere un capo oggetto dell’evento altrimenti le modelle che sfilano a fare?; rimanere nel tema della stagione e indossare un P/E 2016 neanche da prendere in cosiderazione, sarebbe come indossare un costume d’epoca; la soluzione sarà sicuramente cercare di essere più trendy possibile per la stagione in corso, ma quella dell’ambiente esterno.

Allora, come dovremmo vestirci quest’autunno? Per la città e nel caso in cui doveste recuperare un invito per qualche sfilata, ovviamente. Rimangono dove li avevamo lasciati i colori autunnali per eccellenza ai quali si aggiungono delle nuances pastello e, con mio sommo piacere, il giallo che non rimane fermo all’ocra ma si fa anche più chiaro e brillante, tranquillamente abbinato a colori più tenui. Il momento della camiciabiancaufficio è tornato e diventa passepartout anche davanti ad un bicchiere di vino con gli amici. Senza fare drastici cambi di stagione rimangono anche i fiori della stagione appena passata e se avete puntato tutto su tessuti leggeri e svolazzanti pazientate un attimo e tra qualche riga avrete la soluzione per i gradi che non sono più quelli di quando i sopracitati fiori li avevate nelle buste.

Stupiamoci tutti piacevolmente dal fatto che sembra che per i primi cali di temperature ci lascino essere al passo senza dover dimostrare a nessuno che la sensazione di freddo è uno state of mind per gente debole. Udite tutti la parola cardigan e declinatela a vostro piacere nel modo più avvolgente e caldo al quale la vostra immaginazione riesca ad arrivare, ma non solo. Oltre che stare caldi nelle situazioni informali non si dovrà scandalizzare nessuno se utilizzerete il vostro cardigan anche a completamento di un outfit più elegante, certo con una dovuta selezione di tessuti e colori. E non è finita.

Gli anni ’90 sono tornati! Sentite che la gioia sale di fronte al grande ritorno del velluto, tessuto che ricopre ruoli per lo più importanti ma che si adatta ai tempi svolgendo anche bassa manovalanza quotidiana. C’è da dire, però, che comunque il massimo lo otterrete su vestiti, scarpe e borse. Va bene tutto easy e tranquillo ma state pur sempre cercando qualcosa da mettere per una sfilata! 90210 non è un numero a caso e per molti non può rimanere indifferente: l’ultimo decennio dello scorso secolo oltre a regalarci pietre miliari della telefilmografia ci ricorda anche leggendari chiodi di pelle neri da riesumare con orgoglio, e non solo quelli a bomber che più o meno abbiamo sfoggiato negli anni passati. Proprio il chiodo di Dylan McKay che sulla sua moto cercava di destreggiarsi tra quella buona donna di Kelly e quella povera incompresa di Brenda. Parentesi pregna di risentimento questa ma che evoca bene lo stile di cui parlo.

Prendetevi le rivincite sulle Kelly di tutto il mondo con il chiodo sulle spalle!

Quest’anno lo faccio. Se lo scorso anno ho temporeggiato credo che la moda tutta mi abbia aspettato e che io sia pronta ad accogliere degli stivali cuissard (quelli al ginocchio o anche più su). Unica accortezza per me e per tutti dovrebbe essere quella che l’altezza (non di tacco) dello stivale sia inversamente proporzionale alla nostra statura. Purtroppo questo è un accessorio che male si adatta sotto il metro e sessanta o giù di lì ma non disperate perchè mantengono la posizione anche i sandali con il calzettone e con quelli andiamo tutte lisce come l’olio, con brio. Godetevi il vostro autunno e le vostre sfilate, dite che vi mando io. Però che non andiate in giro dicendo che avete letto qui di mettere il maglione da casa verdone di lana merino mangiato dalle tarme sopra quel delizioso abitino di pizzo rosa per il matrimonio di vostra cugina!

Anche se a pensarci bene...

È nel momento in cui si viene a conoscenza di certi personaggi che il mondo della moda si colora di nuove sfumature a discapito dello spiacevole alone che spesso lo contorna.

Costantemente all’avanguardia, innamorata tanto del suo sapersi reiventare quanto dei suoi cappelli, Anna Piaggi è la protagonista di un docufilm della regista Alina Marazzi presentato durante l’ultima edizione del Biografilm - da poco conclusa a Bologna - a quasi quattro anni dalla scomparsa di questa fashion icon.

