Le campagne elettorali tra tecnica, cultura e società

Le campagne elettorali tra tecnica, cultura e società (5)

Venerdì, 29 Ottobre 2021 10:13

Democrazia al contrario

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La doppia emergenza, pandemia e politica, ha concesso di fatto pieni poteri al Presidente del Consiglio.

L’emergenza politica dipende da un risultato elettorale che ha distribuito le forze in campo in modo tale da non permettere maggioranze organiche: la legge elettorale immaginata per il bipolarismo, con l’effetto M5S, ci ha consegnato tre grandi raggruppamenti senza alcuna possibile stabilità di Governo.

La soluzione mi fa pensare a mister Wolf, quello cha arriva su un’auto in corsa ed inizia a dare serenamente istruzioni a tutti.

E così abbiamo visto il nascere di una democrazia al contrario: non è stato il Governo a presentarsi alle Camere, ma le Camere a presentarsi al Governo; la prima volta avvenne il 16 novembre 1922 ma, dinamica politica a parte, non ci sono altre similitudini. Il prestigio di Draghi a livello internazionale, l’autorevolezza e la capacità di decidere, ci hanno permesso di realizzare cose che sembravano scritte nel libro dei sogni.

Ed i partiti corrono a mettere la bandierina su ogni provvedimento che passa, non solo per la forza di chi lo propone ma per l’inconsistenza dimostrata dal Parlamento. Ma se questa situazione politica è appena democraticamente sopportabile se riferita ad un’emergenza, non lo è in prospettiva.

L’Italia post pandemia non sarà la stessa, l’Unione Europea è di fronte a scelte strategiche mai affrontate prima, la sfida Cina-USA è in corso e noi siamo fermi, spettatori passivi di un cambiamenti epocali, con un Parlamento e senza idee.

Quando mister Wolf avrà finito di risolvere problemi, noi saremo senza uno sguardo al futuro.

Oggi l’alternativa politica a Draghi non c’è e si tende a rinviare anche l’elezione del Presidente della Repubblica in uno stato di rassegnazione che ha delegato tutto. La politica deve svegliarsi e riprendere la sua funzione di guida per disegnare il nostro futuro.

Le elezioni amministrative hanno dato un primo timido segnale.

Correva l’anno 1991 e conobbi Stefano Rodotà.

Avevo conseguito da poco il master in Scienze della Comunicazione e fui invitato dalla direttrice didattica ad essere uno dei soci fondatori dell’Associazione di cultura della comunicazione che prese il nome di CORRENTI. Tra i fondatori, oltre a Stefano Rodotà, c’erano Federico Spantigati, Maurizio Costanzo, Piero Trupia, Umberto Eco, Giuseppe De Rita ed altri luminari di quel mondo che stavo conoscendo e che mi stava accettando e stimolando come giovane professionista.

Io ero affascinato e non mi perdevo mai un incontro, una lectio magistralis, un seminario. Registravo i dibattiti su un piccolo registratore a cassette e poi riascoltavo, sbobinavo e studiavo le loro citazioni sempre illuminanti. Ho un'intera sezione della mia biblioteca piena dei libri studiati a seguito delle loro citazioni.

Stefano Rodotà aveva un fascino austero insieme ad una straordinaria eleganza del linguaggio, sempre ricco e diretto. Ho rivalutato lo studio del latino: per capire bisogna ascoltare la frase fino in fondo. Ricordo un dibattito informale tra Rodotà e Spantigati (anche lui venuto a mancare alcuni anni or sono) sulla preghiera; secondo Spantigati la preghiera è un rito e ciascuno di noi sceglie il suo rito: lui aveva scelto la rassegna stampa di ogni mattina. Secondo Rodotà, invece, la preghiera ha un’accezione esclusivamente religiosa e, pur essendo un rito, deve essere ricondotta alla fede; per Spantigati, la fede non poteva che essere nell’informazione, per Rodotà credere nell’informazione non era un atto di fede.

Erano sempre d’accordo sul metodo, sul dibattito e sullo scambio serrato di opinioni, basato sull’ascolto attivo e ricco di citazioni: gli stimoli per me erano infiniti, non avrei voluto fare altro che studiare. Mai un giudizio personale ma sempre una domanda di approfondimento; la scoperta della maietutica e poi una mia desunzione dopo una giornata di studio: la scoperta della scuola situazionista con i riferimenti mai esplicitati a Gui Debord. Per me era come andare alla caccia del tesoro, un tesoro che trovavo ogni volta e che, ogni volta, mi dava le tracce per andare a cercarne un altro.

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In CORRENTI gettammo le basi per teorizzare la comunicazione attraverso il comportamento fino ad organizzare una giornata di studio con Paul Watzlawick che portò una testimonianza il cui ricordo mi emoziona ancora. L’etica vista come scelta culturale, come linea guida di coerenza tra immagine e comportamento, fu folgorante: era la chiave di lettura di ogni analisi di scenario, di ogni modello analitico di individuazione di tendenze, di previsioni.

Così venne fuori la lettura dei “periodi” storici in Italia. L’Italia cambia ogni vent’anni. Illuminante, pensateci, per ogni previsione futura. Era il 1991. Nel 1992 i noti eventi in cui fu chiaro che la pubblicità e l’immagine potevano essere utilizzati per nascondere i comportamenti (parlo di tangentopoli, tanto per inquadrare il periodo). Allora fu deciso di cambiare il nome dell’associazione in CORRENTI 1991 per evidenziare che l’importanza della coerenza tra immagine e comportamento era stata teorizzata da noi oltre un anno prima che la questione esplodesse in maniera così evidente.

In tutti quei dibattiti, profondi, ricchi, entusiasmanti, era spesso presente Stefano Rodotà ed era diffusa l’abitudine di ascoltare la teorizzazione dei “maestri” che, sempre, chiedevano a noi di presentare i nostri lavori. Tutti pretendavano di essere chiamati per nome. Sulla scuola del comportamento, presentai un lavoro basato sull’opportunità di creare un’alternativa alla globalizzazione mettendo in rete le identità locali. Non è glocal. Lo definimmo insieme “multilocale”; fu pubblicata da Franco Angeli.

Per me pensare a Stefano Rodotà significa pensare ad un intero mondo ricco di una ricchezza inestimabile, ricco di insegnamenti, di rigore, di coerenza, di studio, di analisi; ricco di quello sforzo mai sopito di capire fino in fondo con onestà intellettuale offerta, donata a tutti indistintamente senza mai chiedere null’altro che rispetto delle idee. Noi più giovani di quel gruppo non siamo stati capaci di continuare: qualcuno dice banalmente che sono cambiati i tempi, io credo più concretamente che le posizioni coerenti siano troppo costose.

Con Stefano Rodotà scompare un mondo, scompare il mondo in cui io sono cresciuto professionalmente ed in cui ho costruito le mie basi umane e culturali. Resto orfano di un padre culturale e, contemporaneamente, non posso che essere felice di aver avuto l’opportunità di conoscerlo. Il mio saluto a lui non può essere altro che grazie.

Primarie: politica o antipolitica? Il confronto serrato a cui abbiamo assistito è stato generato, come in nessun’altra città, dalla forza dei due candidati di gran lunga superiore alle indicazioni del partito; il PD non ha scelto ed ha lasciato liberi tutti generando una grande occasione di confronto su ipotesi di governo futuro.

