Nelle desolate praterie della cronaca cinematografica agostana ci sono gli aggiornamenti dal Festival di Locarno e le anticipazioni da quello di Venezia, le interviste a attrici e attori che riempiono le pagine, i prossimi film di apertura nelle sale d’autunno. Angelina Jolie e Brad Pitt litigano e Robert Redford ha annunciato che andrà in pensione dopo il suo ultimo film The Old Man and The Gun. Poi c’è Sandro Veronesi che racconta di aver voluto intervistare Carmelo Bene per una trasmissione tv nel 1995, anno di celebrazioni per i cento anni del cinema. Ne nacque un monologo dello stesso Bene stimolato da Veronesi.
Lo ritroviamo su Il Corriere con il titolo Carmelo Bene contro il cinema. Genealogia di un’invettiva:
Il cinema, che non ha mai avuto cinema,
è sempre stato un plebiscito contro il buon gusto,
così come Nietzsche definisce il teatro.
S’attanaglia meglio del cinema.
Questa sala buia, o semi buia,
dove la gente va da tempo a sedersi
e non si capisce perché a un certo punto si accenda un quadrato:
se lasciassero al buio anche quello, ecco…
Ma noi occidentali non siamo abituati,
c’è poco Oriente, ecco,
l’India facile non basta,
appunto,
a spegnere tutto,
come dovrebbe avvenire nei palcoscenici lirici, diciamo,
melodrammatici.
C’è sempre la regia,
il servizio buono,
tutte queste cose.
Non come la musica di Rossini, per esempio,
che è un precipitato di non eventi,
di non fatti,
o la musica di Verdi,
dove il teatro è già contenuto nella musica,
e non ha bisogno poi di ulteriori sviluppi dell’azione.
Scontato che attore derivi da, o debba il suo etimo ad agere,
e non ad agire.
Quindi, questa gentaglia che sfaccenda nel palcoscenico
ha alienato al teatro del Novecento tutto un pubblico
— salvo gli abbonati, questa élite delle piccole masse,
la tirannia delle plebi.
Ecco che vedono il n’importequoisme.
Il cinema non ne parliamo.
Insomma: è una celebrazione dei fratelli Lumière.
Perché non si può dire, dopo i Lumière,
cosa ci sia stato
— se togli quel minimo di autospavento cercato a tutti i costi,
quell’attimo di smarrimento di certe tribù africane
davanti al treno dei Lumière —
io penso che la commemorazione duri dall’Ottocento.
È quella, che si perpetua.
Una celebrazione dove si finge d’incontrarsi,
organizzata per una specie di turismo in massa, gazzettiero;
una specie di Las Vegas povera,
per giornalisti di colore,
non poi tanto colorati,
né coloriti.
S’arrangiano, negli abbaini…
Non ha mai avuto una scrittura.
La scrittura cerca solo la scrittura.
Ogni autore deve innanzitutto far fuori se stesso
ed «essere straniero», ha detto giustamente Deleuze,
«nella propria lingua».
Lui lo attribuiva a me perché io non adopero mai,
in teatro, la traduzione simultanea,
neanche all’estero,
neanche se mi producessi per i pigmei, o per i russi, o per i lapponi,
ho sempre messo da parte tutto quello che media.
Forse, l’unica non storia del cinema
è proprio quella di Gilles Deleuze, ed è L’image-temps
— il primo volume e poi il secondo,
dove si occupa un po’, a proposito di CB, il qui assente, e di Antonioni,
proprio del corpo. [...]
Il testo è anche pubblicato, per la prima volta, sul numero di agosto della rivista «Linus».
NON SOLO PORNO - L’estate porta anche a interrogarsi sull’educazione sessuale dei fanciulli, lo fa Stella Pulpo su Il Corriere – Sette constatando come sia demandata in Italia al cinema porno, o meglio ai video che si trovano sui canali on line specializzati. A uno di questi, tra l’altro, Rolling Stone dedicò un’esilarante recensione cinematografica. Dicevamo i porno, strumento ludico e commerciale, come spiega il film Porno e libertà di Carmine Amoroso, con una sua funzione, al quale non può essere però totalmente demandata la formazione alla sessualità dei più giovani come ricorda Pulpo: ‘L’approccio culturale e sociale, non esclusivamente scientifico, che aiuta i ragazzi ad acquisire abilità esistenziali, capacità di confronto, dialogo e negoziazione, si è dimostrato talmente efficace [in altri Paesi, ndr] che verrebbe da chiedersi: perché in Italia non ce ne occupiamo affatto? Perché non ci interessa aprire una conversazione che abbia il coraggio di parlare anche di stereotipi di genere, di identità digitale e di pornografia (che è la vicaria unica dell’assenza totale di educazione sessuale nelle scuole e nelle famiglie)?’.
S-CONCLUSIONI – Che c’entra Carmelo Bene con i canali porno? C’entra che il livello espressivo-comunicativo solo pornoso è pericoloso e pure palloso dopo un po’. Dove per pornografia intendiamo la provocazione e il ragionamento che non oltrepassa il livello elementare, al teatro, al cinema, nelle relazioni, in politica... Il cinema porno e erotico sono generi con una loro storia e, come tutto il resto del cinema, non devono ‘educare’ ma possono aiutare a capire la complessità e non è cosa assodata, se per esempio su Il fatto quotidiano Silvia Truzzi ci ricorda che L’Espresso per il test dell’estate ha domandato: “Idee politiche a parte, fareste sesso con…” seguivano le foto di quattro politici uomini (Macron, Fico, Giorgetti e Casaleggio) e quattro politiche donne (Le Pen, Appendino, Santanchè, Bongiorno). Per gli uomini le motivazioni erano “perché sa come si fa, perché è poliedrico, perché è indecifrabile”. Per le donne: “per zittirla, per svegliarla” e perfino “per sculacciarla” (davvero). D’accordo il politicamente corretto nel sesso non esiste , ma le fantasie almeno non siano nutrite solo da soldatesse alle grandi manovre o succedanei in rete.
Ci vediamo a settembre.
Tratto da: Hai letto di… #17 - frankenstein discrezionale di notizie di cinema [e questa volta non solo], 5-10 agosto. Immagine: dal film Nostra Signora dei Turchi, di Carmelo Bene, 1968