Piccoli ma non minori

Piccoli ma non minori (4)

Lunedì, 17 Febbraio 2020 09:45

Polvere negli occhi, nel cuore sogni

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Attenzione, il testo che state per leggere contiene uno spoiler, quindi se ancora non avete visto The new Pope di Sorrentino, saltate il prossimo capoverso, perché nella seconda serie dedicata alla Chiesa Cattolica, il regista napoletano fa incontrare il nuovo e originale Papa, il meraviglioso John Malkovich, con l’affascinante, ancor di più con l’età che avanza, Sharon Stone, che interpreta se stessa. Il discorso che ne esce interessa l’arte contemporanea, la giovinezza, le cose che passano e quelle che permangono, interessa insomma, il nostro museo di oggi.

The Pope: “Cosa suggerirebbe di fare alla chiesa cattolica per renderla sempre più eloquente?”

S. Stone: “Beh... alla fine, che cosa rimarrà di voi, voglio dire a parte un mucchio di splendide opere d’arte commissionate nel rinascimento a tutti quei grandi artisti, oggi i grandi artisti sono tanti ma voi li ignorate”

The Pope: “Quindi la vita passa e l’arte rimane?”

S. Stone: “In realtà anche l’arte passa, ma più lentamente, l’arte è più furba”.

L’arte è più furba dell’uomo perché meraviglia, meraviglia nel senso aristotelico del termine, crea cioè un thauma, un angosciante stupore, uno sconvolgimento interiore. Per questo motivo, per la capacità di coinvolgere e sconvolgere continuamente gli animi sensibili, indipendentemente dal passare del tempo, l’arte lo attraversa e permane più dell’uomo.

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Nel percorrere i lunghi corridoi che ospitano la Collezione Permanente d’Arte Contemporanea del Liceo Bafile nell’omonima scuola dell’Aquila, è proprio il tempo a farla da padrone. Per chi scrive è un tempo di un ricordo traslato, della scuola dell’adolescenza che esiste ancora in un luogo differente da quello noto alla memoria. Per chi la frequenta è il tempo imperituro della giovinezza; per coloro che vi lavorano e insegnano è l’essere sempre vicini ad essa, mentre la propria si consuma, un tempo di grande complessità intellettuale.

Come potrebbe dunque l’arte non trovare spazio in una scuola, come è possibile, viene da pensare, che questo progetto rappresenti una singolarità nell’universo dell’istruzione e dei musei? Eppure è così.

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Il progetto Polvere negli occhi, nel cuore sogni, che dà vita alla collezione, nasce nel 2010 da un’intuizione dell’affermata artista Licia Galizia, docente di Storia dell’Arte al Liceo Bafile, che invita una serie di noti artisti contemporanei, principalmente di area romana, non a donare opere, come è accaduto in molti casi nel post sisma, ma a realizzarne insieme agli studenti. All’appello, nelle cinque edizioni del progetto, rispondono circa sessanta artisti di notevole spessore, che donano in un quinquennio alla scuola non soltanto un patrimonio di grande valore, volendone misurare il lato materiale, ma un’indefinibile quantità di esperienze umane.

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I semi di queste esperienze e il risultato del connubio tra artisti e ragazzi è visibile nelle opere, è quindi facile immaginare tra vent’anni un ex giovane liceale che rientrando nella sua scuola potrà riprovare le emozioni sentite nel battere un foglio di rame su sampietrini dei quattro cantoni, insieme ai suoi compagni, per realizzare l’opera di Diodato Baldo esposta al secondo piano della Collezione. Potrà ricordare la Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto, che nel 2014 ha esposto al liceo, potrà emozionarsi toccando la Mela del Terzo Paradiso che il noto artista biellese ha lasciato in dono alla scuola.

Ogni studente che ha partecipato alla realizzazione delle opere esposte, potrà ritrovare in futuro il segno della la sua storia impresso nelle opere, per questo la Collezione Permanente d’Arte Contemporanea del Liceo Bafile, ha un così grande valore morale.