Dalle prime indagini nazionali di orientamento politico, di fine anno scorso, sono emersi dati che davano in vantaggio il Movimento 5 Stelle sul PD, riferiti alla città dell’Aquila; ma, sappiamo, che un dato di orientamento cambia molto a livello locale quando si inseriscono i nomi dei candidati con i quali si attivano rapporti diretti. La partecipazione di oltre 10.000 cittadini (circa il 20% dei votanti) è un dato straordinario, ancor di più se paragonato ai 19 voti che hanno eletto il candidato del Movimento 5 stelle. Quindi partendo da una base di orientamento sostanzialmente paritaria, con il passare del tempo e l’avvicinarsi del voto, ogni evento incide su quel dato; con il solo evento delle primarie la tendenza si è invertita: PD in salita, M5S in discesa.

La differenza tra le elezioni politiche nazionali e le elezioni amministrative locali sta nella differenza del rapporto dell’elettore con il candidato, rapporto che può essere diretto o mediato. Maggiormente diretto nelle piccole comunità, maggiormente mediato nelle grandi città. Il rapporto mediato da terzi (televisioni, manifesti, web e social, telefonate) è un rapporto più labile pur avendo il vantaggio di essere attivabile più velocemente. Il rapporto diretto è quello costruito ogni giorno, fatto da strette di mano e confronti; per questo ci vuole molto tempo, anni, ma il rapporto che ne deriva è più forte e più radicato.

Questo è il motivo per cui politici navigati continano, e continueranno, ad ottenere preferenze con buna pace dei giovani di belle speranza che “surfano” sui social. Oggi è ancora così a livello locale, ma la tendenza nazionale è quella dei surfisti dei social (il surf è quello sport che consiste nel cavalcare l’onda dell’oceano stando in piedi ed in equilibrio precario su una tavola di legno; surfare sui social è una metafora .. ). Ecco perchè le elezioni amministrative in una grande città seguono maggiormente i canoni delle politiche nazionali; così come c’è chi si improvvisa e, all’ultimo momento, riempie la città di santini, i nostri computer di spam e ce lo troviamo su facebook quando non c’è mai stato. Opuure riceviamo telefonate improvvisamente da persone che non sentivamo da anni.

La prima grande distinzione da fare, quindi, per valutare un candidato, è tra apparenza e sostanza. E non intendo questi termini con un’accazione negativa, li intendo come caratteristiche e dobbiamo valutare se la campagna elettorale di ogni candidato è coerente con la sua storia, con il nostro modo di percepirlo. Allo stesso modo è il primo ragionamento che ogni candidato deva fare perchè questa sarà la prima valutazione a cui sarà sottoposto, spesso inconsapevolmente, dagli elettori; da tutti gli elettori, anche da quelli che non lo voteranno ma che parleranno di lui.

Naturalmente ogni candidato ha il suo elettore ideale: ci sono elettori che preferiscono l’apparenza e quelli che preferiscono la sostanza; sarebbe sbagliato presentarsi di persona a chi preferisce guardare gli spot e viceversa. Ogni candidato dovrebbe redigere un’analisi di base in due direzioni: nella direzione della percezione di se stesso (chi si presenta deve favorire la percezione che già esiste, non può modificarla a meno di sforzi immani e costi esorbitanti) e nella direzione della conoscenza degli approcci degli elettori in genere; tra questi capire quali sono i suoi elettori, il suo target.

Ma il vento dell’antipolitica (quello che fa le onde grandi su cui surfare) incide su questo ragionamento: meglio slogan affascinanti e veloci oppure meglio la descrizione delle esperienze fatte? Nel primo caso chiunque può cimentarsi, nel secondo caso la storia personale, la politica ed i risultati ottenuti sono determinanti. Questa è la differenza tra apparenza e sostanza. E’ una differenza profonda, palpabile, misurabile con dati e numeri.

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Proviamo a farci tre domande su un candidato, oppure, anche, a farle ai nostri amici: sai chi è ? lo vedi spesso ? che cosa ha fatto ? Ecco. Se alla terza domanda non c’è risposta vuol dire che il candidato, non avendo risultati spendibili, punta sull’apparenza, sull’immagine. E sarebbe un grande errore di comunicazione se, un candidato con risultati spendibili, puntasse sull’apparenza, perchè perderebbe un grande vantaggio competitivo.

Nelle primarie a L’Aquila abbiamo visto il confronto tra un passo possibile ed un momento giusto, entrambi messaggi molto evocativi e ben gestiti in termini di immagine, ma con la differenza che il primo evoca un’azione concreta (un passo) mentre il secondo evoca (insieme agli spot) una sensazione, un tempo, un ritmo. Il passo è coerente con le caratteristiche del candidato (concretezza) ed il secondo pure (immagine). Anche la struttura organizzativa delle due campagne è stata ben gestita: più concretezza l’una e più web e social l’altra.

Buon lavoro fatto da entrambi ma l’elettore cose vuole? Comunque, trattandosi di primarie locali con una grandissima mobilitazione, entrambi si sono rivolti al loro sistema di relazione diretto e consolidato (alle persone che conoscono) con poca influenza della parte mediatica sul risultato. Ha vinto il primo non solo perchè il contenuto del messaggio è stato coerente con la percezione del candidato ma anche perchè quel messaggio è stato ritenuto più utile al governo della città futura.

Quando si giudica efficace una campagna bisogna sempre specificare nei confronti di chi. E’ evidente che si sono rivolti ad elettori diversi.

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Quindi la questione è: quando un qualsiasi candidato si rivolge al suo sistema di relazioni lo fa ricordando i risultati ottenuti (descrivendo se stesso) oppure descrivendo altro e seguendo la moda? Ed il suo sistema di relazioni è consolidato da molto tempo oppure lo sta costruendo oggi per la prima volta? Da queste risposte può decidere se puntare su sostanza o apparenza.

Le parole sono pietre, più o meno pesanti: i termini più abusati (ne cito solo i due più diffusi: cambiare ed insieme) sono sempre utilizzati in modo indeterminato. Cambiare cosa? Insieme a chi? Il cambiamento fu invocato a gran voce da Berlusconi negli anni '90: ne abbiamo visto gli effetti. Perchè non si usano termini come esperienza, miglioramento o risultato? Perchè sono termini spesso non credibili se riferiti ad alcune persone. Chi non è esperto non può dire di esserlo e chi non ha raggiunto risultati nemmeno. La coerenza diventa determinante anche nel messaggio diretto. A meno che qualcuno sia così convinto dell’inutilità dei messaggi da avere il coraggio di scrivere qualsiasi cosa “tanto non è quello che conta” .... ed allora perchè lo scrive?

Quindi esistono almeno due tipi di campagna, entrambe coerenti ma sostenibili da candidati diversi: quella che descrive il candidato ed i suoi valori positivi da pubblicizzare verso elettori capaci di comprenderlo, e le campagne con messaggi vaghi da veicolare in maniera generalista verso chi non è in grado di affrontare argomenti complessi e preferisce la semplificazione populista, verso chi preferisce la promessa senza riuscire a discernere e capire se, chi promette, è in grado di mantenere. Ma non sempre la campagna viene gestita in maniera coerente coordinando il flusso messaggio-target, cioè indirizza un messaggio coerente con le caratterisitche del candidato, verso quell’ettore potenziale che gradisce quelle stesse caratteristiche. Se si sbaglia questo si perde tempo.

Un altro aspetto per comprendere qual è l’elettore di riferimento, che influisce quindi sulla gestione della campagna perchè aiuta il candidato a capire a chi può realisticamente chiedere il voto, è l’appartenenza. Che sia ideologica, oppure a reti di relazione, influisce in maniera determinante soprattutto nelle comunità locali; quando questo aspetto può essere certificato da fatti concreti (tessera di partito o frequantazione di un club ... ) questo fattore determina la diminuzione dell’influenza della campagna mediatica. Qinndi la campagna mediatica serva per mantenere uniti tutti i potenziali elettori che già si conoscono e per conquistarne nuovi da individuare nelle cosiddette “aree di contiguità”.