Ma chi è questa eccentrica e colorata signora amica dei geni della moda e contesa nelle sfilate delle fashion week di tutto il mondo? Milanese, classe 1931 – anni che per la moda in italiana si riveleranno essere fecondi di talenti – e con una famiglia immersa nel mondo del gruppo Rinascente, Anna Piaggi muove i primi passi della sua formazione professionale in Mondadori e in men che non si dica si consacra giornalista di punta e di riferimento nelle maggiori testate del tempo fino a dare vita lei stessa a riviste specializzate di moda (che per prima ha riempito di reportage nei dietro le quinte delle sfilate, tanto per dirne una) o a inserti come D.P. Doppie Pagine di Anna Piaggi nel 1988 su Vogue, diventate pagine cult del giornalismo di settore.

Oltre alla forte necessità di dare una svolta sulla carta stampata, la signora Piaggi è fenomeno di se stessa: ogni sua apparizione diventa una performance artistica condita di uno straordinario senso dello humor. Una collezione sterminata di abiti e accessori la rendono un’opera d’arte itinerante, quella stessa arte da cui lei stessa prende costantemente ispirazione. C’è chi l’ha definita un’archeologa della moda. Anna Piaggi sfida le convenzioni, esce dal confine del corpo per contaminare lo spazio accostando stili, epoche, culture, colori e forme inconsuete. Per tutta la sua vita, questa donna ha fatto della ricerca e dello studio dell’estetica la sua missione.

Karl Lagerfeld, oltre a vantare un’amicizia decennale con la giornalista, le dedica un libro Anna-cronique al quale lei collabora, e la definisce come colei che “inventava la moda e nel vestirsi sapeva automaticamente quello che noi avremmo fatto domani”.

Frase non del tutto campata in aria non solo perché uscita dalla bocca dell’attuale capo esecutivo dei disegnatori di Chanel, ma perché realmente Anna Piaggi 50 anni fa, azzarda in quello che sarebbe diventato oggi un segno di stile, una raffinata ricercatezza, un esercizio di gusto di non facile esecuzione: il vintage, quando non aveva questo nome e quando il pensiero di vestire “usato” avrebbe fatto inorridire chiunque. Lei lo porta in passerella, non da modella ma da spettatrice. Ogni sfilata che si rispettasse la vedeva seduta in prima fila.

Se volete un esempio del vero concetto di vintage sfogliate una gallery e lasciatevi trascinare dall’eccezionalità di questo catalizzatore. Forse anche prima che le protagoniste di Sex and the City fossero nate, vive il mondo con ai piedi le inconfondibili calzature del suo grande amico Manolo Blahnik, la ciocca blu davanti all’occhio destro – meraviglioso errore del suo parrucchiere – e sculture fatte cappello.

Talmente unica da essere fonte di ispirazione ma non replicabile.
Una figura illuminante. Emblema di chi la moda la segue con passione e ne riesce a cogliere soprattutto l’aspetto comunicativo più che quello esclusivo e lussuoso.

Seppur con un’incidenza che non può essere scambiata per regolarità, che non si dica che non mi rivolgo mai ad un pubblico maschile. E non avrei mai pensato che l’ispirazione potesse arrivare girovagando per i padiglioni del Cosmoprof: ricordate quando accennavo alla sezione dedicata ai barbuti? Gli stand per Barber Shop erano numerosi ma soprattutto stilosi!

La gioia di vedere il ritorno di un mestiere dei tempi che furono fa posto alla constatazione che tale ritorno altro non fa che rispondere ad una tendenza ben definita, una cultura, anche lei ereditata dal passato, che abbraccia musica, moda, cibo, letteratura… e baffi e barba!