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Lo spazio di allestimento si sviluppa sui quattro piani dell’immobile che ospita il Liceo Bafile, occupando principalmente gli ampi corridoi tra le aule, quasi come un insieme di gallerie, tale è infatti lo scorcio prospettico che viene restituito al visitatore. Le opere trovano il loro naturale spazio sui muri, sulle scale, negli atri, in angoli imperfetti figli delle strutture in cemento armato. Alla fine di un corridoio cieco una grande mano bianca di Gianni Dessì, che esce dal giallo di fondo, coinvolge una porta tagliafuoco nell’opera, perché il luogo non è sterile e addomesticato per l’arte, ma chiede e ottiene contaminazione. Contaminazione che è chiara sempre al primo piano, davanti all’acciaio e alla vernice di Teodosio Magnoni, che con un semplice colore pieno e una linea di metallo, divide in maniera perfetta uno spazio, creando un’armonia di vuoti, che neanche i tubi del termosifone vicino, sembrano disturbare.

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Gli scherzi strutturali delimitano uno spazio che ricorda, nelle proporzioni di un trapezio scaleno, il perimetro murale delle 99 Cannelle aquilane, dove non a caso Licia Galizia ha inserito la sua opera, con i classici 99 mascheroni che diventano nodi di parole sui muri e man mano si sciolgono nel piano.

Lungo le gallerie dei quattro livelli si incontrano oltre a quelle già citate, le opere di Buric, Pirri, Albanese, Fermariello, Renzogallo, H H Lim, Antonella Zazzera, quasi per caso si rimane colpiti da un gioiello, quello di Piero Pizzi Cannella, così contrastante e affascinante, appeso su un anonimo muro di scuola. Ogni opera ha una storia, ogni performance ha visto protagonisti gli alunni, come nel video box di Chiara Mu Free School, oppure nell’opera di collage di Fernanda Veron realizzata con foto di famiglia di studenti e professori, o nell’affascinante e inquietante istallazione dell’aquilano Franco Fiorillo, in cui vecchi libri catramati raccolti dagli alunni, formano quasi una biblioteca al contempo pietrificata e mobile, in cerca di armonie.

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La parete in bianco e nero con foto montate in sequenza di Botto & Bruno porta alla mente Ed Ruscha e i suoi libri “striscia”, mentre i colori delle opere di Neola Project inseriscono nella scuola un elemento essenziale: il colore, essenziale come i ragazzi e le ragazze che animano i corridoi dell’istituto e senza i quali questa collezione non avrebbe il valore che ha.

Per tornare all’inizio, la Collezione Permanente del Bafile dona vita estetica ad un immobile anonimo, ad uno stabile freddo che invece racconterà in tanti futuri, la storia delle giovani menti che lo frequentano. Getta inoltre un ponte tra generazioni, iniziando la definizione di un luogo antropologico, dove sarebbe potuto albergare un non luogo, per dirla con Marc Augé ed è un’operazione che sicuramente ha aiutato nel post sisma chi frequentava il Liceo Scientifico a ritrovare un’identità sociale.

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Anche chi scrive, nel percorrere i corridoi del nuovo Bafile, che conservano della sede di via Maiella solo un vecchio armadio con coppe e memorabilia, si è ritrovato. Ora c’è la responsabilità della collezione, la responsabilità della conservazione, dello studio, dell’esposizione e dell’implementazione, che tutti gli attori della scuola docenti, amministrativi e discenti, devono sentire propria.

La città dell’Aquila ha invece l’opportunità di creare una rete importante di musei, intrecciando l’azione del nuovo Maxxi di Palazzo Ardinghelli, con le sorprendenti proposte del territorio, come quella della Collezione del Bafile. Troppo spesso pensiamo che i musei siano fermi, che siano quei luoghi in cui nulla cambia, nella realtà anch’essi ci raccontano storie in continuo movimento e ci aiutano a viaggiare nel tempo futuro, ad approfondire il presente, a ricordare il passato.

Non perdete quindi, quando andrete a visitare la Collezione del Bafile, la sognante sedia di scuola sopra le nuvole di bambagia di Vincenzo Rulli, ripensando a chissà quante volte da studenti, quelle nuvole le avete cavalcate.

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Scheda museo

Indirizzo: Via Acquasanta, 16 - L'Aquila (AQ);

Sito web: http://www.iisbafile.edu.it/;

Orari di apertura: La collezione si trova all’interno di una scuola, quindi tranne aperture particolari è necessario rispettare tempi e modalità di accesso dettati dall’istituto, è consigliato dunque prendere contatti per prenotare una visita, tel 0862410212, email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. ;

Prezzo biglietti: L’ingresso è gratuito;

Accessibilità: La scuola è per sua natura accessibile a tutti;

Parcheggio: Libero, antistante la sede della collezione;

Museum shop: Non presente.