Chi si candida con la destra estrema non potrà cercare voti a sinistra, a meno che la sua condidatura non sia così populista da rivolgersi a chi crede che l’ideologia non esista. E non sto dicendo che esiste: dico che sceondo alcuni esiste e secondo altri no. Ogni candidato deve sapere cosa ne pensa il suo “elettore tipo”. Qundi, ogni candidato che è consapevole delle considerazioni precedenti organizza la campagna mediatica per attivare il ricordo con temi sintetici e facili da percepire, delegando la condivisione dei contenuti al rapporto personale o veicoltato in maniera differenziata.

La sintesi serve per attivare il ricordo: il logo. L’argomentazione di approfondimento serve per creare sintonia con l’elettore, serve per attivare la relazione. Basta vedere una stella a tre punte per pensare ad una autovettura comoda veloce e costosa; solo qualcuno ne riceve la newsletter a casa, mica tutti. Però tutti hanno una percezione coerente, anche se non la scelgono o non possono permettersela. In un manifesto da affiggere ai bordi di una strada non si può scrivere un programma elettorale perchè chi passa a 50Km/h non leggerà niente: bisogna mettere solo il logo e, poi, bisogna sapere a chi mandare il programma affinchè lo legga comodamente a casa.

Il senso di appartenenza si condivide attraverso argomentazioni, condivisione di interessi comuni e di visione del futuro Governo, diffusione dei buoni risultati ottenuti. Naturalmente solo per chi può farlo. Per gli altri c’è l’inevitabile sparare ad occhi chiusi su tutti e su tutto invocando un cambiamento di rotta senza sapere in che direzione andare. Ma ci sono elettori che vogliono questo pur di cambiare, ci sono elettori convinti che non possa andare peggio di come va. Quest’ultima considerazione rientra nella capacità di lettura della tendenza sociopolitica: chi sa individuarla per primo acquisisce un grande vantaggio su tutti.

Abbiamo avuto negli anni ’70 una tendenza verso il maggior potere di influenza delle classi operaie (coinciso con i boom economico) negli anni ’90 l’esplosione dell’immagine attraverso la televisione e la creazione di personaggi mediaticamente spendibili (Gardini, Briatore ... nani e ballerine) . Oggi quel è la tendenza? Chi la scopre vince. C’è il vento dell’antipolitica che, in assenza di cultura e di allenamento di democrazia, fa proseliti come un bicchier d’acqua nel deserto ... si, ma in cosa consiste e come si gestisce?

Una cosa è certa: l’Italia cambia ogni 20 anni. Dopo il fascismo, la DC, il PCI ed il consociativismo, la fine dei partiti ideologici a nascita di quelli personali con Berlusconi per primo; in quale ventennio ci troviamo oggi? Sono tutti durati 20 anni. Oggi sono più in voga i partiti personali, i poteri forti diventano persone opache ma influenti, la passione per l’uomo forte che risolve tutto prende gran parte della scena e la politica viene considerata responsabile di tutti i disastri passati. Il passaggio determinante, avvenuto negli anni ’90, è stato dai fatti incomprensibili gestiti nelle segrete stanze all’immagine personale e vincente esplosa attraverso le telvisioni. Messo da parte il comportamento reale dei nostri governanti, la società civile si è illusa di sapere tutto abbagliata dai fasti volutamente enfatizzati. Oggi però la televisione non è più determinante nella creazione delle opinioni politiche ed il web fornisce un supporto autogestito per avere informazioni; ma, ancora una volta, l’autorevolezza della fonte non è verificabile se non si ha la cultura sufficiente per discernere.

Ecco che, a livello locale, torna fortemente in campo la relazione ed il comportamento ... ed il web, forse importante per le politiche nazionali, diventa meno determinante a livello locale. Non inutile ma da usare con cura per non creare cortocircuiti o interferenze; in fondo è sempre e solo un mezzo (un media) che veicola un messaggio. Attenzione sempre alla differenza: il web diventa meno detrminante a livello locale, ma solo per quei candidati che hanno risultati da spendere ed esperienza da vendere; per gli altri, resta l’unica e sola possibilità.

La domanda da cui dipende la campagna elettorale è sempre la stessa: quale messaggio rivolto a chi? Sinteticamente sono necessarie:

  • Coerenza tra caratteristiche del candidato e messaggi utilizzati;
  • Coerenza tra messaggi utilizzati ed aspettative degli elettori a cui si rivolge;
  • Apparteneza ideologica;
  • Appartenenza a reti di relazione o Adesione alla tendenza sociopolitica.

Poi vince l’uno o l’altro ... tanto sappiamo che la previsione più difficile è immaginare cosa succederà.

Ora, tornando a L’Aquila, tutti i fattori di coerenza hanno influito anche nella composizione delle liste elettorali: ciascuno si è rivolto al suo bacino di utenza individuando le persone più rappresentative del propio elettorato; ma, rispetto alla situazione delle primarie, aumenta la complessità a causa del maggior numero di partecipanti alla competizione elettorale.

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E’ facile individuare i nomi dei candidati e le aree di influenza specifiche distinte incrociando caratteristiche ideologiche (destra e sinistra) con organizzazione sociale.

Si potrebbero incrociare altri parametri per verificare e confrontare come, ad esempio, cultura ed affari con partiti e società. Sarebbe interessante individuare i vuoti da colmare.

E’ evidente, da questo grafico e da altri, che ogni raggruppamento può erodere consensi ad aree limitrofe. Interessante e ben fatta la campagna di impatto di Pierluigi Biondi il quale, in maniera volutamenta autoironica definendosi un granello, punta sulla rottura: punta quindi sui quegli elettori che non sentono appartenenza di partito e che non gradiscono l’andamento delle cose. Il suo aumento di voti sarà proporzionale alla diminuzione dei voti del M5S. E’ anche evidente il grande vuoto a sinistra del PD nell’area dei partiti che, di fatto, sono confluiti o nelle liste di Carla Cimoroni, oppure nelle liste civiche della coalizione Vivendo L’Aquila; sarà un’area difficile da coinvolgere ma la continuità di tutte le liste civiche fornisce una chiara indicazione del dove bisogna erodere.

Altra competizione per prendere voti sarà tra le civiche interne alla coalizione ed esterne alla coalizione perchè si rivolgono alla stesso tipo di elettore (critico verso il PD locale) ma in modo differente: con un messaggio di Carla Cimoroni (cambia città, resta a L’Aquila) evoca distanza e discontinuità rispetto al PD ... anche qui il cambiamento evoca la rottura e strizza l’cchio al M5S (area appena contigua nella zona superiore del grafico). Le liste civiche in coalizione, invece, puntano sulla critica costruttiva e propongono un cambio di ottica nella continuità del Governo: non con il PD ma neanche contro il PD; possono acquisire consensi sia tra gli elettori storici del PD (ma attenzione a non parlarne troppo male perchè sono in coalizione) ma anche nell’area civica esterna alla coalizione.

In effetti, il grafico che ho proposto deve essere letto in maniera dinamica ed aggiornato spesso. Discorso particolare per il PD e la sua coalizione Vivendo L'Aquila (tre cerchi rossi): resta Pietrucci nella mappa (che attinge ad un’area del partito di sinistra) perchè molti candidati nella lista del PD fanno riferimento a lui mentre Di Benedetto resta autonomo (attinge ad un’area della società civile, anche non vicina politicamente al PD) avendo candidati che si riferiscono a lui sia all’interno delle liste civiche gestite direttamente che per alcuni consiglieri dello stesso PD. Altre liste civiche della coalizine attingono voti tra i critici del PD ed cittadini che non risonoscono un ruolo al partito ma vogliono partecipare.