Siamo negli Stati Uniti poco prima della Seconda Guerra Mondiale e sulla scena sociale viene a connotarsi una subcultura che trae le sue origini, nonché controversa etimologia, dal mondo della musica Jazz: ecco i primi Hipster della storia. Tra un hop (da oppio) e un hep (amanti del jazz), gli stimoli della ripresa del dopoguerra infervorano anche questo movimento che si riconosce nell’anticonformismo, nella consapevolezza dei suoi appartenenti scettici verso istituzioni e regole, non per questo disfattisti e demolitori. Tutt’altro. L’hisper è come se viaggiasse ad un livello più alto ed è illuminato dalle proprie passioni e dalla propria cultura che investe, in maniera composta, anche sfumature scabrose e non convenzionali. Un’assoluta evoluzione dello stile di vita bohémienne.

Charlie Parker, Bing Crosby e Jack Kerouac sono alcuni degli esponenti. Corsi e ricorsi storici, la cultura hipster non si esime dalla tradizione e negli ultimi anni torna, si alimenta della globalizzazione e diventa virale, epidemica!

Può un fenomeno del genere non riconoscersi sotto un abbigliamento dai connotati precisi? Neanche a dirlo! Sebbene la questione riguardi entrambi i sessi c’è uno spiccato interesse verso l’universo maschile, probabilmente perché difficilmente riesce ad omologarsi in maniera così massiccia ed evidente. Nonostante per alcune caratteristiche avvicini molto i due sessi, quasi da annullarne le differenze, la moda hipster è altamente ricercata, non è una banale accozzaglia di capi di vestiario arraffati in saldo l’ultima mezz’ora prima delle chiusura e credo sia questa attenzione al dettaglio che la rende più sorprendente per l’immagine comune che abbiamo tutti del maschio medio.

Gli hipster (uomini e donne, quindi) indossano pantaloni skinny e scarpe basse, sneaker Converse o anfibi Dr Martens, maglioni oversize, come fuori misura gli sciarponi quando fa freddo, camicie a quadri e abitini colorati. Questi giovani – che se non sono artisti hanno senza dubbio un bagaglio culturale molto più pesante dei kg del loro corpo – amano scovare chicche nei mercatini vintage, sono dall’accessorio facile purché non banale, sono attenti all’ambiente che li circonda ma solitamente ipertecnologizzati. Ma più di tutto, sommati ad un abbigliamento che lascia poco spazio a fraintendimenti, cos’è davvero il marchio di fabbrica del maschietto hipster? Ma la barba! Anche solo i baffi vanno bene ma è necessario che siano curati.

Barbe rifinite e baffi in ordine sono ciò che distinguono il pelo del maschio medio di cui sopra, la cui non voglia di farsi la barba è celata dietro ad una scelta di stile… Un astuto imprenditore c’ha visto giusto e ha pensato di creare dei prodotti cosmetici ad hoc. Niente di nuovo dunque, se non fosse che Marco Balocchi la sua linea cosmetica l’ha chiamata Hipsteria, l’ha contenuta dentro un packaging accattivante e giovane e la distribuisce a prezzi accessibili senza dimenticarsi della qualità, perché ho avuto modo di far provare alcuni dei prodotti a uomini forniti di folta peluria facciale che ne sono rimasti entusiasti. Non contento ha arricchito la linea con papillon XL in seta a stampa Vichy (quadratini colorati e bianchi) cuciti a mano, perché odia i papillon che si “perdono sul collo”, e con cinture e portafogli in pelle, numerati, che fanno delle imprecisioni del materiale – nel caso presenti – il loro punto di forza, perché ogni oggetto sia unico. E tutto made in Italy, con nomi che richiamano le fondamenta della storia “hipsterica” e confezionato in barattoli simil zuppa Campbell.

È al Cosmoprof che ho avuto il piacere di vedere soprattutto l’entusiasmo e di apprezzarne lo spirito perfettamente espresso da una brochure/tabellone di gioco del monopoli – Hipsteropoly, per l’appunto – con i prodotti (e prezzi) del brand nelle caselline. Anche il sito hipsteriaitalia.it merita una visita. Carica di energia e di seguaci convinti, ma soprattutto come abbiamo detto, consapevoli, la cultura hipster divide le folle tra sostenitori ed haters (i promotori della lotta al risvoltino ai pantaloni, ad esempio), i quali spesso e volentieri ne fanno propri degli accenti di stile, loro malgrado. Io mi schiero tra i simpatizzanti moderati e non posso fare altro che rendere giustizia all’energia di un fenomeno che di nuovo lascerà un segno importante nella storia della società.