Dopo ogni catastrofe vi è una rinascita, segno del mondo degli uomini sempre sospeso tra essere e divenire per scomodare la filosofia antica, o tra l’edificare e il distruggere, per dirla con Nietzsche. Dopo la catastrofe della seconda Grande Guerra anche la cultura museale cambiò il modo di esporre le collezioni e i musei sono divenuti nel tempo, non più soltanto asettici ventri ospitali per quadri e sculture, ma con esse, scheletri interdipendenti e componenti fondamentali di un unico organismo. La didattica museale li ha trasformati poi in istituzioni corollarie a scuole e accademie in grado di diffondere la cultura dell’arte e ospitare giovani e adulti che vogliano in essa ritrovarsi.

Il Museo dei bambini dell’Aquila, MuBAQ, nel comune di Fossa a circa dodici chilometri dal capoluogo abruzzese, sembra avere in sé tutte le caratteristiche di un presidio artistico e culturale sul territorio della provincia italiana. Ne parliamo in una serena e fredda domenica d’inverno, davanti ad un camino acceso, memoria delle comuni origini nell’Italia montuosa e rurale dell’Abruzzo interno, con Lea Contestabile, artista contemporanea affermata, già insegnante dell’Accademia di belle Arti dell’Aquila, ospite, tra le tante mostre personali e collettive in una vita dedicata all’arte, di due edizioni della Biennale di Venezia e di quella di Bodrum in Turchia.

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Lea è stata l’ideatrice del Museo dei bambini e l’ostinata e instancabile coordinatrice dei lavori che lo hanno portato a vedere la luce nel 2014. In aiuto di questo sogno che ricorda le giovani vittime del sisma del 2009 sono arrivati in tanti, la fondazione Oliver Twist su tutti, ma anche i dipendenti Henkel di Milano, i soci Soroptimist e tante case d’asta che hanno devoluto i ricavi di alcune vendite al progetto. Un’importante azienda abruzzese produttrice di mobili da ufficio si è fatta carico dell’arredamento, alcuni amici hanno aiutato nell’allestimento, il comune di Fossa ha trovato una su collina che guarda il diruto centro storico del Paese, uno spazio adeguato ad ospitare il museo, mentre tanti e tanti artisti hanno donato il proprio tempo e le proprie opere.

Il MuBAQ, che coinvolge adulti e bambini nelle sue manifestazioni, nei laboratori e nella realizzazione degli eventi, ospita una collezione importante di artisti contemporanei.

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L’allestimento pensato e curato nel bianco totale delle pareti, ricorda una galleria d’arte e resuscita, in chiave moderna (e la cosa non dispiace affatto) l’uso di esporre anche file di 3 o 4 quadri una sull’altra, in voga fino alla prima metà del novecento. Sorprendentemente, per un museo di periferia della provincia italiana, si trovano sotto i chiodi le opere di Luigi Ontani, Tommaso Cascella, Gino Marotta, un’opera dalla performance L’Ebrea di Fabio Mauri, oltre alle realizzazioni del gruppo Cracking Art Group e pezzi di Luca Patella, Guerzoni, Sciannella, Maria Lai e le opere della padrona di casa, Lea Contestabile.

Al centro della galleria una scatola - panca, pensata ad altezza di bambino per esporre le opere dedicate ai più piccoli, diviene luogo di riposo o riflessione allorquando non è utilizzata per mostre temporanee.

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Il MuBAQ non finisce però nei confini dei suoi spazi interni, a tratti superaffollati per le tante tele che continuano ad arrivare a Fossa, ma prosegue all’esterno, dove alle opere già presenti, nell’agosto 2019 si sono aggiunte le testimonianze di 9 artisti contemporanei, che hanno così realizzato il Giardino della memoria - l'angolo delle piccole stelle.

Paola Babini, Luigi Calvisi, Silvia Causin, Licia Galizia, Donatella Giagnacovo, Sergio Nannicola, Felice Nittolo, Marco Pellizzola, Enzo Tinarelli, Alberto Timossi, Stefano Trappolini e Virginia Ryan hanno donato al museo le loro multiformi ed emozionanti interpretazioni del ricordo delle vite troppo presto strappate al mondo durante la notte del 6 aprile 2009, che riempiono la piccola collina, quasi uno come in uno Spoon River delle arti, insieme a lecci, abeti e ontani, donati da comuni cittadini, pionieri di un futuro bosco.