La prima vera competizione è questa. Quanti consiglieri porterà ogni gruppo della coalizione? Il peso del PD nel futuro Consiglio Comunale sarà maggiore di quello delle liste civiche? E sarà come sarà suddiviso il numero dei consiglieri che si riferiscono a Pietrucci oppure a Di Benedetto oppure alle liste civiche? Da questo dipenderà la gestione del futuro Consiglio Comunale ed anche le prossime candidature, prima di tutte al Consiglio Regionale.

La responsabilità civile è sostanzialmente quella ordinaria disciplinata dal codice civile (art. 2043, responsabilità extra contrattuale) e riguarda i danni che la Pubblica Amministrazione può arrecare a terzi con cui entra in contatto nell'esercizio di funzioni pubbliche. E' regolata dall'art. 28 della Costituzione che stabilisce che i funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili di danni arrecati a terzi. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato o agli enti pubblici. La disposizione è stata intesa come affermatrice di una responsabilità solidale del dipendente e dell'ente pubblico, di modo che il terzo danneggiato può rivolgersi per il risarcimento indifferentemente o cumulativamente ai due responsabili. Sulla responsabilità civile indaga la Procura della Repubblica, e ne conosciamo i tempi, gli effetti e gli esiti.

Ma cosa succede se “il terzo danneggiato” è una collettività? Cosa succede se il danno è di tipo immateriale, inconscio, e se il danno influisce sulla perdita di opportunità connessa alla riduzione della qualità della vita, alla riduzione della percezione di sicurezza collettiva. Cosa succede se un’intervista oppure un comunicato provocano paura, o panico, verso una collettività intera?

Oltre alla responsabilità civile esiste un altro tipo di responsabilità: etica, immateriale, impalpabile. La definisco “responsabilità sociale”. La responsabilità sociale non è solo quella delle imprese, di quelle imprese che rispettano l’ambiente oltre il necessario obbligatorio, che sostengono l’economia dei territori su cui lavorano oltre il loro dovere contrattuale. La responsabilità sociale è anche quella che hanno i nostri amministratori in termini di qualità etica del rapporto con i cittadini, è quella che determina, ad esempio, la percezione della qualità dei Governi ed il grado di soddisfazione nei confronti dei Sindaci.

Ora molti attribuiscono questa responsabilità alla comunicazione ed ho bisogno di chiarire un aspetto che ritengo determinante: l’azione dell’esperto, o dell’amministratore consapevole, consiste nel determinare quali azioni siano rilevanti in termini di comunicazione, quali azioni siano determinanti per orientare i comportamenti individuali e collettivi; non consiste, come spesso si crede, nel solo interagire con gli organi di stampa per diffondere le opinioni di chi comanda. (Professione Comunicatore – F. Spantigati 1993)

Mi riferisco, ad esempio, alle popolazioni colpite dal sisma e dal maltempo in Centro Italia: il Presidente Mattarella ha dichiarato la sua vicinanza, ma poi ha visitato una scuola ed ha dichiarato che il futuro di quei territori sono i giovani; il Presidente Gentiloni ha seguito costantemente i tragici eventi da Berlino, ma poi ha ringraziato gli uomini della Pretezione Civile ed i volontari; l’ex Presidente Renzi ha dichiarato di aver stanziato milioni di euro ma le case prefabbricate ancora non ci sono e gli alberghi utilizzati per la prima accoglienza degli sfollati non vengono pagati; il piano per realizzare le stalle provvisorie per gli agricoltori in difficoltà procede lentamente mentre gli animali muoiono; il Presidente Errani ed il Presidente della Regione Abruzzo D’Alfonso non si sentono e non si vedono. Ma anche l’ENEL che, dopo giorni e giorni, finamente manda alcuni generatori di corrente, ma questi sono senza gasolio. Nel mentre i volontari lavorano in silenzio. Ottomila volontari.

Ma anche il Presidente Trump dichiara che l’America tornerà agli americani e poi taglia subito l’assistenza medica per i meno agiati, così come la Commissione Europea dichiara che un terremoto in Italia è come un terremoto in Europa, ma poi chiede immediatamente tre miliardi di ulteriore contribuzione all’Italia senza tener conto delle aumentate esigenze economiche del Governo a causa delle emergenze.

E’ fin troppo evidente la differenza tra l’immagine diffusa dai comunicati stampa ed il comportamento effettivo messo in atto.

Mi riferisco alla differenza tra quello che si dice e quello che si fa, ai bugiardi seriali consapevoli di promettere ciò che non saranno in grado di mantenere, a quella che, tecnicamente, si chiama "assenza di coerenza tra immagine e comportamento". Quanti ne abbiamo ... tanti. In casa nostra e fuori, nel giardino, in città, in Europa ed anche in America. Si è diffuso uno stile adottato in maniera uniforme: promettono sbandierandolo ai quattro venti e poi, per non dare modo di ricordare o verificare se hanno mantenuto la promessa precedente, fanno un'altra promessa ancora più mirabolante. Il comunicato stampa serve a diffondere le promesse mirabolanti ed a nascondere i comportamenti.

Altro esempio, in questo caso positivo, è Piercamillo Davigo: capace di descrivire in modo comprensibile a tutti la progressiva perdita della consapevolezza del bene pubblico nel nostro Paese, con rigore giuridico e immediata comprensibilità. Si rivolge a tutti coloro che si vogliono sentire pienamente cittadini di questo paese. Non fa promesse, non usa parolacce (strano vero?) e descrive in maniera semplice fatti norme ed implicazioni: ha un grande senso di resposabilità sociale, unito ad un comportamento etico e sempre coerente.

Con il termine comportamento mi riferisco a ciò che fanno tutti coloro i quali mettono in atto azioni meritevoli senza bisogno di leggi, senza bisogno di essere pagati, senza avere la necessità di farsi conoscere e di farlo sapere. E’ l’antitesi della politica spettacolarizzata di oggi, sono i cittadini attivi e solidali consci del loro ruolo sociale di partecipanti alle sorti di una collettività. Essere “di” una città o di una nazione presuppone un forte legame di reciprocità, significa essere proprietà di una collettività che esige.

E’ la differenza tra immagine e comportamento, tra il dire a tutti i costi pur di apparire ed il fare bene nell’interesse della collettività. E non ho scritto semplicemente fare. Non è sufficiente fare.

Leggiamo dal sito di Cittadinanza Attiva: “ ... l’articolo 118 della Costituzione riconosce l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale .... sulla base del principio di sussidiarietà.... “perché non accada ad altri”: il nostro ruolo è .......  agire per prevenire .... favorie il cambiamento della realtà, dei comportamenti ...  Siamo convinti che “fare i cittadini sia il modo migliore di esserlo”, cioè che l’azione dei cittadini consapevoli dei propri poteri e delle proprie responsabilità sia un modo per far crescere la nostra democrazia, tutelare i diritti e promuovere la cura quotidiana dei beni comuni.”

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I cittadini per tutelare i beni comuni ed essere proattivi non hanno bisogno di leggi, fanno e basta. Fanno bene nell’interesse della collettività. E non ho scritto semplicemente fare. Non è sufficiente fare.