In questi giorni soccombiamo alla dipartita dei saldi stagionali.

Gli angolini dei negozi, via via più ridotti, sui quali campeggiavano le scritte del cuore “-50%, -70%”, o anche più, ci danno l’arrivederci. Se voi come me, vi sentite un po’ orfani, amici di sventura, altro non possiamo fare che scacciare queste brutte sensazioni che coviamo buttandoci con positività verso le nuove collezioni. Sarà che poi ho fatto così tanti affari durante questi due mesi… vabbè, non pensiamoci più.

Quale training migliore che quello di dare una sbirciata alla proposta Pantone per questo 2016? Sorpresa! La proposta di quest’anno si sdoppia per dare vita ad una coppia di colori convenzionalmente e socialmente contrapposti, oggi si inseriti in un discorso che parte dall’equilibro fisico e mentale fino alla parità di genere. Ecco a voi Rose Quartz (un rosa caldo e delicato) e Serenity (un azzurro cielo). Il richiamo alla questione sociale mi risulta un attimino stereotipata se collocata all’interno della dicotomia rosa/celeste ma il Sig. Pantone si occupa di colori non di filosofia, e se nel vostro palazzo nascono femminucce o maschietti non vedrete mai un fiocco giallo o verde appeso al portone quindi alla fine dei conti tutto fila. Nel caso trovaste entrambi i fiocchi nel vostro palazzo vivono o due neonati gemelli o dei genitori molto cool!

Ma non possiamo passare l’intera stagione a vestirci come dei bimbi con il grembiulino dell’asilo, quindi se proprio non potete fare a meno di seguire i dettami dell’industria del colore il rosa e l’azzurrino metteteveli in testa! Ebbene sì. Di gran moda i “capelli Pantone” e non a ciocche – per carità – ma proprio tutta la testa, al massimo, se l’azzardo vi può sembrare giustamente esagerato, solo le punte. Ma diciamoci la verità, non tutti abbiamo il giusto brio per portare con disinvoltura tali chiome…

E allora quali saranno i trend dei prossimi per essere al passo evitando, però, il passaggio dal parrucchiere? Le settimane della moda appena concluse ci hanno rivelato cosa diventerà indispensabile nei nostri guardaroba il prossimo inverno ma io non ho alcuna intenzione di concentrarmi un giorno di più su lana, peli, pellicce e loro derivati. Ho bisogno di qualche mese di fisiologica tregua. Seguendo la scia dei sentimenti suscitati dalle sopracitate nuances, le parole chiave saranno morbidezza, candore e impalpabilità.

Primo alleato fra tutti che meglio rappresenta queste caratteristiche è il bianco non più portato come l’anno scorso a supporto di un look che si buttava più sul sto partendo per un safari in Jeep: del safari conserva solo le ampie camicie il cui lino/cotone fa posto a tessuti più morbidi come la seta. Il brivido di immaginarsi ad un passo dall’essere sbranati da un leone tornerà senz’altro, non abbiate timore. Ancora.

Nel caso la prova costume non fosse un appuntamento già abbastanza stressante, ad alzare il tiro ci pensano i micro shorts piazzati ovunque, in ogni occasione (informale, of course) e, per fortuna, destinati solo ad un ristrettissimo pubblico di persone che devono far conciliare schede anagrafiche e ambientali rigidissime! La restante parte del mondo non rimane a bocca asciutta e può ritrovare la sua serenità alternando strisce di ispirazione marinara e trame jeans, più morbide se applicate a camice e gonne leggere.

I fiori stampati la scorsa primavera non vanno via ma sbocciano quasi nel vero senso del termine perché la moda di quest’anno li vuole in rilievo, applicati, dando vita a soprabiti e abiti fioriti. La vita continua al calar del sole e si ritorna alla morbidezza di capi impreziositi da ruches e che si fanno prestare dagli abiti dalla lingerie da notte validi spunti con canotte e sottovesti da utilizzare anche fuori le quattro mura domestiche. Così siamo subite pronte per buttarci nel letto dopo le notti folli, no? Shorts e capelli a parte, tutto perfettamente nei ranghi della portabilità e a scavare bene negli armadi c’è sempre qualcosina che può tornare attuale. A parte la camicia da notte…

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