Ogni museo ha bisogno di energie, il MuBAQ per ora continua nella sua opera di divulgazione e formazione artistica con i laboratori di ceramica, gli incontri e le mostre, sostenuto dalla guida ed entusiasmo di Lea Contestabile, Rita Ferri e Serena Chiaramonte.

Nei giorni d’estate, oltre all’arte dell’uomo, è l’arte della natura ad impossessarsi del luogo, ospitando a San Lorenzo cacciatori di stelle in telescopio e piccoli e grandi bambini nel cuore, che nella giornata degli aquiloni costruiscono e fanno volare piccoli sogni di carta.

Alla fine di questo breve testo su un luogo importante per tutta la comunità aquilana, resta da segnalare e condividere la poetica immagine dell’erratico marmo di Massimo Pellegrinetti, in cui sprofonda una figura umana a braccia aperte, ad ovest di tutte le opere del luogo, in cui sapienti piccoli fori, illuminano sul finire del giorno, per qualche minuto, tante minute stelle, accese dal sole che si spegne.

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Scheda museo

Indirizzo: Costa Fonte Augelli II, 2 - Fossa (AQ);

Sito web: www.mubaq.it; Pagina Facebook: https://www.facebook.com/MuBAQ.it/;

Orari di apertura: Il museo apre su prenotazione ed è aperto durante le mostre temporanee, le rassegne, le manifestazioni e i laboratori dedicati a piccoli e grandi. Per prenotare una visita è possibile contattare Lea Contestabile al tel. 3396274730, o tramite email all’indirizzo: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. ;

Prezzo biglietti: L’ingresso è gratuito;

Accessibilità: I locali adibiti a museo e i servizi sono completamente accessibili ai portatori di handicap;

Parcheggio: Libero, antistante la sede del museo;

Museum shop: Non presente;

Note: Il museo è attiguo al nuovo insediamento abitativo provvisorio costruito dopo il sisma del 2009 nel comune di Fossa e raggiungibile seguendo i cartelli, ma più facilmente potrete chiedere informazioni alla prima persona che passerà peer strada, come si usava un tempo, senza navigatore. La collina che ospita il museo sovrasta il Parco Archeologico della Necropoli Italica di Fossa.

“Solo coloro che non hanno mai scritto lettere d’amore sono ridicoli. Magari fosse ancora il tempo in cui scrivevo senza accorgermene lettere d’amore”, così scriveva Borges con rimpianto del tempo dell’amore che brucia, della giovinezza. Così il poeta argentino affrontava il tema dal quale nessuno è immune, dal quale siamo tutti coinvolti, del quale hanno scritto le piume nobili e quelle volgari, con lettere fini o grossolane parole.

Parte di queste parole, a descrivere i tanti amori possibili, terreni e trascendenti, trovano una casa particolare nel Museo della lettera d’amore di Torrevecchia Teatina.

Il piccolo centro del chietino ospita infatti, nel settecentesco palazzo Valignani, un’originale collezione di lettere provenienti da luoghi e tempi diversi, dedicate a tanti amori, che raccontano storie commoventi, sentimentali, comiche, drammatiche.

Il museo rappresenta la quintessenza dell’intenzione che si cela dietro la rubrica: piccoli ma non minori, l’idea cioè di raccontare il rapporto tra musei e territori e scoprire le interazioni culturali che tali istituzioni possono avere con i luoghi in cui operano.

Il museo in oggetto nasce come uno spin-off culturale del concorso Lettera d’amore, promosso nel 2001 dall’allora amministrazione comunale su stimolo dell’eclettico artista e poeta Massimo Pamio e arrivato nel 2019 alla diciannovesima edizione, festeggiata con la presenza del regista Pupi Avati. Nel 2011 si pone il problema di come e dove conservare le tante lettere che il premio ha ricevuto negli anni, tenute dai giurati nelle soffitte di casa o nelle valigie sotto i letti, ma sorge anche la necessità culturale nell’animo dei curatori, di condividere tanto amore e tanta bellezza, è così che dall’incoscienza e l’intuizione ancora di Pamio e dell’allora sindaca di Torrevecchia Katia Baboro nasce ufficialmente il Museo della lettera d’amore.