Dove interviene la comunicazione? Un esperto in comunicazione può servire, secondo l’accezione più comune, a gestire i rapporti con la stampa e con i mass media, spesso serve, ripondendo agli ordini del capo, a nascondere i comportamenti ed a dissolvere la responsabilità. Fino ad ora abbiamo avuto esclusivamente "esperti" specializzati nel nascondere e dissolvere, nel dimostrare un’apparente presenza o vicinanza, nel dichiarare che “siamo vicini” oppure, peggio, nel dichiarare una cosa per acquisire consensi e poi farne immediatamente dopo una contraria senza farlo sapere. Spesso il rapporto con i giornalisti è orientato a far tacere alcuni aspetti amplificandone altri, rispettadno il solo punto di vista di chi paga o comanda. Ma questo non significa comunicare; significa mistificare, nascondere, gettare fumo oppure manipolare. E’ la spettacolarizzazione che nasconde i comportamenti.

In realtà ci siamo riferiti all’informazione, all’Uffico Stampa, alla semplice modalità di far sapere cosa si vuole ed a non far sapere cosa è meglio che non si sappia. Conosciamo lo stato e le classifiche internazionali sulla libertà di informazione in Italia.

La comunicazione è altro, baste leggere il dizionario Treccani e cercare il termine comunicazione: “... il rendere partecipe qualcuno di un contenuto ..... in un rapporto spesso privilegiato e interattivo ..... relazione complessa tra persone che istituisce tra di esse dipendenza, partecipazione e comprensione, unilaterali o reciproche .... Nelle scienze umane, sociali e del comportamento, è un processo di trasferimento dell’informazione contenuta in un segnale, attraverso un mezzo (canale), da un sistema (promotore) a un altro (recettore): in questo senso il segnale è dotato di significato e tale da poter provocare una reazione nel recettore”. 

Comunicare è un processo di trasferimento dell’informazione, è interagire e rendere partecipi, comunicare è un processo completo e complesso di cui l’informazione è una sola parte monodirezionale mentre la comunicazione prevede anche l’ascolto e crea interdipendenza. La Comunicazione ha un obiettivo che si misura in termini di modifica reciproca dei comportamenti di chi comunica: il sindaco che comunica con i cittadini ottiene una modifica dei comportamenti collettivi ed adegua le sue politiche in base alle esigenza della collettività. La comunicazione è relazione, è scelta di azioni capaci di modificare i comportamenti; la comunicazione è efficace se modifica i comportamenti  di chi ascolta (Paul Watzlawick)

L’esperto di comunicazione serve, quindi, a determinare scelte rilevanti in termini di comunicazione, serve a determinare comportamenti. Determina cosa è opportuno fare bene nell’interesse della collettività. E non ho scritto semplicemente fare. Non è sufficiente fare. Per questo dobbiamo pensare al comunicato stampa come uno degli elementi della comunicazione, ma anche alle azioni indotte dalle scelte politiche come elementi della stessa comunicazione; dobbiamo pensare all’intero processo di comunicazione.

Attraverso la comunicazione si determinano i comportamenti collettivi, le sensazioni e gli umori, le scelte sociali. Per evitare il parcheggio in alcune zone o si informano i cittadini spiegandone i motivi e chiedendo un corretto comportamento individuale per un vantaggio collettivo, oppure si fanno le multe. Si incide, in entrambi i casi, sui comportamenti. La multa diventa elemento di comunicazione: ti dico di non parcheggiare in una determinata zona. La differenza sta nella percezione dell’Ente da parte dei cittadini: impositore di gabelle o soggetto attento ai cittadini che siega e coinvolge?

Per questo l’assunzione di responsabilità sociale da parte degli amministratori è una scelta di comunicazione, è una scelta di comportamento efficace in termini di comunicazione.  Quale comportamento si vuole adottare e quale si vuole ottenere? Sapere ciò determina, ad esempio, il contenuto di un comunicato stampa.

Leggendo, ad esempio, il comunicato emanato dalla Commissione Grandi Rischi della Protezione Civile in merito alla difficile situazione sismica e metereologica verificatasi in Abruzzo a gennaio 2017, emerge che non c’è alcuna attenzione a questi aspetti: “Ad oggi non ci sono evidenze che la sequenza sismica sia in esaurimento. La Commissione identifica tre aree contigue alla faglia principale responsabile della sismicità in corso, che non hanno registrato terremoti recenti di grandi dimensioni e hanno il potenziale di produrre terremoti di elevata magnitudo (M6-7). Questi segmenti – localizzati rispettivamente sul proseguimento verso Nord e verso Sud della faglia del Monte Vettore-Gorzano e sul sistema di faglie che collega le aree già colpite dagli eventi di L’Aquila del 2009 e di Colfiorito del 1997 – rappresentano aree sorgente di possibili futuri terremoti. I recenti eventi hanno prodotto importanti episodi di fagliazione superficiale che ripropongono il problema della sicurezza delle infrastrutture critiche quali le grandi dighe”.

La stampa locale ha ripreso il comunicato denunciando il rischi del “big one” (terremoto distruttivo) e la possibilità di un effetto Vajont a causa del crollo della diga di Campotosto che si affaccia un una popolosa vallata. Non c’è da stupirsi se l’effetto ottenuto è quello di provocare paura collettiva: evacuazione di interi paesi e richieste di verifiche a di rassicuazioni per tutte le scuole del territorio.

Possiamo pensare che ciò sia voluto? No: di conseguenza dobbiamo pensare che chi ha scritto il comunicato non è consapevole del suo ruolo e non è consapevole della responsabilità che ha nei confronti della collettività, non è consapevole dei comportamenti conseguentemente generati.

Il vice capo Dipartimento della Protezione Civile a distanza di 24 ore, ha avuto esigenza di rettificare il comunicato stampa prima citato specificando che non esiste il rischio Vajont per la diga di Campotosto. Errori di comunicazione? No: sono errori di comportamento; si tratta di assenza di responsabilità connessa al ruolo, si tratta di essere incompetenti nella gestione dei rapporti con i cittadini e la collettività. E se la Protezione Civile non conosce come si comunica in caso di emergenza è gravissimo perchè la “protezione” non viene percepita ma disattesa. Ma perchè non si cambia il nome in Emergenza Civile? ... a proposito di coerenza. La protezione è prevenzione ma la nostra Protezione Civile non previene e non è neanche in grado di intervenire in emergenza però, la stampa ci dice che è la migliore del mondo.

L’obbligo di indossare le cinture di sicurezza non riduce il numero di incidenti stradali ma riduce la mortalità degli automobilisti coinvolti in incidenti stradali. L’uso di cinture ci protegge attraverso la prevenzione. La protezione si fa con la prevenzione, e la prevenzioni con leggi, e l’attuazione delle leggi si ottiene con i controlli e le sanzioni.

La paura dei cittadini è determinanta dalla scarsa fiducia sul futuro, dalla sfiducia generata a causa di informazioni tecniche troppo specialistiche ed incomprensibili, e soprattutto, dall’incapacità, verificata quotidianamente, di diffondere informazioni utili alla tutela collettiva. Non parliamo di “notizie rassicuranti” o di interpretazioni allarmanti: definisco informazioni utili alla tutela collettiva tutte quelle contenenti indirizzi di comportamento che possano dare modo a ciascuno di noi di tutelare la propria vita e quella dei propri figli.

Una diga è sicura oppure non lo è. Un edificio è sicuro oppure non lo è. La sicurezza è un valore imprescindibile. Qualsiasi edificio, e tantomeno una scuola, non può essere “agibile ma vulnerabile” oppure “la scuola, in altri termini, al momento risulta agibile ma in caso di una nuova forte scossa crollerebbe" oppure, ancora: “ per diminuire la vulnerabilità sismica di una scuola costerebbe più di dieci milioni di euro .. Ma a quel punto tanto vale abbatterlo e ricostruirlo, ammesso sempre che si trovino le risorse.” Le frasi virgolettate sono citazioni riprese da alcune dichiarazioni pubbliche.

Ma quanto vale la vita di centinaia di bambini? Quale genitore manderebbe un figlio in una scuola agibile ma sismicamente vulnerabile?
Anche in questo caso possiamo pensare che il panico derivato da una simile dichiarazione sia voluto? No: di conseguenza dobbiamo pensare che chi lo ha dichiarato non è consapevole del suo ruolo e non è consapevole della responsabilità che ha nei confronti della collettività, non è consapevole dei comportamenti conseguentemente generati. La cosiddetta agibilità è data da parametri come la salubrità, l’accessibilità, il funionamento degli impianti, la rispondenza della realizzazione architettonica a quei parametri ritenuti adeguati ad un dato utilizzo. Non tiene conto delle caratteristiche della struttura e della sua resistenza. Quindi una scuola può essere agibile “ai sensi di legge” anche se la sua struttura non garantisce di resistere ad una scossa di terremoto. Agibile ai sensi di legge.

Se la struttura crollasse in caso di sisma non ci sarebbe alcuna responsabilità civile (citata in premessa). Per questò è necessario pensare ed agire ben oltre le leggi, sia che siamo cittadini o che siamo amministratori: la responsabilità sociale è quella che si assume un Sindaco attuando una prevenzione che vada oltre la legge, guidata dal buon senso. Così come è quella che si assume un cittadino indossando la cintura di sicurezza. In Abruzzo ed in centro Italia il territorio è a rischio sismico, non è una novità. I cittadini non vogliono sapere che forse tra qualche giorno o tra qualche anno ci sarà una nuova scossa e che la scuola potrebbe crollare, ma vogliono sapere se le loro case, le loro scuole ed i loro uffici sono sicuri, se la città è pronta per assisterli nel caso di emergenza.

E’ giunto il momento di una grande assunzione di responsabilità da parte degli amministratori pubblici, una responsabilità individuale, soggettiva, personale che si trasformi in “responsabilità sociale”, che vada oltre ogni legge, oltre la responsabilità civile citata in premessa: responsabilità sociale guidata dal buon senso e scevra da calcoli economici o di convenienza politica immediata, guidata dall’interesse assoluto e prioritario del benessere della collettività.

Oggi abbiamo bisogno solo di amministratori in grado di assumersi la responsabilità sociale del proprio operato; non possiamo aspettare leggi speciali o norme specifiche. Oggi abbiamo bisogno di amministratori attivi e proattivi, di quelli che sanno fare bene nell’interesse della collettività. E non ho scritto semplicemente fare. Non è sufficiente fare. Nessuno impedisce oggi ai nostri amministratori, ad esempio, di redigere il fascicolo del fabbricato per le scuole pubbliche e per tutti gli edifici a fruizione collettiva. Le scuole frequentate dai nostri figli, ma ache gli ospedali ed i supermercati, oppure gli uffici e le fabbriche. Anche se non è obbligatorio.

Il fascicolo del fabbricato per tutti gli edifici a fruzione collettiva può essere redatto per iniziativa diretta da parte di chi amministra responsabilmente; non è sufficiente dichiararne l’importanza e non è sufficiente chiedere una legge nazionale: bisogna farlo, assumersi la responsabilità di redigere il fascicolo del fabbricato e non limitarsi ad aspettare che altri lo rendano obbligatorio. Non si delega ad altri la propria sicurezza. Il fascicolo del fabbricato diventa elemento di comunicazione: è comportamento coerente con la dichiarata volontà di tutela della sicurezza pubblica.

Così come è necesssario un vero piano di evacuazione e, soprattutto, è necessario che sia comunicato a tutti fino a quando tutti avranno la cosapevolezza di come funziona. Non basta che sia pubblicato nei meandri del sito di un qualsiasi Comune, incomprensibile se immaginiamo che deve essere utilizzato in un momento di panico: deve essere semplice e differenziato per zone urbane, deve contenere informazioni immediatamente fruibili sulla viabilità da percorrere senza che si creino ingorghi di traffico e sulle arre di sota che devono essere costantemente attrezzate. Ogni quartiere deve avere il suo piano di evaquazione anche se, come ci auguriamo tutti, non dovesse essere mai necessario. Deve essere stampato e consegnato in ogni casa, come il calendario della raccolta differenziata. Bisogna verificare che i cittadini imparino a comportarsi di conseguenza, bisogna insegnarlo nelle scuole, negli uffici e nei luoghi di lavoro.

Il piano di evacuazione diventa elemento di comunicazione: è comportamento coerente con la dichiarata volontà di tutela della sicurezza pubblica.
In termini di comunicazione efficace sarebbe diverso scrivere in un comunicato: “non possiamo escludere una nuova scossa sismica ma i nostri edifici rispondono a tutti i criteri di sicurezza sismica ed il piano di evacuazione è conosciuto da tutti voi ed è stato sperimentato attraverso esercitazioni che ne hanno dimostrato l’efficacia”. Individuare gli edifici che non rispondono a criteri di sicurezza, segnalarli e non utilizzarli fino alla ricostruzione, diventa elemento di comunicazione: è comportamento coerente con la dichiarata tutela della sicurezza pubblica. In Giappone i terremoti non solo non fanno vittime ma non spaventano nemmeno.

Ma è possibile che un Comune manda le multe a casa e se non ritiri la raccomandata ha la possibilità di arrivare al blocco amministrativo dell’autovettura ma, se non conosci il piano di evacuazione in caso di sisma, non se ne preoccupa minimamente?

Il Consigliere delegato alla Protezione Civile del Comune dell’Aquila (non parliamo mica di un Comune qualsiasi in termini di rischio sismico) ha dichiarato che il piano di evacuazione esiste ma sono i cittadini che lo ignorano. Cercando con determinazione nel sito web del Comune, dopo innumerevoli tentativi, in realtà il documento si trova: è una relazione tecnica con molte pagine di testo difficile da comprendere. La legge è rispettata, la responsabilità civile del Consigliere è salvaguardata ma dalla parte dei cittadini è davvero inutile e frustrante.

Quale promessa potremmo credere che mantenga un simile Consigliere?

Il passaggio dalla promessa elettorale all’assunzione di reponsabilità sociale sarà determinante, oggi, per tutti i territori e per tutte le future campagne elettorali; l’assunzione di responsabilità come elemento di comunicazione sarà efficace se i cittadini si comporteranno di conseguenza modificando il loro comportamento e la loro percezione di fiducia in chi governa. Lo si potrà fare attraverso il programma elettorale da sottoporre al voto dei cittadini, con l’attenzione a strutturarlo in modo che i comportamenti degli amministratori siano verificabili e dimostrabili, che ciò che viene scritto sia misurabile con parametri chiari ed alla portata di verifica.

Perché continuare a limitare le campagne elettorali all’ultimo mese? Perché nessuno, nè durante l’azione di Governo e neppure in campagna elettorale, propone un bilancio delle attività svolte mettendolo in relazione al programma elettorale precedentemente proposto? Perché lo stile uniforme è quello dello spettacolo che nasconde i comportamenti, e non necessariamente perchè i comportamenti siano elemento negativo. Anche chi governa bene non valorizza i propri comportamenti: è una moda diffusa ormai, è come se nessuno abbia il coraggio di cambiare tendenza o di cercare modalità alternative al diluvio veloce di tante cose superficiali, segno del nostro tempo.

Le opposizioni spettacolarizzano ma, mentre l’opposizione non può che dichiarare e strillare senza poter dimostrare, è davvero incredibile che chi ha ed ha avuto responsabilità di governo, invece di comunicare i risultati ottenuti, utilizzi la stessa modalità degli oppositori. Così si perde il vantaggio se si è governato bene, se si è governato male senza avere risultati da dimostrare, invece, l’unica possibilità è fare ammuina.