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La collezione museale si arricchisce nel tempo ogni otto di agosto con le nuove lettere dei partecipanti al concorso, ma anche con le donazioni del premio campiello 2013 Ugo Ricciarellim che scrive una lettera ad hoc, di Ascanio Celestini, dello Stato Vaticano, che invia circa cinquemila lettere scritte dai fedeli presenti in Piazza San Pietro a Papa Giovanni Paolo II, di una coppia di sposi che affida le proprie memorie d’amore nell’Italia degli anni 50 alla custodia del museo e di due epistolari della prima e seconda guerra mondiale.

Oggi al piano terra dell’antica villa Valignani vi sono quattro stanze che ospitano una selezione di queste lettere, esposte attraverso un allestimento classico in cornici sulle pareti, ma anche appese al soffitto, in modo quasi da poterci camminare dentro e fermarsi, se si vuole, a leggerne a caso qualcuna. Una piccola stanza del diametro di neanche due metri, ricavata nello stretto spazio di una torre di difesa, unico spazio non accessibile a tutti del museo, ospita altre lettere sulle pareti circolari e nelle nicchie delle aperture e porta in una dimensione intima e calda; anche la luce, in genere bianca e diffusa, muta colore in questo ambiente.

Sul lato opposto del museo, attraversando il cortile del palazzo che spesso ospita gli eventi legati al concorso, un’ampia stanza con volta a botte è incorniciata da alcune cartoline d’amore, in uno spazio semi allestito adibito anche a sala convegni. Uscendo, alle spalle del palazzo vale la pena passeggiare nel Parco della riflessione, antico pomarius dove il Marchese Valignani coltivava i frutti, e dove adesso dei lecci secolari fanno da cornice ad una piccola pianta tempestata di lettere e dedicata a Vito Moretti, storico presidente della giuria del concorso Lettera d’amore, recentemente scomparso.

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Il museo va vissuto con animo predisposto al romanticismo, ci si muove infatti tra i locali senza un percorso definito, secondo la sensibilità, la curiosità e i tempi del visitatore, ogni itinerario quindi è unico.

Un occhio allenato ai musei percepisce un’assenza, l’assenza di un percorso e di guide didascaliche, che aiutino in questo viaggio tra amori sacri e profani e diano la sensazione di aver colto il meglio dell’esposizione, di aver letto le lettere giuste, ma Katia Baboro, oggi non più a capo dell’amministrazione, ma dedita all’attività culturale legata al museo e guida volontaria per chi volesse visitarlo, ci tiene a precisare che è attraverso il dubbio di non aver letto la lettera che volevi leggere, che il museo spinge ogni visitatore a tornare di nuovo. “Durante la visita ognuno ha una lettera in mano che suggerisce ad altri di leggere, ogni lettera è un’emozione personale, che ciascuno interpreta in modo intimo, bisogna prenderle a caso, come vengono, come gocce di pioggia d’estate” ci dice la Baboro parafrasando una scritta di Remo Rapino su un muro del museo, e messa così la spiegazione è chiara.

Non si può non tornare al museo dunque se si visita una volta, non ne potrà fare a meno chi scrive, per leggere e rileggere tra le altre, la Lettera dalla costa, scritta da sfollati del sisma 2009 all’Aquila, la Lettera dell’emigrante all’Italia, la Lettera alla parmigiana di melanzane, della quale comprendi la reale destinataria soltanto alla fine e una lettera piena di vita e di colori come poche, la Lettera di un ragazzo cieco alla vista.

C’è un museo con tanto amore, a Torrevecchia Teatina, da riempire il cuore di ognuno; che ci si ponga come soggetti terzi che leggono storie d’altri, o se affinità di eventi e sentimenti portino ad immedesimarsi nei ruoli di chi scrive o chi riceve, poco importa, vale la pena leggere.

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 Scheda museo

Museo della lettera d’amore

Indirizzo: P.zza S. Rocco, 4 - 66010 Torrevecchia Teatina (CH)

Sito web: www.museoletteradamore.it, Pagina Facebook: https://www.facebook.com/museoletteradamore/

Orari di apertura: Tutti i giorni nell’orario di apertura degli uffici comunali con i quali il museo condivide la sede, dal lunedì al sabato dalle ore 8 alle 14. Per le aperture domenicali e visite di gruppo contattare Katia Baboro, curatrice del museo con Massimo Pamio e appassionata e competente guida volontaria al n.3484517569.