“Non bisogna organizzare i propri piani in base a ciò che il nemico potrebbe fare, ma alla propria preparazione”. (Sun Tzu – L’Arte della Guerra, 600 A.C.)

Immaginiamo che in una città si debba votare, in una città i cui cittadini abbiamo reale bisogno di essere rassicurati, di capire se stanno per morire di terremoto (come già successo pochi anni prima) oppure se si è lavorato bene spendendo miliardi per ricostruire le case... immaginiamo una città che ha la possibilità di offrire lavoro per i suoi abitanti ed alta qualità della vita futura per i suoi figli, ma che è ancora in una fase intermedia ed incerta, in cui si oscilla tra la paura istintiva ed il ragionamento razionale del palazzo ricostriuto con nuova struttura ed isolatori sismici ma che oscilla molto e spaventa molto... immaginiamo questa città in cui cui si è fatto un gran lavoro e si sono fatti anche molti errori.

Credo che questa città sia il luogo in cui avviare una modalità concreta di comunicazione attraverso i comportamenti: non fare spettacolo sulla sicurezza, non spetttacolarizzare la ricostruzione ma dare elementi concreti sui risultati ottenuti, non fare comunicati stampa e basta: dimostrare che la città è stata ricostruita bene diventa elemento di comunicazione, è comportamento coerente con la dichiarata tutela della sicurezza pubblica.

Un ordine del giorno in Consiglio Comunale, ad esempio, dimostrerebbe concretamente l’indirizzo di azione politica da intraprendere subito e da continuare nella prossima consigliatura: comportamenti da attuare subito al posto di promesse di comportamento. Fare bene e non limitarsi alla promessa di fare, fare bene nell’interesse della collettività. E non ho scritto semplicemente fare. Non è sufficiente fare.

Perché non iniziare subito? Per questo è necessaria una grande disponibilità all’ascolto delle esigenze: non rivolgersi ai cosiddetti tipici stake holders (portatori di interessi : costruttori, industriali, commercianti) ma ai need holders: i portatori di esigenze: cittadini che hanno bisogno di sapere se la loro casa è sicura o se la scuola dove andranno i figli reggerà alla prossima scossa, che hanno bisogno di lavoro e di recuperare la fiducia verso le istituzioni e verso gli amministratori che devono dimostrare, ogni giorno, di essere in grado di assumersi una nuova responsabiltà, la responsabilità sociale del governare bene nell’interesse della collettività. E non ho scritto semplicemente governare. Non è sufficiente governare.

Tutto parte da Grillo che, nel discorso di inizio anno, ha citato il libro “La realtà della realtà” di Paul Watzlawick e dalle reazioni di molti che si sono scandalizzati.

La citazione di Watzlawick da parte di Grillo fa diventare l’ex comico un caso da studiare, una fenomenologia da osservare, perché ci permette di approfondire il dibattito proprio su ciò che lui stesso sta facendo. In effetti, leggendo il suo intervento e poi le osservazioni di Massimo Giuliani (che cito in alcuni passaggi), mi chiedo se Grillo, riferendosi alla realtà, stia parlando di se stesso oppure degli altri; credo di entrambi.

In merito al citato Watzalwick, è importante citare i suoi “assiomi della comunicazione” che rappresentano un passaggio fondamentale per tutti quelli che se occupano in maniera professionale; in particolare, il quinto ed ultimo assioma in cui ci dice che tutte le interazioni tra comunicanti possono essere di due tipi: simmetriche o complementari.

Si ha un’interazione simmetrica quando gli interlocutori, tramite le loro comunicazioni, si considerano di pari livello, sullo stesso piano: nessuno dei due sembra voler prevalere o essere subordinato all’altro. L’interazione complementare si ha, invece, quando uno dei due interlocutori non si pone sullo stesso piano dell’altro (degli altri, in questo caso, degli elettori) e si pone in una posizione di superiorità.

E’ questo il caso. La modalità di “comunicazione complementare” adottata da Grillo senza dover far riferimento alla citazione specifica e neppure ad alcun contenuto specifico, viene utilizzata ai fini manipolatori per avvalorare la tesi che la realtà non è quella proposta dai mass media ma la sua. Manipola facendo credere che altri stiano manipolando. Ed usa una tecnica ipnotica (la “tecnica della confusione” che è illustrata proprio nel volume da lui citato “La realtà della realtà”) in un discorso caotico, una selva fitta di non sequitur che non può essere che voluta. E’ una reiterazione ipnotica? Mi fa pensare al film 'Inception' in cui si arriva a descrivere un sogno in cui si sogna di sognare innestando nella mente del sognatore un’idea.

Anche il virologo Roberto Burioni dell’Università Vita-Salute San Raffaele, ad esempio, usa lo stesso schema della comunicazione complemantare scrivendo su Facebook: “Preciso che questa pagina non è un luogo dove della gente che non sa nulla può avere un “civile dibattito” per discutere alla pari con me".

Se è vero che Watzlawick coltivava la convinzione che attraverso la comunicazione si costruiscono visioni del mondo e che ciascuna di esse è incommensurabile rispetto alle altre,  è vero anche che attraverso la comunicazione si possono raggiungere obiettivi preordinati e strategicamente codificati. Per questo, Watzlawick viene utilizzato molto nel marketing, oltre che nella psicoanalisi, perché grazie a lui è stato chiaro che attraverso la comunicazione si raggiungono obiettivi e si modificano i comportamenti: la comunicazione efficace è quella che modifica i comportamenti. Comportamenti di acquisto, di voto, di relazione interpersonale: così per una campagna pubblicitaria come per una terapia di coppia. La terapia è efficace se modifica il comportamento che crea il problema di relazione e la campagna pubblicitaria è efficace se spinge il consumatore ad acquistare un nuovo prodotto, così come spinge l’elettore a votare in maniera diversa dal passato.

Grillo si rivolge al suo elettore medio, quello più facilmente manipolabile: l’elettore che non si trova a suo agio nella complessità, non riesce a farne sintesi ed accetta la semplificazione proposta con cui Grillo gli fa credere che quello che vede (la confusione) non è la realtà ma solo ciò che gli altri (i partiti) vogliono farci vedere. Il suo elettore potenziale ha bisogno di semplificazioni; inoltre, è così autoreferenziale da fidarsi del giudizio preso dai blog e dai post di Facebook senza avere la capacità di approfondire e senza il sano dubbio sull’autorevolezza della fonte. La semplificazione proposta è estrema: se non capisci è colpa loro, loro non ti fanno capire, io invece si (senza dire altro, senza dire cosa fa capire); dunque, puoi votare per me.

Grillo si rivolge ai “webbeti”, a quei tanti che credono a qualsiasi cosa perché lo hanno “letto su internet” illudendosi di essere liberi ed autonomi. Ed infatti cita Watzlawich dicendo che “la realtà non è quello che pensiamo di vedere”: nel libro “La realtà della realtà” si dice, però, che attraverso la comunicazione si costruiscono visioni del mondo e che ciascuna di esse è incommensurabile rispetto alle altre; quindi la realtà è, per ciascuno di noi, un piccolo universo autoreferenziale: esistono tante realtà soggettive. Quando guardiamo il mondo, in altre parole, lo vediamo attraverso il filtro della nostra storia, della nostra esperienza e di come siamo fatti, dando importanza prevalente ad alcuni aspetti che toccano direttamente il nostro vissuto interiore.

Ogni descrizione del mondo è dunque, per ciascuno di noi, una più o meno utile approssimazione alla realtà, inevitabilmente soggettiva e non obbiettivamente reale. La nostra realtà non coincide con la storia; così, ciascuno di noi viene visto in tanti modi diversi da chi ci conosce. Siamo uno nessuno e centomila, come centomila sono le realtà individuali percepite da ciascuno di noi in relazione al medesimo evento. Pensiamo, ad esempio, alla storia del nostro terremoto raccontata da ciascuno di noi e confrontata con i racconti di ogni altro. In questo senso, è molto interessante il libro “Il primo terremoto di internet”, a cura di Massimo Giuliani, in cui non troviamo “la realtà” ma tante realtà individuali (il racconto dei racconti) presi dai blog e da Facebook prima, durante e dopo il 6 aprile 2009.

Tornando a Grillo: dicendo che “la realtà non è quella che ci fanno vedere” offre una versione antisistema, coerente con la sua strategia e tanto vera da essere gestita esclusivamente da lui. Credo che la sua citazione sia una confessione.

Il fatto determinante che ci riguarda è la consapevolezza, è la nostra capacità di individuare e giudicare l’autorevolezza della fonte. I webbeti non sono consapevoli, come non sono consapevoli gli elettori a cui si rivolge Grillo; ma forse neppure gli altri elettori. Il tema fu affrontato da Umberto Eco quando, finalmente, ebbe l’ardire di confermare ciò che pensavamo in molti: attraverso Facebook si può dare spazio a molti imbecilli. L’autorevolezza della fonte diventa il nodo centrale dei social networks e la dimostrazione sta in tutte le bufale in rete che si prendono gioco di chi non ha la capacità di discernere. Sappiamo che i gestori di Facebook stanno modificando le politiche di privacy per effetto del suo utilizzo poco etico nella campagna elettorale di Trump.

Si tratta quindi, da parte di Grillo, di una lucida strategia di comunicazione con l’obiettivo di acquisire consensi da parte di chi non ha capacità di analisi e non ha alcuna forma di cultura che gli permetta di analizzare il contenuto di ciò che gli viene proposto, o propinato.

Ma non credo che sia solo Grillo a fare ciò: lo fanno tutti.

Lo ha fatto Renzi con l’illusione della rottamazione, prima Berlusconi con l’illusione delle libertà, e prima ancora l’ha fatto Craxi con l’illusione dello sviluppo economico, ed ancora prima Berlinguer con l’illusione della partecipazione esterna al Governo in rappresentanza delle istanze popolari (origine del consociativismo); lo hanno fatto con mezzi diversi (media) in periodi storici diversi e con modalità diverse. Ma tutti con lo stesso obiettivo: acquisire consensi orientando messaggi specifici con un mezzo specifico verso un target specifico e, soprattutto, nascondendo la realtà obiettiva ed offrendo solo parte di essa, quella più coerente col proprio elettorato.

Pensiamo a cosa possa significare essere cattocomunisti: l'illusione necessaria a conquistare il voto dei cattolici mantenendo il “ma anche” di veltroniana memoria, quello dei comunisti. Errore che si riverbera oggi nella crisi del PD, perché non si può stare tutti insieme mischiando le ideologie: piuttosto, è necessario votare tutti lo stesso partito o movimento senza mai confrontarsi perché emergerebbero troppe differenze. Più si entra nello specifico e maggiori sono le differenze, più si è generalisti e maggiore può essere l'adesione. Concetti semplici per una realtà parziale, o superficiale.

Negli anni ’90, ad esempio, è stata evidente la conferma dell’idea visionaria di Guy Debord (filosofo e scrittore, tra i fondatori dell’internazionale situazionista) che col suo libro del 1873, "La società dello spettacolo", ha anticipato in maniera lucida e visionaria ciò che sarebbe successo: "Tutta la vita delle società in cui regnano le moderne condizioni di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione. [...] Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra le persone, mediato dalle immagini ... e senza dubbio il nostro tempo preferisce l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere".

E’ fin troppo evidente che negli anni ’90 la rappresentazione attraverso i mass media abbia raggiunto il suo apice. Abbiamo vissuto l'apologia dell'apparenza sull'essere: ricordate, ad esempio, Gardini? Mentre aumentava a dismisura l’abitudine a guardare la televisione (e cresceva Forza Italia, rappresentazione delle rappresentazioni) diminuiva drasticamente il consumo di teatro, di libri, di cinema, di quotidiani su carta, di comizi elettorali in piazza e di aggregazioni di ogni tipo. La centralizzazione dell’immagine di un partito veniva legata indissolubilmente ad una persona (Berlusconi diffondeva videocassette con i suoi messaggi elettorali istruendo i suoi affinche li proiettassero in piazza). Apparenza, immagine, spettacolarizzazione della ricchezza e del benessere.

Oggi siamo passati dai mass media (mezzi di comunicazione di massa con cui un solo comunicante si rivolgeva in maniera autorevole ed omogenea a più riceventi; inoltre la fruzione era collettiva, in famiglia) al personal media (mezzo con cui ciascuno può personalmente cercare ciò che vuole in base ai propri convincimenti; la fruizione diventa individuale: ciascuno il suo palinsesto personalizzato. Ben conosciamo quel particolare fastidio provato guardando una navigazione web col mouse in mano ad altri).

Per questo condivido Scalfari quando dice che i giornalisti hanno perso il loro loro di mediatori culturali: non sono più “opinion maker” e dovranno presto riconsiderare il loro mestiere perché sono a rischio di estinzione. Non orientano più, non sono determinanti nella costruzione delle opinioni, né loro e neppure gli editori delle testate su cui scrivono.

Ma, oggi, solo apparentemente abbiamo maggiore autonomia di ricerca (la verità è altra, e di questo stiamo parlando); le modalità di profilazione danno agli utenti l’illusione di essere autonomi nella ricerca mentre vengono perfetamente individuati e monitorati, gli vengono suggeriti i link e gli si dice ciò che vogliono sentirsi dire. A ciascuno di noi viene rappresentata una realtà coerente con il nostro vissuto, una realtà parziale e su misura, capace di insinuarsi nel nostro vissuto “innestando” un seme di empatia per aprire la porta della fiducia e, poi, suggerire una scelta di voto.

A questo serve la Casaleggio Associati; nelle pagine web di presentazione possiamo leggere “CONVERSION RATE OPTIMIZATION” – strategia per ottimizzare il tasso di conversione. Nelle campagne di comunicazione politica significa togliere voti agli altri.

L’idea del “villaggio globale” di Marshall McLuhan, con la sua visione di democrazia diretta, viene così ribaltata e, mentre negi anni ’90 la televisione e prima ancora la carta stampata erano i mezzi usati per la manipolazione di massa, oggi il web diventa luogo della manipolazione personalizzata, su misura per ciascuno di noi. Quindi è vero che la realtà che vogliono farci vedere è diversa da quella che noi possiamo percepire, ed è altrettanto evidente che Grillo utilizza lo stesso schema manipolatorio di tutti i suoi competitori, denigrandolo per far percepire una sua differenza che, paradossalmente, anch’essa non è reale.

La realtà non esiste, e non è mai esistita.

Ed ora, in chiusura, credo che dovremmo occuparci del futuro, dovremmo capire in quale direzione si orientano le dinamiche e cosa sarà utile tenere in considerazione per interpretarle al meglio; i visionari di ieri, spesso denigrati, ci hanno dato una chiave di lettura per comprendere le dinamiche di oggi. Quali sono oggi i teorici dell’evoluzione sociale da tenere presenti per immaginare il futuro? Senz’altro Zygmunt Bauman, noto per la sua definizione popolare della società liquida ma ancora non considerato sufficientemente; senz'altro Umberto Eco, a partire dalla fenomenologia meravigliosamente descritta osservando Mike Bongiorno; e poi? Io direi Gianroberto Casaleggio.

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