Prezzo biglietti: L’ingresso è gratuito.

Accessibilità: I locali adibiti a museo e i servizi sono accessibili ai portatori di handicap, tranne una piccola nicchia ricavata all’interno di una torre di difesa in cima a una scala.

Parcheggio: Libero comunale nelle vicinanze (100m. circa).

Museum shop: Non presente.

Note: Se doveste trovarvi per caso a Torrevecchia senza aver previsto una visita al museo entrate lo stesso e se cercate informazioni, una guida, un contatto umano, usate gli occhi per individuare il cappellino giallo di Vittorio, custode volontario e instancabile del museo, della piazza e del parco, una di quelle persone che rendono possibile la vita culturale del nostro paese con lavori umili, costanti, fondamentali.

«La cosa migliore di quel museo era però che tutto stava sempre allo stesso posto. Nessuno si muoveva. Potevi andarci centomila volte, e quell’esquimese aveva sempre appena finito di prendere quei due pesci, gli uccelli stavano ancora andando verso il sud, i cervi stavano ancora abbeverandosi a quella fonte, con le loro belle corna e le belle, esili zampe, e quella squaw col petto nudo stava ancora tessendo la stessa coperta. Nessuno era mai diverso. L’unico a essere diverso eri tu».

Il giovane Holden, preso dalle sue lotte intestine con l’essere, ben racconta quello che un museo può essere per le persone che lo vivono, che lo esplorano e vi ritornano per vedervi spesso le stesse cose ma con occhi diversi. Egli si riferisce però ad una concezione del museo ancora ottocentesca, che oggi tende a modificarsi con un’apertura democratica verso le città e i paesi in cui sono ospitati, che vuole realizzare quel nesso museo - città - territorio che è «il cuore della nostra cultura istituzionale e civile», per usare le parole di Salvatore Settis.

Il museo è un soggetto vivo, che risponde agli stimoli e ai capricci della storia e come tale si evolve, cresce, si modifica. Dagli anni settanta ad oggi una certa museologia ha inteso però definirlo non solo come una vetrina di opere, o come luogo di studio, conservazione ed esposizione, ma come soggetto vivo capace di giocare un ruolo attivo nella vita culturale della società di appartenenza, contribuendo ad interpretare e a migliorare il mondo. Ancora più a fondo i piccoli musei di provincia, molti purtroppo fuori dai Poli Museali regionali per ovvi motivi di qualità dei servizi offerti, principalmente per mancanza di reperimento delle risorse, raccontano storie di piccole comunità che si identificano in essi, collaborano allo sviluppo di un progetto in cui si riconoscono, nella continuità o discontinuità delle generazioni, nell’adattamento rispetto alla natura del luogo in cui si trovano.

Sono questi musei, che tanto assomigliano geograficamente alla Regione Abruzzo, ai suoi borghi e paeselli arroccati e deserti tra colli, coste e montagne, che possono diventare protagonisti di un nuovo racconto culturale. È questo che cercheremo di fare in questa rubrica, promuovendo e presentando ogni tre settimane un piccolo museo d’Abruzzo, con le sue pecche, i suoi orari scomodi, le difficoltà e l’assenza dei servizi, con l’invito a visitarli proferito ai viaggiatori, ma se vogliono anche ai turisti, che sono disposti a rinunciare all’apparenza, per scoprire contenuti preziosi.

Lo faremo seguendo le indicazioni che il premio Nobel turco Orhan Pamuk ha dettato nel suo Manifesto per i piccoli musei, contrapponendo l’epica delle grandi gesta al romanzo dello storie semplici, la maestosità della rappresentazione all’intimità dell’espressione, sostituendo le case ai monumenti, le storie alla Storia, le persone alle gesta delle nazioni, gli individui alle società.

Il primo appuntamento è dunque al 6 dicembre con il primo racconto di una serie di piccoli musei abruzzesi, “Piccoli, ma non minori” come recita il titolo di questa rubrica, rubato ad una felice espressione di Edith Gabrielli, direttrice del Polo Museale del Lazio, che ben sintetizza il concetto guida della nostra proposta.

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